Una donna promettente di Emerald Fennell

con Carey Mulligan, Bo Burnham, Alison Brie, Chris Lowell, Max Greenfield, Alfred Molina

Dopo l’Oscar alla miglior sceneggiatura e l’uscita rimandata per le critiche sul doppiaggio maschile dell’attrice transgender Laverne Cox, nella prima versione doppiata in italiano da Roberto Pedicini, è uscito in sala anche in Italia Una donna promettente, film d’esordio dell’attrice e showrunner britannica Emerald Fennell. Una pellicola d’impatto sulle conseguenze della violenza sessuale figlia della violenza sotterranea che serpeggia in seno alla società occidentale, per quanto progressista ancora endemicamente maschilista e patriarcale. Per rappresentare l’eroina che si oppone a tutto questo, Fennell sceglie il volto di Carey Mulligan, già straordinaria in An Education, Drive e Shame ma qui forse nel ruolo di una vita.
Cassandra (C. Mulligan) è una ragazza di 29 anni che ha lasciato gli studi in medicina dopo che lo stupro della sua compagna di corso e amica del cuore Nina è rimasto impunito. Il drammatico evento e la mancata reazione da parte di preside, professore e compagni porta Cassie a prendere una scelta drastica nella vita: di giorno lavora nel caffè di Gail (L. Cox), di notte si finge ubriaca nei locali, adesca uomini che la vedono una facile preda sessuale e si lascia portare a casa loro, dove rivela la propria sobrietà e li punisce per il loro comportamento. L’incontro con Ryan (B. Burnham), vecchio compagno d’università, sembra poterle fare cambiare idea.
 

Cassandra è la vendicatrice non soltanto di una vicenda privata e personale, ma della condizione femminile tutta


Una donna promettente è una storia di violenza e vendetta che gioca con gli stilemi del cinema horror, rappresentando la propria protagonista come la vendicatrice non soltanto di una vicenda privata e personale, ma della condizione femminile tutta. Una femminilità, quella rappresentata da Cassandra, che riesce contemporaneamente ad essere fragile e fiera, forte e stanca: stanca di una colpa introiettata che porta con sé, una colpa mai veramente sua e che nonostante questo la tormenta e la muove. 
Nel dare forma all’universo della sua protagonista delicata e vendicativa contribuiscono il lavoro scenografico di Michael Perry, già scenografo di It Follows, con i suoi ambienti colorati di rosa e carta da zucchero – quasi a suggerire una Cassandra imprigionata nella propria infanzia – e i costumi di Nancy Steiner, la cui carriera riflette esattamente il tono del film, in equilibrio tra leggerezza e candore (Lost in Translation, Elizabethtown, Little Miss Sunshine), tra violenza e inquietudine (Amabili resti, Il sacrificio del cervo sacro, Twin Peaks: il ritorno).

Oltre all’interpretazione di Carey Mulligan, perfetta nell’incarnare le diverse sfumature di Cassandra, colpisce la scelta di attori della commedia televisiva americana come Adam Brody (il Seth Coen di The O.C.), Alison Brie (la Trudy Campbell di Mad Men e la Annie di Community) e Max Greenfield (il grottesco Schmidt coinquilino di Zooey Deschanel in New Girl). In un gioco di specchi intelligente, Fennell ribalta e distorce la loro immagine pubblica trasformando ognuno di loro nel proprio opposto. Alison Brie, che da Trudy prima è imbrigliata negli schemi sessisti e patriarcali degli Stati Uniti degli anni Cinquanta e poi da Annie è una ragazza sessualizzata per battuta – «Annie is pretty young, we try not to sexualize her» – in un gioco a cui lei stessa partecipa, diventa carnefice silenziosa della violenza sessuale, scegliendo volontariamente di non prendere le posizioni di Nina e di ignorare l’accaduto. Max Greenfield, bizzarro e divertentissimo come Schmidt (grasso da ragazzo e perciò da adulto ossessionato dall’esaltazione del proprio corpo), mantiene la dimensione grottesca del personaggio che lo ha reso e diventa immediatamente inquietante, quando condona i peccati dell’amico stupratore convincendolo che tutto l’avvenimento è solo un inciampo nel loro percorso di vita, un imprevisto da cancellare.
 

Brody è il classico “bravo ragazzo” evocato fin dalla prima scena, e contribuisce immediatamente al ribaltamento dell’archetipo sociale, al suo smascheramento


Adam Brody, pur con pochissimo minutaggio sullo schermo, è fondamentale nel settare il tono del film. Nell’immaginario popolare Brody è il classico “bravo ragazzo” evocato fin dalla prima scena, e contribuisce immediatamente al ribaltamento dell’archetipo sociale, al suo smascheramento, riposizionando il “bravo ragazzo” all’interno del contesto in cui si sviluppa: una figura che la società non percepisce come negativa, ma che utilizza la propria posizione e il proprio privilegio di maschio per compiere azioni negative e spesso violente – laddove violenza è, con diverse sfumature e gradazioni, tutto ciò che un individuo impone ad un altro contro la sua volontà. E non è solo la società a percepire il “bravo ragazzo” come una figura positiva, è egli stesso che percepisce le proprie azioni come perfettamente legittime a causa delle convenzioni sociali in lui stesso innervate.

Spesso accade che in un film con una forte valenza sociale questa componente, agli occhi dell’opinione pubblica, diventi preponderante e finisca per inghiottire l’effettivo valore filmico dell’opera. Era successo due anni fa con Parasite – un bel film scambiato per più di quel che era –, succede di nuovo con Una donna promettente, che ha ottenuto premi e candidature a cascata pur vincendone poche rispetto al corrispettivo coreano. Le due pellicole sono in un certo senso speculari per come rispondono con azioni violente alla violenza del contesto sociale che opprime i protagonisti – la borghesia sul popolo da una parte, la società patriarcale sulle donne dall’altra – e certamente hanno riflettuto per prime su alcuni aspetti particolari di un periodo storico di fratture e scontri sociali. Entrambe sono state celebrate ed entrambe fraintese, esaltate come opere imprescindibili (con l’abuso quotidiano che si fa oggi della parola “capolavoro”) e interpretate come pellicole d’impegno e per questo criticate, come nell’analisi di Gilles Nicoli su minima&moralia.
 

Una donna promettente, come Parasite, parla di temi sociali ma è in tutto e per tutto un film di genere: un thriller dalle tinte horror che usa la struttura del revenge movie


Nell’approfondimento, tralasciando il passaggio che suggerisce come un certo tipo di film “dovrebbe essere”, Nicoli inserisce Una donna promettente all’interno della griglia del «cinema d’impegno civile», dimenticando che questa definizione indica una categoria precisa di film d’autore con la propria impronta e la propria voce: mettere il film sullo stesso piano delle pellicole di questa tradizione come se ci si trovasse nei territori dei Ken Loach e degli Elio Petri, ma anche dei Marco Tullio Giordana, è un’affermazione completamente fuori fuoco. Una donna promettente, come Parasite, parla di temi sociali ma è in tutto e per tutto un film di genere: un thriller dalle tinte horror che usa la struttura del revenge movie per riflettere con soluzioni estreme su aspetti estremi della nostra società. È un thriller quando Cassie adesca le proprie vittime, è un horror quando si avvia verso la loro punizione, con un travestimento a metà tra un pagliaccio e un’infermiera, sulle note inquietanti di Toxic riletta dal compositore Anthony Willis.

La forza del film è proprio la capacità di incrociare i canoni del genere – il thriller – con le questioni di un genere – il femminile – attraverso il meccanismo della vendetta e del perdono. Come dice la regista Emerald Fennel nell’intervista del Guardian tradotta su queste pagine: «Cassie vuole perdonare. Ha bisogno che qualcuno confessi e chieda scusa. La base di tutte le religioni è che il perdono venga concesso a chi confessa ed espia le proprie colpe, ma tante persone vogliono essere perdonate senza confessione o espiazione». Ed è questo il punto nodale del film, che non a caso sceglie un attore di peso come Alfred Molina per interpretare il ruolo dell’avvocato colpevole dell’assoluzione dei responsabili della violenza in una delle sequenze più intense del film, in cui l’avvocato si inginocchia di fronte a Cassandra chiedendole perdono, consapevole della propria colpa. «Sono qui per Nina», gli dice lei alla porta di casa. «Ti stavo aspettando».
Come “Al” Monroe ha bisogno di arrivare ai limiti della violenza per riconoscersi stupratore, probabilmente gli spettatori uomini, soprattutto i “bravi ragazzi”, hanno bisogno della violenza di Una donna promettente per confrontarsi con le ramificazioni sessuali del proprio privilegio. Per quella parola di troppo, per quella battuta pesante, per quel tocco non richiesto, per quella bevuta con un secondo scopo, che contribuiscono a rendere normali le violenze sessuali e non. Forse solo così, con un attacco frontale, senza perdono né redenzione che non venga da loro stessi, quegli uomini, noi uomini, potremo cominciare a guardarci allo specchio e riconoscerci in tutte le perversioni dei nostri comportamenti, in tutte le nostre storture.

 

«Sono un bravo ragazzo»
«Lo sei?»

USA 2021 – Thrill. 113’ ★★★


Commenta