Mohammad Reza Pahlavi

Teheran, 26 ottobre 1919 – Il Cairo, 27 luglio 1980

Quando, paventando un asse Berlino-Teheran, Churchill e Stalin invadono l’Iran per deporre lo Shah, è il giovane Mohammed Reza – educato in Svizzera – a succedere al padre (1941). Saranno i pozzi petroliferi, su cui Reza Pahlavi aveva fondato la modernizzazione del Paese, a mettere in difficoltà il secondo Pahlavi quando, promuovendone la statalizzazione, il leader nazionalista Mohammed Mossadeq ottiene il premierato e tanto potere da causare allo Shah un esilio (1953) da cui tornerà soltanto con l’aiuto statunitense, su cui allora s’appoggia per rilanciare con la «Rivoluzione Bianca» le infrastrutture, l’industria, l’alfabetizzazione, la sanità e l’agricoltura con una decisa riforma agraria. Quando però ai ceti medi – frustrati dalla corruzione, dall’ineguale redistribuzione dei proventi petroliferi cui, soprattutto dal 1973, si attribuisce il tardare dei progressi promessi, e soffocati da un’autocrazia capace, con la Savak, di una spietata repressione degli oppositori – rimangono solo gli spazi d’autonomia garantiti da un clero sciita accesamente contrario all’occidentalizzazione imposta dal governo, dalla fase di tumulti socialmente trasversali, dai lavoratori agli studenti, che gli si scatenano contro lo Shah non saprà uscire che fuggendo dal Paese che il 1 aprile 1979 un referendum gli sottrae, proclamando una Repubblica Islamica sotto la guida dell’ayatollah Khomeyni.


Parte della serie Autoritari

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