Cronaca di una distruzione

La travagliata vicenda editoriale de La distruzione, romanzo del 1970 con un narratore nazista

Nel 1970, Mondadori fece uscire La distruzione, un romanzo con un narratore dichiaratamente nazista, il cui autore portava un nome che pareva uno pseudonimo: Dante Virgili – che in precedenza aveva comunque firmato con un falso nome, Dean Blackmoore, ben ventiquattro romanzi western per ragazzi. In un’epoca di quasi totale egemonia culturale del PCI, un testo del genere era potenzialmente una bomba piazzata sugli scaffali delle librerie, capace di innescare una infinita serie di polemiche ideologiche. Ma non accadde nulla di simile: nessuno prese in considerazione l’opera né il suo autore. Tuttavia, negli anni il romanzo è stato riscoperto: nel 2003 fu ristampato da peQuod, per poi riprendere, nel 2015, a circolare in una sorta di edizione pirata. Nel 2016 Il Saggiatore lo ha riedito, corredato da una prefazione di Roberto Saviano in cui si scomodano, esagerando un po’, autori quali Céline, Cendrars e Baudelaire – quest’ultimo definito «padre degli odiatori» –, dei quali però Virgili non ha il peso e il portato estetico. Lo ha spiegato con efficacia Fabio Donalisio in un articolo uscito su «Blow Up» #215 di aprile 2016:
 

Spesso è stato speso il nome di Céline, per chi si dedica allo sport di cercare termini di paragone. Per la destra, e anche per la lamentosità. A mio avviso, siamo molto altrove. Sia per statura, sia per modalità. Quello che colpisce, in antitesi proprio a un Céline, è la totale adesione della scrittura alla voce, la totale mancanza di una qualsiasi ironia. Il che da una parte lancia interrogativi inquietanti sulla psiche dell’autore, dall’altra spinge la scrittura in un’escalation continua alla ricerca di una sorta di tragico totale che, inevitabilmente, a tratti si rovescia in un comico sardonico, nauseabondo.


Ecco, se il testo di Virgili non è accostabile all’opera di Céline e degli altri autori menzionati, ciò non gli preclude una serie di motivi d’interesse: non solo perché è l’unico testo nazista della nostra letteratura, ma anche perché scritto con una forma singolare e poco replicabile, con uno stile violento che va di pari passo con la violenza deflagrante dei contenuti. Il narratore della La distruzione è un ex-interprete delle SS in Italia, un nostalgico del Terzo Reich che scrive nel 1956, durante la crisi di Suez, da lui vista come una speranza di guerra nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, l’occasione perfetta affinché si avveri l’agognata distruzione presente sia nel titolo e sia nell’esergo dostoevskjano posto in apertura: «Noi proclameremo la distruzione. Perché, ancora una volta, questa piccola idea è così affascinante? Verrà un tale sconquasso, come il mondo non l’ha finora veduto».

L’uomo lavora come correttore di bozze per un giornale governativo, e alterna il racconto del suo misero presente alla nostalgia per la grande Germania del Führer. L’odio e la violenza del Nazionalsocialismo permeano l’intera sua esistenza e il testo, un rimestare nel putrido di oltre duecento pagine, non lascia spazio alle ambiguità: il protagonista non nasconde mai il suo terribile credo politico che, è bene sottolinearlo, non si lega ad alcun tipo di neofascismo ma a una continua rievocazione del pensiero hitleriano e all’inneggio all’estinzione totale dell’umanità.

In tutto ciò rientra pure il suo morboso attaccamento all’altro sesso, sospeso tra il ricordo di un amore infelice per una donna, Bianca, e una vita sentimentale impraticabile a causa di un aspetto orribile, al limite del disgustoso: la sua vita sessuale passa dunque attraverso il sesso a pagamento con, in aggiunta, pratiche sadomasochiste che ribadiscono una visione subalterna della donna. Difficile andare oltre nella presentazione di un libro la cui trama è pressoché assente e dove tutto è affidato a una prosa a suo modo avanguardista, sprezzante almeno quanto le riflessioni dell’io narrante, basata tanto su folli flussi di coscienza quanto su periodi frammentati incuranti dei segni d’interpunzione, in cui spesso l’italiano è innestato da brani, frasi o singole parole in lingua tedesca.
 

Cambiare. Was. In questo dannato paese che nessuno si decide ad annientare. Forse fare il furbastro con costoro. Arruffianarmeli. Recitare la parte del democristo. Che schifo. Ci guadagnerei qualcosa poi. Dove sono i miliardi o dove crepita il mitra creare il gruppo Satana quanto avviene al di qua non m’interessa. Mi annoia. L’assoluto o l’assurdo. Il suolo appartiene a chi lo conquista e il diritto è un’invenzione umana Dio non conosce che la forza.


Il romanzo ha inoltre una vicenda editoriale meritevole di essere raccontata, compito di cui s’incarica Antonio Franchini nel suo Cronaca della fine, uscito per Marsilio nel 2003, andato fuori catalogo e ricomparso, come altri titoli della casa editrice veneziana acquisita da Feltrinelli, nell’autunno del 2019 nell’Universale Economica. Si tratta quindi di un’occasione per parlare di un testo notevole, anche migliore dello stesso libro di Virgili. Franchini non è infatti soltanto un grande editor, il deus-ex-machina per anni a capo della narrativa italiana di Mondadori (ora al lavoro con Giunti), fautore di diversi casi letterari, ma è anche uno scrittore di alto livello. In Cronaca della fine ricostruisce la rocambolesca storia della Distruzione e ci restituisce il ritratto del «Distruttore».

Tutto comincia nel 1968, quando il manoscritto del romanzo arriva in lettura ad Alcide Paolini e Vittorio Sereni: il primo ne è abbastanza entusiasta, il secondo non è invece convinto di farlo uscire. Nel mentre Dante Virgili, all’epoca quarantenne – e quindi non sovrapponibile al suo narratore ex-interprete delle SS –, scrive più volte alla casa editrice per assicurarsi che il suo lavoro sia stato letto e apprezzato. Nella narrazione franchiniana, la personalità del Distruttore traspare poco dalle lettere, benché, col libro in odore di pubblicazione, il suo atteggiamento cambi pian piano: non diventa uno stalker, ma uno dei tanti soggetti facilmente assimilabili al microcosmo delle case editrici in cerca di un piccolo spazio all’interno di quel mondo e spesso anche di denaro, elemento ricorrente nell’epistolario di Virgili. A convincere Sereni, al tempo direttore letterario mondadoriano, fu un altro poeta come lui, Giovanni Giudici, che fece da ago della bilancia esprimendosi positivamente su La distruzione. Virgili, e non solo lui, si aspettava un po’ di sconquasso e di conseguenza pure delle vendite sufficienti a fargli entrare qualche soldo in tasca: ma, come già detto, il romanzo non smosse alcunché.

 

Cronaca della fine non fa un’apologia di Dante Virgili: al contrario, si insinua nei meandri più oscuri, scabrosi e indicibili dell’uomo



Malgrado ciò, come racconta Franchini, Virgili non sparirà mai del tutto dai radar della casa editrice meneghina. Anzi, per ragioni all’apparenza quasi inspiegabili, la Mondadori fu per lui una sorta di ammortizzatore sociale, poiché un buon numero di funzionari, dirigenti e editor, in particolare Ferruccio Parazzoli (anche lui romanziere e autore, tra i tanti, di I demoni, romanzo incentrato proprio su Dante Virgili scritto assieme a Giuseppe Genna e Michele Monina), cercarono di procurargli dei lavoretti editoriali per sopperire alle sue ristrettezze economiche: schede di lettura, correzioni di bozze, cose così.

Dopodiché, sarà lo stesso Antonio Franchini a entrare in contatto col Distruttore, a farsi carico dell’incombenza di «occuparsi di lui» al posto di Parazzoli, stanco di un rapporto divenuto insostenibile e fatto perlopiù di lettere e di telefonate che giungevano puntuali all’ora della cena.
 

È possibile che in questo senso la follia autentica, comprovata di Virgili costituisse la garanzia in più che spiegherebbe la strana forma di investimento a lungo termine che un’intera casa editrice fece su un piccolo demone, su un uomo che all’inizio si presentava come un modesto depravato e che poco alla volta sarebbe cresciuto fino a diventare figura e simbolo di qualcosa di immensamente più sinistro.


In Cronaca della fine viene rammentato l’aspetto fisico grottesco e quasi deforme dell’autore della La distruzione. Consapevole della sua bruttezza, Virgili si terrà sempre alla larga dalle lenti degli obiettivi, e pertanto ad oggi non esiste nemmeno una sua foto. Franchini non ne sottolinea tanto le simpatie naziste, sul quale «il mostro» non si sbilancia granché, quanto la fascinazione per i regimi totalitari tout-court – non stupisce, ad esempio, il suo tifo per Saddam allo scoppiare della Guerra del Golfo. Ci sono anche zone dedicate ai suoi complicati e controversi rapporti con le donne, per mezzo dei quali scopriamo sì il suo lato più bestiale ma al contempo anche quello più tenero e umano.

 

Le parole di Dante Virgili rimarranno per sempre quelle di un alieno paranoide capitato per puro caso sul pianeta



Allo stesso Franchini toccherà poi cassare Metodo della sopravvivenza, opera seconda di Virgili arrivata vent’anni dopo la prima, poi uscita postuma per peQuod: lo fece con tutta probabilità a malincuore, dato che nei primissimi anni Novanta le condizioni economiche dello scrittore erano precarie almeno quanto la sua salute. La morte lo colse infatti nel 1992, e fu Parazzoli, in assenza di amici e parenti stretti, a occuparsi del riconoscimento del cadavere e delle spese della tumulazione.
 

Ma eccolo, il sepolcro del Distruttore, e almeno quello è coerente, è come uno se lo potrebbe immaginare: una gobba di terra con sopra una croce e la croce è fatta di piccoli pezzi di marmo bianco, come le tessere di un mosaico, solo un poco più grandi e ormai disallineate. È una croce che ha conservato più o meno la sua forma di croce, ma è tutta storta, come se un’emanazione sotterranea del piccolo demone avesse cercato di squassarla e non ci fosse riuscita che in minima parte.


Cronaca della fine non fa un’apologia di Dante Virgili: al contrario, si insinua nei meandri più oscuri, scabrosi e indicibili dell’uomo, talvolta con sguardo distaccato e a tratti partecipato, visto che Franchini, da un certo punto in avanti, diviene uno dei principali attori del suo romanzo. Un testo ricco di documenti e preziose informazioni, equilibrato nel far convivere gli episodi più deprimenti con altri estremamente spassosi; questi ultimi legati a certi personaggi dell’ambiente letterario-editoriale, su tutti il traduttore Lodovico Aselli, acerrimo nemico della letteratura tricolore, e improbabili autori sui generis miracolati da una o più uscite libresche.

Naturalmente il centro di gravità resta Dante Virgili, il mostro, il demone, il Distruttore; che non sarà mai ricordato come un genio o un nome da canonizzare a ogni costo: le sue parole rimarranno per sempre quelle di un alieno paranoide capitato per puro caso sul pianeta, parole prima inascoltate e col tempo sedimentate, entrate sotto pelle ai pochi che le hanno lette. In questo caso, il pensiero corre per forza di cose verso uno dei passi più celebri della Distruzione, dove con trent’anni di anticipo si profetizzava un evento simile all’undici settembre.
 

È di moda il martiriologio ebraico. Tant’è, non si può andare contro il proprio tempo. Come se fossero vittime solo i morti gassati non quelli arsi con le bombe al fosforo. E gli atomizzati in Giappone. Già, non fu un crimine. Ma altri lanci ritorceranno presto su loro, eh eh ALTRE Enola Gay. Mi lecco le labbra pensando all’ammasso di pietre cui si ridurranno le loro città. Colonne di fuoco alte come i grattacieli torri crollanti in un orizzonte sconvolto il cielo brucia sopra New York. Broadway Manhattan Fifth Avenue i quartieri dei ricchi CHICAGO le zone delle fabbriche il centro Montrose Hyde Park mutati in magma ardente mai il loro suolo fu devastato urla raccapriccianti torme impazzite corpi a brandelli spoglie orride ATOMTOD la guerra è giusta dispensiera di vendetta. Ma la prossima volta. Non saranno eterni santuari le città yankees combuste dilaniate. VEDO i grattacieli di acciaio sotto un diluvio di fiamme.
 

Impossibile, sia per gli euforici sia per gli apocalittici, non rimanerne quantomeno inquietati.


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