The Killer di David Fincher

con Michael Fassbender, Charles Parnell, Sala Baker, Tilda Swinton, Kerry O’Malley

Tre anni dopo Mank (2020) e a nove anni da L’amore bugiardo – Gone girl (2014), l’ultimo film del regista statunitense ad uscire in sala, con The Killer David Fincher torna direttamente in streaming consolidando ulteriormente il sodalizio con Netflix aperto con House of Cards (2013) e proseguito negli anni con il coinvolgimento registico e produttivo nel gioiello Mindhunter (2017-2019) e nell’originale serie antologica Love, Death + Robots (2019), di cui ha diretto Un brutto viaggio, notevole episodio dalle atmosfere lovecraftiane tratto da un racconto di Neal Asher e sceneggiato da Andrew Kevin Walker. Walker, già sceneggiatore di Seven e Il mistero di Sleepy Hollow, firma anche questo adattamento dalla serie a fumetti francese Il killer, con testi di Matz e tavole di Luc Jacamon, che segna il ritorno di Fincher al thriller e ai meccanismi della detection che tanto gli sono cari.
Dalla finestra di un appartamento vuoto a Parigi, un assassino metodico e amorale (M. Fassbender) tiene sotto osservazione la suite di un lussuoso hotel, preparandosi per l’ennesima esecuzione che svolge come un compito incolore in cui gli unici punti che lo interessano sono la pianificazione e il raggiungimento dell’obiettivo. Durante il lungo appostamento, nell’attesa del suo bersaglio, esegue una serie di rituali – gli esercizi mattutini, il travestimento, la musica per isolare i pensieri, il calcolo del battito – che lo aiutano a diventare un tutt’uno con l’azione da compiere. Un killer infallibile, come lui stesso si racconta, che però, al momento di premere il grilletto, manca il bersaglio scatenando una reazione a catena che si ripercuote su di lui e sulle persone che lo circondano.

In bilico tra noir e film d’autore, thriller e cinema d’azione, The Killer gioca sui generi e sulla tradizione degli assassini che popolano il cinema da sempre, recuperando sguardi, stili e tematiche dei classici che l’hanno preceduto – da Hitchcock al Melville di Frank Costello faccia d’angelo (1967) fino al Jim Jarmusch di Ghost Dog (1999) e The Limits of Control (2009). L’universo abitato dall’assassino di Fincher, per quanto aderente alla realtà e totalmente materiale, si mette in scia allo spunto del Jarmusch più recente, che sfrutta l’azione e il compito da svolgere come pretesto per un’immersione esistenziale nell’intimità del personaggio, in dialogo con i committenti e gli assassini che rintraccia lungo il proprio percorso.
The Killer vive di questo binomio tra materiale e immateriale, azione e riflessione. Un contrasto evidente già nelle voci off del protagonista che affollano l’inizio del film, in parte stridenti con la linearità degli avvenimenti che mette in scena nella formidabile sequenza d’apertura. Il primo atto parigino, trenta minuti di cinema solido che impostano l’architettura elegante e cesellata del film, esibiscono l’impianto registico di Fincher, che porta agli estremi la propria pulizia tecnico-estetica tramutandola in un cosciente manierismo. Ogni movimento di macchina, ogni inquadratura è calibrata al millimetro come il fucile di precisione del suo protagonista, aderendo totalmente all’identità del personaggio che il film racconta: come l’assassino senza nome si muove in una danza geometrica con il solo scopo di eseguire i propri compiti, così anche l’occhio di Fincher diventa una funzione, un calcolo preciso e puntuale. Una messinscena talmente asciutta, quella del regista statunitense, da rischiare di drenare il film (e lo spettatore) di ogni partecipazione emotiva, in completa sovrapposizione con il sicario al centro della storia.

La colonna sonora originale firmata da Trent Reznor e Atticus Ross – premi Oscar per le musiche del film d’animazione Soul (2021), insieme a Jon Batiste, e di The Social Network (2011), primo film della decennale e ininterrotta collaborazione con Fincher – è un controcanto muscolare all’essenzialità delle immagini. Le composizioni elettroniche altisonanti, di contrappunto alle azioni silenziose e metodiche del killer, si amalgamano alla messinscena soltanto in due occasioni: nell’ampollosità dei titoli di testa, in cui ogni cartello è accompagnato da un paio di guanti neri che compiono ogni volta una tipologia di assassinio diverso (strangolamento, avvelenamento, detonazione, cortocircuito elettrico, incendio, strangolamento, investimento in auto), e nel feroce scontro a mani nude nella casa dell’assassino in Florida, una delle sequenze più di impatto dove il film diventa azione pura.
 

La compilation degli Smiths accompagna la narrazione trasferendo al personaggio un alone di malinconia, un malessere costante che dà profondità alle sue azioni così meccaniche


All’interno del tessuto narrativo, come musiche diegetiche che il protagonista ascolta per concentrarsi durante l’esecuzione dei suoi lavori, Fincher sceglie invece una selezione di brani degli Smiths, pescando trasversalmente dai quattro album in studio della band inglese – l’omonimo esordio, Meat Is Murder, The Queen Is Dead, Strangeways, Here We Come – e da alcuni dei loro singoli più celebri come How Soon Is Now?, Heaven Knows I’m Miserable Now e Shoplifters of the World Unite. La compilation “Work Mixtape”, che in un piccolo easter egg della scena iniziale appare sullo schermo del dispositivo nell’ordine esatto in cui la ascolteremo nel film, accompagna tutta la narrazione trasferendo al personaggio un alone di malinconia, un malessere costante che dà profondità alle sue azioni così meccaniche. «Trovo la musica una distrazione utile: aiuta la concentrazione, impedisce alla voce interiore di vagare». La voce pensiero del protagonista, come gli Smiths, riempie The Killer – a volte in maniera fin troppo didascalica altre volte brillante interrompendosi in dialogo con la scena – alternandosi tra digressioni sociali e morali e descrizioni da manuale del sicario.

«Il mio metodo è puramente logistico, perfettamente focalizzato sul progetto», sembra dire Fincher con le parole del suo protagonista. Eppure, come il discorso interiore del killer, lo stesso Fincher compie scelte divergenti, si diverte ad opporre convinzioni lapidarie ad azioni frammentate, a contraddirsi lungo la strada. «Attieniti al piano. Gioca d’anticipo, non improvvisare. Non fidarti. Mai concedere un vantaggio. Combatti solo se sei pagato per combattere. Niente empatia, l’empatia è debolezza. La debolezza è vulnerabilità», dice a se stesso il killer preparandosi a sparare. «A ogni passo del percorso chiediti: “Io che cosa ci guadagno?”. Questo è quello che conta. Quello in cui devi impegnarti se vuoi avere successo. Semplice». Spara, e fallisce il colpo.
Nel giocare su queste contraddizioni, Fincher non perde mai la prospettiva che ha scelto per l’elegantissima messinscena, incisa dalle luci di Erik Messerschmidt, già direttore della fotografia e premio Oscar per Mank, e tiene il fuoco sulla razionalità estetica che è espressione perfetta del pensiero cinico del protagonista. Il sicario impalpabile di Fassbender immagina il proprio universo con la stessa regolarità con cui il regista lo rappresenta, senza accorgersi dell’incoerenza tra pensiero e azione, senza distaccarsi mai dal suo modo di vedere il mondo per (quasi) tutto il corso della storia.

“Il bersaglio”, “Il rifugio”, “L’avvocato”, “Il bruto”, “L’esperta” e “Il cliente”: in sei capitoli tra Francia, Repubblica Dominicana e Stati Uniti, il film percorre a ritroso la catena dell’omicidio su commissione. Non, però, quello che dovrebbe compiere il protagonista, ma la spedizione punitiva che rischia lui stesso dopo il fallimento dell’omicidio di Parigi e che invece colpisce Magdala, la ragazza che si prende cura del suo rifugio in Repubblica Dominicana e, lì, anche di lui. L’inizio del secondo atto trasforma The Killer da film d’azione a revenge movie – un revenge movie atipico, per quanto rispetti tutti i canoni del genere, in cui la vendetta è servita più fredda del solito. È una strada che incanala il film su binari più usuali, ma che coglie l’occasione di sfruttarli per raccontare squarci di contemporaneità.
 

Il continuo movimento del killer diventa una via per riflettere su un mondo contemporaneo fatto di isolamento sociale, disinteresse umano, interesse economico, sorveglianza


Il continuo movimento del killer – tra aerei, auto, furgoni, treni e fuoristrada – diventa una via per mostrare il flusso indifferente di persone tra cui il protagonista scivola indisturbato, per riflettere su un mondo contemporaneo fatto di distanza e isolamento sociale, disinteresse umano e interesse economico, sorveglianza costante. In questo contesto, l’amoralità è uno strumento che il killer usa per giustificare le proprie azioni agli occhi del pubblico. «Ogni anno nascono 140 milioni di esseri umani, più o meno. La popolazione mondiale è di circa 7,8 miliardi. Ogni secondo muoiono 1,8 persone. E 4,2 persone nascono esattamente in quello stesso secondo. Niente di quello che ho fatto potrà mai intaccare questi parametri».

Eppure, di nuovo in contraddizione, il killer agisce nel suo percorso di vendetta attraverso un preciso codice morale, eliminando tutti gli anelli della catena responsabile del male che ha colpito Magdala risparmiando soltanto, nel punto più contraddittorio del film, il cliente alla testa della catena di violenza. Una figura che fa parte dei “pochi”, il gruppo a cui il killer in apertura si fregia di appartenere, ma da cui poi si distanzia nel finale, schierandosi nella fila dei “molti”. Perché non uccidere chi da un momento all’altro può far ripartire la catena? Perché non colpire un rappresentante di quella società cinica che il killer sembra abbracciare ma da cui poi si distacca violentemente nel corso della storia? Sono domande che rimangono senza risposta, come gli interrogativi morali che pone l’esperta interpretata da Tilda Swinton al protagonista, nel faccia a faccia tra assassini che appare il confronto centrale del percorso del killer, nonostante il sicario pronunci a malapena qualche parola.
 

The Killer, film del fare esteriore e del dire interiore, è cosciente di un’ambiguità che non risolve mai del tutto


Nel suo scoprire le carte, nel suo mettere a nudo se stessa e il killer in quelli che saranno gli ultimi suoi attimi di vita, Tilda Swinton è l’anello di congiunzione tra dimensione materiale e esistenziale del film, nonché congiunzione tra The Killer e The Limits of Control in cui l’attrice inglese interpreta una parte – bianchi l’abito, gli occhiali e il cappello da cowboy della mise bizzarra del suo perdonaggio – seduta ad un tavolo faccia a faccia con il protagonista. In un dialogo con un sicario in perenne silenzio, esattamente come l’assassino di Fassbender, parla di cinema, cita Il sospetto di Hitchcock e La signora di Shanghai di Orson Welles, e commenta ironica il silenzio di quel suo soliloquio: «Talvolta mi piace quando nei film le persone se ne stanno sedute lì, senza dire niente». The Killer, film del fare esteriore e del dire interiore, è altrettanto cosciente dei diversi livelli di lettura a cui si presta, cosciente di un’ambiguità che non risolve mai del tutto, lasciando il suo protagonista e gli spettatori nel dubbio. «I film migliori sono come sogni che non sei mai davvero sicuro di aver fatto», dice ancora Tilda Swinton in The Limits of Control. Il sogno di Fincher, lucido e glaciale, è un film che riflette su se stesso e che, sfuggente come il suo protagonista, lascia nella nostra memoria tracce uniche e ripetibili, immagini che non siamo mai davvero certi di aver visto.

 

«Tutto dipende dalla preparazione, dall’attenzione ai dettagli. Ripetizioni, ripetizioni e ripetizioni»
USA 2023 – Thrill. Az. 118’ ★★★


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