I migliori film del 2018

La top ten delle migliori pellicole uscite quest'anno nelle sale italiane

Quest'anno nella nostra classifica dei migliori film usciti in Italia nel 2018 ci sono alcuni film conosciutissimi, altri passati un po' sotto traccia. Come ogni anno, è una top ten non numerata: non una normale classifica, ma una serie di titoli che secondo i redattori de L'Eco del Nulla non dovreste perdervi. Il sacrificio del cervo sacro apre una serie di film da tutto il mondo: Polonia, Giappone, Stati Uniti ma soprattutto tanta Italia, con tre titoli tra i primi dieci. Oltre ai pluripremiati Roma Tre manifesti a Ebbing, Missouri ci sono infatti Dogman di Matteo Garrone, Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino e Lazzaro felice di Alice Rohrwacher.

Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos
Il cardiochirurgo Steven vive una vita benestante e distaccata con la moglie e i due figli, fin quando il giovane Martin con cui ha fatto amicizia comincia a perseguitare la sua famiglia, ritenendolo responsabile della morte del padre durante un’operazione. La maledizione che il ragazzo lancia su di loro – paralisi delle gambe, inedia e sanguinamento dagli occhi – ricadrà su tutti i familiari a meno che Steven non prenda una fatidica decisione.
Con la consueta glaciale freddezza Lanthimos mette in scena una dramma dai tratti inquietanti e dalle venature oscure in cui i protagonisti vengono pian piano schiacciati dall’inspiegabile dipanarsi degli eventi, che si abbattono su di loro con la forma di una piaga divina. Un’opera estrema in bilico tra cinema d’autore e tragedia greca, che imprigiona lo spettatore insieme ai personaggi con la maestria registica e la finezza delle interpretazioni.

Roma di Alfonso Cuarón
Cleo, giovane domestica indigena, lavora al servizio di una famiglia benestante di discendenza spagnola nell’instabile Città del Messico dei primissimi anni Settanta. Tuttofare affidabile, rispettosa e pudica, si occupa della casa e dei quattro figli di Sofia e di Antonio, marito assente e donnaiolo.
Trasponendo le proprie memorie di bambino nel rigore nostalgico di un elegante bianco e nero, Cuarón mette sullo schermo un dialogo trasversale tra presente e passato, sia in termini prettamente estetico-formali, sia in chiave sociale e politica. Il risultato è una pellicola maestosa ed emozionante, intima e universale, «che parla di una famiglia, di una città, di un Paese», mettendo al centro del suo racconto la donna e la sua dignità all’interno di un micromondo familiare. Fuori, come dentro, c’è una realtà in trasformazione, in cui forze della natura si alternano a tensioni sociali, stragi e tradimenti, tra le crepe di un delicato periodo storico. Leone d’Oro a Venezia.
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Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh
La figlia di Mildred è stata rapita, violentata e uccisa. Per smuovere le acque dell’indagine ferma da quasi un anno la donna affitta i tre cartelloni pubblicitari del titolo, sui quali affigge accuse alla polizia e allo sceriffo Willoughby. La provocazione scatena reazioni sempre più incontrollabili tra Mildred, la polizia e la cittadinanza.
Con una regia asciutta e una scrittura al vetriolo, McDonagh mette in scena un dramma dalle tinte grottesche, dove si ride e ci si commuove con la stessa intensità. L’autore britannico scrive personaggi tanto reali nelle loro sfumature da trasmettere – nelle violenze e nelle tenerezze, nelle azioni contrastanti e nei dolori condivisi – una profonda e sincera umanità. Quattro Golden Globe, due Premi Oscar per le interpretazioni di Frances McDormand e Sam Rockwell e Premio Osella per la miglior sceneggiatura a Venezia.
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Dogman di Matteo Garrone
In un’ideale periferia di Roma bagnata dal mare, Marcello è il pacato e cortese proprietario di un locale di tolettatura per cani a cui si dedica con lo stesso amore con cui si offre agli amici e alla figlia Alida. La disponibilità dell’uomo apre però ai soprusi di Simone, ex pugile prepotente e violento con cui Marcello instaura un’amicizia ambigua e simbiotica, che degenererà irrimediabilmente.
Ispirandosi liberamente all’efferato fatto di cronaca nera consumatosi a Roma nel 1989 – il delitto del Canaro della Magliana – Garrone racconta una violenta e dolorosa fiaba contemporanea con lo stile essenziale e rigoroso che da sempre contraddistingue il suo cinema, con un protagonista ridisegnato sui contorni del suo stesso interprete, Marcello Fonte, che il regista definisce «un personaggio quasi da cinema muto, un moderno Buster Keaton», in bilico tra disarmante tenerezza e comicità straziante. Premio per la miglior interpretazione maschile alla 71ª edizione del Festival di Cannes.
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Un affare di famiglia di Hirokazu Kore’eda
Padre e figlio vivono di taccheggio e dei lavori saltuari che il genitore fa in cantiere, in una casa di periferia popolata da una famiglia complicata. Una sera vedono la bambina dei vicini fuori al freddo in terrazza e la portano in casa loro, dove decidono di tenerla quando scoprono che è vittima di violenze domestiche.
La galassia familiare dipinta da Kore’eda è un inno alla sopravvivenza e un’indagine del mondo marginale delle metropoli dove la solitudine si moltiplica insieme alla rarefazione degli affetti. Un affare di famiglia è un affresco contemporaneo, ma la macchina da presa è puntata sul mondo infantile che con la sua autenticità e il suo sguardo vergine ha ancora in mano la possibilità di un futuro. Un gioiello giapponese che rimette in discussione l’idea di famiglia come legame di sangue. Palma d’Oro a Cannes.

Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson
Reynolds Woodcock è uno stilista d’ultimo grido nell’elegante Londra degli anni Cinquanta. Esteta dal gusto raffinato, scapolo dal cuore inafferrabile e maniacalmente ossessionato dal lavoro, dirige la sua maison affiancato dalla sorella Cyril e circondato da giovani compagne di passaggio, sue fugaci fonti d’ispirazione. Tra queste, irrompe nella sua vita Alma, goffa cameriera di un hotel conosciuta per caso, che lo conquista immediatamente con la sua bellezza distratta ed eterea, diventando ben presto la sua musa.
Ennesima perla di maestria registica di Paul Thomas Anderson che con la stessa eleganza del suo protagonista – interpretato da uno straordinario Daniel Day-Lewis –, cuce quadro dopo quadro un film potentissimo, insinuandosi tra i fili nascosti dell’amore, in bilico tra ossessioni, forze travolgenti, paure e fantasmi. Sei candidature agli Oscar del 2017, statuetta per i migliori costumi.

Cold War di Paweł Pawlikowski
La bella e intraprendente Zula viene selezionata da Wiktor per far parte della compagnia di canti e danze popolari Mazurek, ai tempi dell’ascesa di Stalin e del consolidamento dell’Unione Sovietica come superpotenza mondiale. Tra i due nasce un amore trascinante che si incrocia con l’avvento della guerra fredda, tra Polonia e Jugoslavia, Berlino e Parigi.
Girato in un profondissimo bianco e nero, frammentato come la storia d’amore che racconta, Cold War si riaccende ad ogni incontro dei suoi protagonisti, che attraversano le barriere dello spazio e del tempo per ritrovarsi. Un breve e intenso distillato di sentimento, dove la rincorsa inarrestabile dei protagonisti deve fare i conti con i tempi difficili di metà Novecento. Nella messinscena potente del polacco Pawlikowski la guerra fredda è metafora dell’intera realtà, che in tutta la sua atroce complessità si oppone alla purezza dei sentimenti. Premio per la miglior regia a Cannes.

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino
Un’estate d’amore fisico e intellettuale nella campagna italiana degli anni Ottanta, dove il giovane ebreo italoamericano Elio passa le vacanze coi genitori e il padre professore. Lì, tra i libri, la musica e i primi incontri sessuali con le ragazze, Elio si innamora del dottorando Oliver, molto più grande di lui.
Una storia delicata che immerge in un salotto altoborghese i turbamenti dell’epoca adolescenziale. Pur indugiando fin troppo sulla dimensione intellettuale della storia, rischiando la stucchevolezza, Guadagnino racconta con mano leggera e invidiabile finezza le strade dei sentimenti, in un film di sguardi e di silenzi che ricorda quanto possa essere intenso un amore anche (e soprattutto) se dura il tempo di un’estate. Premio Oscar alla miglior sceneggiatura non originale per James Ivory.

Un sogno chiamato Florida di Sean Baker
La piccola Mooney vive con la mamma Halley in uno sciatto motel rosa, dove passa il tempo giocando con i bambini delle altre famiglie mentre la mamma si guadagna da vivere rivendendo profumi e prostituendosi nella stanza dove vivono. Le giornate di Halley passano nell’indolenza, tra il tentativo di racimolare i soldi dell’affitto e di prendersi cura della bambina.
Sean Baker si addentra nella vita ai margini dove si infrange il mito del sogno americano. Il motel intorno a cui ruota Un sogno chiamato Florida sembra un castello incantato, l’America dove crediamo di poter sognare e vivere felici, ma è solo un’illusione che all’interno cela profonda sofferenza e disperazione. Il regista statunitense lavora dal basso, raccontando la storia con gli occhi di una bambina e tingendo il suo mondo di azzurro e di fucsia, di rosa e di giallo per colorare la sua vita fragile e sempre sul punto di andare in frantumi.
Leggi il nostro approfondimento qui ► Florida Project, il posto più felice sulla terra

Lazzaro felice di Alice Rohrwacher
Lazzaro vive insieme ad altri contadini nella sperduta e immaginaria comunità dell’Inviolata, dispensando con profonda generosità le sue fatiche e la sua bontà a chiunque gli stia intorno. Lo spazio che queste umili persone abitano sembra come cristallizzato nel tempo, calato in una sorta di passato atavico, ma non è che un inganno abilmente architettato dalla marchesa De Luna, proprietaria di una piantagione di tabacco in cui i suoi contadini lavorano in condizioni di schiavitù, ignari della fine della mezzadria.
La Rohrwacher costruisce un mondo che resta sospeso tra reale e fiabesco, e lo fa con un’impronta autoriale personale e autonoma in cui Lazzaro veste i panni della santità e col suo sguardo “inviolato” sul mondo risorge: incarnando idealmente la possibilità della bontà, che ciclicamente muore e ritorna. Nonostante la complessità simbolica che lo fonda, Lazzaro Felice è un film semplice, imperfetto, autentico. Premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes.
Leggi la nostra recensione qui ► Lazzaro Felice

In un anno pieno di grande cinema italiano segnaliamo anche alcuni titoli rimasti per poco fuori dalla top ten: La terra dell'abbastanza dei fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo, che indaga dal basso la periferia romana, il degradato eppure bellissimo Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis e il documentario Santiago, Italia del sempreverde Nanni Moretti.


Parte della serie I migliori film dell'anno

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