Un eroe di Asghar Farhadi

con Amir Jadidi, Mohsen Tanabandeh, Sahar Goldust, Fereshteh Sadre Orafaiy, Sarina Farhadi, Saleh Karimaei

In libera uscita dal carcere per pochi giorni, Rahim Soltani (A. Jadidi) si ritrova fortuitamente nella condizione di poter mettere la parola fine alla sua detenzione. Il giovane uomo è stato condannato per un debito che non ha potuto e non può onorare, ha in custodia un figlio, Siavash (S. Karimaei), con gravi problemi di balbuzie, lasciatogli dall’ex moglie dopo la separazione, e ha una relazione nascosta con Farkhondeh (S. Goldust), logopedista del bambino. È proprio lei, la donna che Rahim sogna di sposare, a trovare per caso una borsa piena di monete d’oro nei giorni del suo permesso, una circostanza del tutto inaspettata che i due interpretano come un segno di Dio, che vuole aiutarli a estinguere il sostanzioso debito con il creditore. Ma Rahim ci ripensa, sceglie ciò che in cuor suo è giusto fare e allora mette un annuncio per poter restituire la borsa alla donna che l’ha smarrita. L’uomo rientra in carcere e l’oro ritorna alla legittima proprietaria, ma la notizia fa il giro del penitenziario e delle tv locali che decidono di intervistarlo, elevandolo a “eroe” virtuoso da lodare pubblicamente. Dall’oggi al domani Rahim ha gli occhi dei media addosso, diventa un modello da seguire e il suo buon gesto crea persino i presupposti per raccogliere dei fondi per pagare il debito. Ma sopraggiungono sospetti, passi falsi, illazioni sui social e quella fresca notorietà ben presto gli si ritorce contro, mettendo nuovamente a repentaglio la sua reputazione.

Dopo la breve parentesi europea di Tutti lo sanno, Asghar Farhadi torna a girare nel suo Iran ed è un ritorno brillante che non tradisce le aspettative. Alla sua nona opera, il regista due volte premio Oscar – nel 2012 con Una separazione e nel 2016 con Il cliente –, strappa il Grand Prix Speciale della Giuria al 74º Festival di Cannes (ex-aequo con Scompartimento n.6 di Juho Kuosmanen) con l’ennesima prova di compiutezza narrativa e formale che contraddistingue da sempre il suo cinema. Un eroe è un film solido ed elegante, mai retorico nel delineare le scelte dei propri personaggi, costantemente esposti al giudizio e sempre in bilico tra verità e menzogna, potere e dovere, integrità morale e ingiustizia sociale. Fedele alla sua cifra registica, che sposa ancora una luce e una messa in scena sobrie, Farhadi resta vicino alla vita con profondo realismo, lasciando allo spettatore la possibilità di vivere e respirare insieme ai personaggi del film, la possibilità di decidere se credere o meno alle buone intenzioni di Rahim. Tutto ciò avviene all’interno di una narrazione circolare, che scende sempre più in profondità per svelare nuovi livelli, nuovi eventi che a catena ne provocano irrimediabilmente degli altri, tutti collegati fra loro come le tessere di un domino.
 

Per stessa ammissione di Farhadi, il film mostra la difficoltà di giudicare a causa della complessità della realtà che ci circonda


Il cineasta iraniano non rinuncia alle accelerazioni tipiche del thriller che ormai lo identificano, mostrando ancora una volta la sua maestria nell’utilizzare i codici di genere all’interno di circostanze di vita quotidiana, spogliandoli da ogni dimensione enfatica. È in questa stessa “confezione”, non enfatica, che viene declinato anche il tema del giudizio. Per stessa ammissione di Farhadi, infatti, il film non lascia intendere (retoricamente) che non si debbano giudicare gli altri, perché in ogni momento della nostra vita prendiamo decisioni che implicano un giudizio, ma mostra la difficoltà di giudicare a causa della complessità della realtà che ci circonda. «Il film suggerisce che se vuoi fare del bene e proteggere qualcuno a volte devi mentire», afferma il regista, ma una scelta considerata giusta può trasformarsi in un attimo in sbagliata se va in conflitto con gli interessi degli altri e, soprattutto, con le regole di un sistema-paese come quello iraniano dalle problematicità esasperate.

Il viaggio di Rahim – da uomo semplice a eroe locale che, con altrettanta facilità, rischia un nuovo tracollo – si compie all’interno di una società lacerata dal sospetto, dalla burocrazia e dalla manipolazione, una società in cui i social riescono comunque a ritagliarsi un ruolo decisivo nella vita di tutti, talvolta riuscendo persino ad aggirare la censura. Sono proprio i social a creare gli “eroi” di oggi, eroi forgiati e distrutti con la stessa, effimera, velocità. Secondo Farhadi, nell’immaginario collettivo è venuto meno il criterio di eccezionalità, un tratto fondamentale che dovrebbe appartenere a un eroe, seguendo i canoni di una volta quantomeno. Una persona dovrebbe quindi esser vista come eroica perché ha agito in maniera eccezionale sotto più punti di vista, ma questo al giorno d’oggi non sembra avere più un reale valore. I social, infatti, agiscono dandoci delle informazioni in capsule, in piccole dosi, anche su avvenimenti di grande portata e questo fa sì che quelle informazioni siano spesso soggette ad amplificazioni, equivoci o giudizi errati. I social agiscono in maniera opposta e speculare al cinema, in cui invece «una situazione piccola viene estesa e lavorata in modo che si possa osservare da diversi punti di vista», conclude il regista.

E il punto di vista portante di questo film è naturalmente quello di Rahim, interpretato da un intenso Amir Jadidi. Il suo è il volto pulito del perfetto eroe per caso, in grado di restituire l’ambiguità di un personaggio sul costante filo del rasoio. Il suo sorriso ha fin da subito il candore ingenuo di un bambino fiducioso nel prossimo, ma sembra anche celare il non-detto di un uomo furbo, qualcosa di equivoco che non lo tiene al riparo dal sottile confine dell’ipocrisia e della messa in scena – persino la sorella dubita di lui, già dal momento in cui si accorge della borsa con le monete d’oro. Ed è un attimo, allora, perché anche lo spettatore lo percepisca e inizi a sospettare della sua buonafede. A poco a poco quel volto pulito, costantemente scrutato dai primi piani di Farhadi, si trasforma così in una «faccia da cane bastonato», un’espressione con cui lo etichetta il suo creditore in una delle scene iniziali del film, mentre il cognato di Rahim provava a mettere una buona parola per la questione del debito.
 

Il sorriso del protagonista Amir Jadidi ha fin da subito il candore ingenuo di un bambino fiducioso nel prossimo, ma sembra anche celare il non-detto di un uomo furbo, qualcosa di equivoco


Le scelte e gli scivoloni di Rahim, che non sfuggono al vaglio dei social e dei suoi detrattori, mostrano sempre il conflitto tra un atto apparentemente risolutivo che possa portare all’agognata salvezza – giusto o sbagliato che lo si giudichi – e il pudore del suo onore e della sua dignità umana. Agire seguendo l’impeto di un torto subìto, nella convinzione di dover ottenere a tutti i costi una sorta di riscatto morale, ha infatti dei limiti che non possono essere valicati. Commuove la sequenza in cui Rahim si rende conto, quasi in lacrime, della “violenza” che sta indirettamente infliggendo al figlio balbuziente, invitato a raccontare la sua verità in un video da pubblicare sui social, un video che potrebbe scriminare il padre dalle ingiuste accuse. L’uomo perde le staffe, si scaglia con estrema rabbia contro l’ufficiale del penitenziario che ha avuto l’idea del video, invitandolo a cancellarlo immediatamente dal suo cellulare. Ed è in questa sequenza, forse, che si realizza appieno l’ideale omaggio di Farhadi al cinema italiano dell’età dell’oro: «un nome su tutti, Vittorio De Sica e il suo Ladri di biciclette», come il regista ha espressamente dichiarato in un’intervista, confessando al contempo che il nostro cinema, il cinema che da sempre lo ha ispirato, da Fellini a Scola, da Visconti ad Antonioni e Pasolini, è il più grande di tutti i tempi. Così, nei silenzi, negli sguardi inumiditi che spesso trattengono le lacrime di Rahim e Siavash – nome forse non casuale, considerando che nella letteratura iraniana il principe Siavash è considerato il simbolo dell’innocenza – riecheggia la poesia dell’Antonio Ricci di Ladri di biciclette e del suo piccolo Bruno, e il legame padre-figlio diventa un ritratto sociale di autentica pietà.
 

«Ma io non ho mentito»
«Non hai nemmeno detto il vero»

FRA-IRAN 2021 – Dramm. 127’ ★★★½


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