Trecento 2.0

Su L'imitazion del vero di Ezio Sinigaglia, novella boccaccesca del nostro tempo tra amore e marchingegni

Ezio Sinigaglia torna in libreria con una novella di ispirazione boccaccesca che ricorda, soprattutto per il suo spirito libertino, quelle raccontate dal giovane Dioneo nel Decameron. Da qui, sovrapporre per analogia il contesto storico che incornicia l’opera di Boccaccio – la peste trecentesca – a quello che stiamo vivendo noi adesso è pressoché inevitabile, ma consola sapere che L’imitazion del vero (TerraRossa, 2020) rappresenta per i suoi meriti un’ottima via di fuga dall’isolamento forzato di queste settimane infinite, e tanto basta.

Mastro Landone vive nel paese di Lopezia ed è un artigiano del legno estremamente creativo: non solo sa costruire sedie, tavoli, mobili di altissima fattura, ma è anche capace di creare marchingegni sofisticati che suscitano stupore e paura nei suoi compaesani. Considerato da alcuni alla stregua di un abilissimo mago, l’artigiano è anche di splendido aspetto: è alto, forte e imponente, tanto che tutti lo chiamano Landone invece che Orlando. Sembra dunque che Dio gli abbia donato tutti i favori possibili, tranne uno: Mastro Landone, illuminato dalla gemma dell’ingegno, soffre d’infelicità poiché «d’altre gemme aveva egli stesso desiderio che difficilmente posseder poteva», ossia aveva il desiderio di amare fanciulli e giovinetti.
 

Avevan le gemme ch’il desiderio di Mastro Landone accendevano di fanciulli e di giovinetti le graziose sembianze, donde la vista gli altri sensi tutti insieme subitamente infiammava. E per certo ad estinguere il fuoco di Mastro Landone avrebbe abbondantissima acqua la Natura provveduto, la quale facilmente verso gli uomini ai fanciulli inclinati i fanciulli medesimi inclina. Ma s’era in quel tempo, contro la Natura magnanima, una crudele legge nel Principato di Lopezia levata, che l’acqua pel fuoco di Mastro Landone faceva mancare. Poiché puniva detta legge il peccato di sodomia con castighi così vergognosi e terribili ch’al paragone la morte parrebbe un premio ciascuno.


La Natura è magnanima, ma non la Legge di Lopezia. Mastro Landone però è uomo di mondo, e prende atto dell’impossibilità di esternare il proprio desiderio tenendolo a bada con il lavoro, che mai manca. Ma un giorno qualcuno bussa alla porta della sua bottega: è un giovane di nome Nerino, tanto scuro di pelle quanto innocente d’animo, così bello da ricordare a Mastro Landone le regolari e abbacinanti fattezze delle statue antiche. Il desiderio si ridesta e, dopo aver assunto Nerino come garzone, l’artigiano inventa una macchina, dalle sembianze di una botte di legno, dentro cui nascondersi per soddisfare sia la propria volontà di amare, sia il desiderio di piacere carnale del giovane Nerino. Il ragazzo, una volta scoperta la sconvolgente verità, si adopera per coinvolgere nella faccenda un terzo personaggio, Petruzzo, che, con la sua entrata in scena, accelera il ritmo della narrazione fino al lieto fine delle battute conclusive.

Con L’imitazion del vero Sinigaglia aggiunge un altro tassello alla sua produzione, ad oggi ancora fin troppo sottovalutata dal pubblico italiano, continuando il lavoro di sperimentazione stilistica già iniziato con Il pantarèi (TerraRossa, 2019). In questo senso, «l’imitazione del vero» è non solo l’invenzione di legno che, nella novella, imita la passione sessuale, genuina, dei due protagonisti, ma anche, in una dimensione più metaletteraria, il processo di mimesi degli stilemi linguistici – in particolare costruzioni sintattiche e lessico – della tradizione volgare trecentesca, una tradizione più che mai «vera» perché fondativa della lingua italiana. Se da un lato le scelte stilistiche si ricongiungono, squarciando la sottile membrana del tempo, alla lingua delle tre corone italiane, dall’altro alcuni motivi e temi della novella fanno capo tanto alla tradizione letteraria di riferimento quanto alla personale poetica dell’autore.

Il motivo dell’innamoramento istantaneo che passa per gli occhi («e, sulla soglia, impietrito rimase, come colui che la folgore subitamente trapassa. S’era essa folgore, nel precipitar ch’aveva fatto dal cielo, nelle membra di un fanciullo incarnata, donde giammai non aveva Mastro Landone veduta la bellezza eguale»); della passione quasi incontenibile per l’oggetto del desiderio («sì che la passion donde già Mastro Landone s’era infiammato tosto si riscaldò d’un sentimento che via più lo turbava e che nelle membra e nella memoria sue un dolcissimo tumulto faceva»); della cameretta come testimone dei lamenti dell’innamorato («La notte, nel suo lettuccio solo, voleva Nerino in ciascun nervo la sua botte, e la botte non v’era»): possono essere tutti ricondotti al consueto nucleo di metafore e immagini della letteratura stilnovista. Tuttavia, la passione amorosa non è indirizzata verso nessuna donna candida «tanto gentile e tanto onesta», bensì verso un fanciullo dalla carnagione scura, così scura e così abbagliante da portare Mastro Landone ad affermare che è il nero, e non il classico bianco, il vero «color dell’innocenza».

 

La passione amorosa non è indirizzata verso nessuna donna candida «tanto gentile e tanto onesta», bensì verso un fanciullo dalla carnagione scura



Non più la donna come destinatario dell’amore, ma l’uomo; non più il bianco come colore che indica candore, ma il nero: con questo processo di modernizzazione dei tòpoi classici, nell’Imitazion del vero Sinigaglia lavora, come già nel Pantarèi, per opposizioni. Si evince già dalle prime parole pronunciate da Nerino in risposta alle domande di Mastro Landone non appena si conoscono: «Messer sì e messer no», che anticipano il gioco di contrasti che si dipana per tutto l’arco della narrazione, un gioco dai tratti ironici, dosato con sapienza dall’autore e dal narratore, che investe non solo i due personaggi principali della storia, ma tutta la voce del popolo: le differenze fisiche e le somiglianze in spirito tra i protagonisti sono, per la gente, da imputare al comportamento capriccioso della Natura, quest’immensa entità regolatrice dalla disposizione ora favorevole, ora malevola, ma sempre nel giusto.
 

E chi passar li vedeva, a fianco a fianco, il gigante biondo ed il fanciullo nero, […] e fra invidia e curiosità e meraviglia seco così ragionava: “Oh guarda come la natura li ha fatti dissimili nell’aspetto e uguali nella fissazion del pensiero. Ché l’uno è grande e l’altro è piccino; l’uno è pesante e l’altro è leggiero; l’uno è grosso, e l’altro è sottile; e l’uno ha il pelo del leone, e l’altro della pantera. E non pertanto amendue non han nella testa e nel cuore che querce ed abeti, olii e vernici, e pialle e martelli, e viti e congegni; ed amendue portan più affezione agli organismi meccanici ch’ai naturali; ed amendue, pur così diversamente belli nel corpo, non han nel corpo loro nessun sentimento […].


Sinigaglia non solo fa propri la voce, i temi e la visione del mondo dei grandi autori della lingua italiana, ma li trasporta nel nostro tempo, rendendoli contemporanei. Un lavoro non di poco conto, che testimonia tanto il profondo rapporto che l’autore intrattiene con il nostro patrimonio letterario e linguistico, quanto il suo amore per la ricerca, il rigore metodologico e la volontà di sperimentazione tout-court a cui i lettori dei suoi libri precedenti sono già piacevolmente abituati. L’imitazion del vero è dunque un’opera pregevole poiché coniuga i meriti del divertissement letterario – l’argomento leggero, il tono scanzonato, la comicità della vicenda – con la peculiarità di una lingua e di un mondo che, nonostante la loro lontananza nel tempo, tuttora ci identificano, anche se troppo spesso dimentichiamo quanto storicamente ci appartengano.


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