Psycho killer, qu’est-ce que c’est?

Il cinema nella mente del serial killer da Norman Bates e Hannibal Lecter alla serie Mindhunter

Tra i migliori prodotti televisivi del 2017 c’è la serie Netflix Mindhunter. Ideata da Joe Penhall, la serie vede tra i produttori esecutivi l’attrice Charlize Theron e il regista David Fincher, dietro la macchina da presa per ben quattro dei dieci episodi della prima stagione (i primi e gli ultimi due). La serie è basata sul libro Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit, scritto nel 1995 da Mark Olshaker e John E. Douglas. Fino ad ora nulla di nuovo: una serie basata su un romanzo, già visto, già fatto.
Il libro narra la vita di John Douglas, fondatore dell’unità investigativa di supporto dell’FBI nel 1980 e creatore di un autentico programma di Criminal Profiling. Il suo metodo di indagine era quello di entrare nella testa dei serial killer per trovare le metodologie più efficaci per fermarli. Per riuscire nel suo intento Douglas interrogò decine tra i più pericolosi individui che terrorizzarono l’America in quegli anni, arrivando persino a Charles Manson. Il racconto delle sue vicende costituisce una sorta di “bibbia” non ufficiale per tutti gli amanti della psicologia criminale e ha influenzato gran parte degli autori che si sono occupati di storie di serial killer. Motivo per il quale si può considerare la madre della “crime fiction” così come la conosciamo oggi.

Leggendo questa descrizione del libro la prima cosa che ci viene in mente è la figura di Hannibal Lecter, prima protagonista dei romanzi di Thomas Harris, poi portato sul grande schermo da Brian Cox in Manhunter di Michael Mann nel 1986 – ribattezzato Hannibal Lektor – e infine reso celebre dalla magistrale interpretazione di Anthony Hopkins (record del minor minutaggio in un film per la vittoria di un Oscar) in Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme del 1991. Fama rinsaldata negli anni successivi con i tre film: Hannibal (2001) di Ridley Scott, Red Dragon (2002) di Brett Ratner e Hannibal Lecter – Le origini del male (2007) diretto da Peter Webber. Il personaggio ha poi preso una piega personale con la serie Hannibal ideata da Bryan Fuller e con Mads Mikkelsen nel ruolo del famoso cannibale, andata in onda tra il 2013 e il 2015.
 

La novità introdotta da Il silenzio degli innocenti è stata quella di “giocare” con il ruolo del serial killer, eleggendolo ad alleato del protagonista


La novità introdotta nella prima pellicola di cui Lecter è stato protagonista è quella di “giocare” con il ruolo del serial killer, eleggendolo ad alleato del protagonista. Anche se ancora parziale, quest’innovazione è stata uno spartiacque per l’evoluzione della scrittura di uno sceneggiato di crime fiction. Diventando una figura così centrale, infatti, lo spettatore ha modo di entrare nella mente del serial killer in modo diretto, senza altri personaggi a fare da intermediari. Chi guarda può farsi una sua personalissima idea e improvvisamente scoprire una figura più decisiva, capace di sostenere un’intera narrazione. Alcuni registi hanno giocato con la scrittura di questo personaggio, ma nessuno prima della figura di “Hannibal The Cannibal” è riuscito a raggiungere una profondità e uno studio della figura del serial killer così dettagliata, originale e profonda. Per quanto conservi dei tratti che lo rendano un protagonista cinematografico, dotato di qualità fuori dal comune, intelligente, affascinante e privo di debolezze.

Uno dei più grandi maestri nella storia del cinema, e probabilmente il precursore del genere “thriller” così come lo conosciamo oggi, fu Alfred Hitchcock. In Psycho (1960), tratto dall’omonimo romanzo di Robert Bloch (1959) e basato sulle reali vicende del serial killer Ed Gein, racconta la storia di Norman Bates, folle assassino che attraverso la trasformazione nella persona di sua madre è in grado di compiere omicidi a sangue freddo ai danni dei  malcapitati ospiti del motel che gestiva. Questa pellicola, oltre ad aver avuto un successo straordinario, ha introdotto per prima la figura del serial killer al cinema, ispirando intere generazioni di autori. Ma il film ci racconta un killer rudimentale, una figura acerba, capace di spaventare lo spettatore, ma incapace di dialogarci: tra personaggio e spettatore c’è una distanza. Non c’è confronto, non c’è empatia, non c’è quindi immedesimazione.

Nell’ambito della crime fiction lo stesso David Fincher è uno dei pochi autori ad aver lasciato la sua personalissima e indelebile impronta. In Seven (1995) si segue il caso del serial killer John Doe e il regista introduce una figura più complessa e realistica: viene svelata allo spettatore la psicologia di un killer mosso da delle motivazioni personali, da una sua, seppur profondamente distorta, visione del mondo e anche da una sua idea di se stesso e del suo ruolo. Una persona con una propria filosofia di vita. Qualche anno dopo Fincher continua il suo percorso nel mondo della psicologia criminale con Zodiac (2007) portando sul grande schermo la misteriosa figura del “Killer dello zodiaco”, attraverso i libri di Robert Graysmith.
 

In Seven David Fincher introduce una figura più complessa e realistica, un serial killer mosso da delle motivazioni personali, da una sua, seppur profondamente distorta, visione del mondo. Una persona con una propria filosofia di vita


La particolarità della pellicola risiede nella fedeltà nei confronti della reale indagine, grazie alla quale lo spettatore riesce ad immedesimarsi nell’investigatore arrivando a farsi una sua idea del mondo dei serial killer e di come questi uomini si muovano in un territorio reale e non di fiction. Attraverso lettere scritte di suo pugno, testimonianze, indagini, incongruenze, fallimenti e difetti del killer arriva allo spettatore l’immagine di una persona viva e reale, non più creatura di fantasia. Eppure è ancora presente un filtro: sono i personaggi che indagano a fornire teorie e a fare ipotesi sul modo di ragionare dell’assassino.

E qui torniamo alla serie Netflix Mindhunter. La fusione di storia romanzata e documentazioni reali riguardo a modus operandi, pensieri, idee, progetti, stili di vita, storie familiari dei serial killer fornisce allo spettatore un nuovo mondo in cui immergersi. I “mostri”, così distanti da noi, diventano ora i nostri vicini di casa, padri di famiglia, vittime di abusi, operai con un vizio che infine li domina o semplici ragazzi innamorati e troppo deboli per affrontare la realtà. Le agghiaccianti interviste in carcere ci consegnano uomini veri, capaci di spiegare razionalmente i proprio delitti, dandoci la possibilità di entrare realmente in contatto con loro. Il delineamento della figura del serial killer diventa il motore della serie, non più un escamotage narrativo funzionale alla storia e al suo protagonista, creando personalità totalizzanti e talmente complesse da oltrepassare i limiti della fiction per approdare al documentario vero e proprio: lo sceneggiato diventa quasi un profiling di questi personaggi. La rivoluzione di Mindhunter riguarda essenzialmente la scrittura del personaggio, e come questa scrittura riesca nell’impresa di spalancare le porte verso un nuovo universo narrativo in cui bene e male perdono di significato, lasciando lo spazio ad una natura così complessa da aprirsi alle molteplici interpretazioni di chi si trova davanti allo schermo.


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