Augusto Pinochet

Valparaiso, 25 novembre 1915 – Santiago, 10 dicembre 2006

Quando nell’ultimo tempo del governo Allende (1970-1973) rovesci economico-finanziari e conflitto politico-sociale spingono il Cile sull’orlo della catastrofe, è il militare di carriera appena giunto al vertice dell’esercito a prendere in mano la situazione: eliminato lo scomodo presidente con un golpe d’inaudita violenza l’11 settembre 1973, Augusto Pinochet Ugarte consacra i primi durissimi e raccapriccianti anni della sua dittatura allo sterminio politico, quando non fisico, delle sinistre cilene per restituire irrevocabilmente al mercato la libertà minacciata dalla volontà pianificatrice del precedente governo. Tra fasi di rampante sviluppo (1976-9) e dura recessione (1980-1983) Pinochet conserva bassa l’inflazione e discreta la crescita economica finché, svanito col terrore anticomunista di Washington l’appoggio atlantico, il 55% dei cileni decreta per referendum la sua fine politica (1988) secondo quanto ammesso dalla Costituzione del 1981. Quando a Londra è arrestato su richiesta d’estradizione della Spagna (1998), da più archivi declassificati emerge per Pinochet la responsabilità di durature e gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate, in Cile e fuori, nel corso d’un’Operazione Condor che negli anni Settanta e Ottanta fa sparire dal continente sudamericano innumerevoli oppositori politici. Se non qualcos’altro, dal carcere spesso evitato per immunità costituzionali lo salvano la vecchiaia, la dichiarata demenza senile, la morte.  

 

Parte della serie Autoritari

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