Anton Čechov

Taganrog, 29 gennaio 1860 – Badenweiler, 15 luglio 1904

Figlio della terra – suo nonno fu servo della gleba – Anton Pavlovič Čechov si laurea in medicina a Mosca, ma non farà il medico che in occasione di carestie ed epidemie. A interessargli è infatti l’attività letteraria, che intraprende già all’università per sostenere la famiglia. Dagli sketch comici che ben maneggia agli inizi, e che gli danno notorietà, Čechov passerà al riso pacato, sospeso a fior di labbra, che satura la densa eppure lieve atmosfera delle novelle – dalla Steppa (1888) ai Contadini (1897) – e del teatro, che col Gabbiano (1896), Zio Vanya (1897) e Il giardino dei ciliegi (1904) ottiene un successo in buona parte dovuto all’interpretazione del Teatro d’Arte di Stanislavskij. Descrivendo l’epoca e la Russia sue con l’asciuttezza del positivista, Čechov svela delicatamente la comicità sepolta sotto il dramma delle vite che indaga, consapevoli che l’esistenza è futile e infondata eppure costrette dal sentimento a continuarla. Così i suoi personaggi, che sono infelici ma cercano ardenti e soffrono di non poter credere alle illusioni che sanno tali, l’autore illustra un «sublime pudore della sofferenza» che ci fa paura senza spaventarci; ma con l’epistolario vivissimo, il tisico Čechov richiama all’ordito comico su cui ogni altro fatto umano s’intrama, compreso il pessimismo di chi insiste a vivere pur sapendo che presto morirà.


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