La scrittura negata delle donne

Su Vietato scrivere di Joanna Russ e sul dominio del maschio cishet sul canone letterario

Qualche mese fa nei soliti lidi social è scattata una polemica quando, per promuovere il nuovo titolo dell’autrice statunitense Kerri Maniscalco, sul profilo Instagram di Oscar Mondadori Vault, si è esordito affermando che quelli che non festeggiavano urlando il nome dell’autrice «leggono solo maschi cishet». La frase ha scatenato del fastidio, nei maschi cishet ovviamente, ma anche in altre parti della popolazione. Premettendo che i maschi cishet, quindi i maschi cisgender eterosessuali, non sono una categoria discriminata, ma che sono in realtà una delle categorie che più gode di privilegio, la corretta reazione a questa frase dovrebbe essere un’altra, e dovremmo passare quindi a porci una giusta domanda. Perché, effettivamente, leggiamo quasi sempre maschi cishet? Perché sui nostri scaffali sono gli autori uomini, bianchi e abili quelli in maggioranza? L’oltraggio da percepire dovrebbe essere questo, un fatto che è molto più grave rispetto a sentirsi danneggiati da una frase che non danneggia, anzi: mette in luce un privilegio. Se quando ci vengono chieste cinque autrici donne contemporanee che abbiamo letto nell’ultimo anno, facciamo fatica a trovarne anche solo tre, dovremmo chiederci perché è così. 

Vietato scrivere. Come soffocare la scrittura delle donne, un saggio dall’autrice di science fiction Joanna Russ, pubblicato per la prima volta nel 1983, uscito di nuovo con una prefazione di Jessa Crispin nel 2018, ed edito per la prima volta in Italia quest’anno per Enciclopedia delle donne. In meno di trecento pagine Russ elenca in che modo e con quali tecniche accurate e metodiche le donne e altre minoranze siano state escluse dal canone letterario. Eppure, già scrivere di canone è difficile. Si può davvero parlare di canone se chi ne fa parte erige barriere e sceglie cosa può o meno filtrare all’interno? Per descrivere questa debolezza, in un prologo narrativo Russ sceglie di raccontare della razza aliena dei glotolog. Queste creature vivono su Tau Ceti 8 e sono solite praticare una tipica forma d’arte, chiamata frument. Eppure i glotolog dalla pinna elicoidale, solo uno tra i molti tipi di questi organismi extraterrestri, hanno deciso che loro soltanto sono in grado di praticare correttamente e con ottimi risultati il frument. È chiaramente una presa di posizione sciocca e insulsa. Molti altri glotolog ne sono capaci, o potrebbero esserlo se solo venisse data loro l’opportunità. Ma quelli dalla pinna elicoidale continuano a rimanere saldi nella loro sciocca convinzione, tant’è che: 
 

Per questo motivo “glotologico” è entrato di recente nello slang intergalattico come sinonimo di una ridicola elusione autoimposta, rinforzata da diffuse ed elaborate invenzioni sociali che portano a una macro distorsione delle informazioni.
 

Chiunque legga il prologo penserà a quanto siano irrimediabilmente stupidi i glotolog. Eppure c’è qualcuno che resta fermo nel proprio circuito, allontanando altri e finendo persino a dimenticare il privilegio che si sono creati tramite invenzioni ad hoc, tramite scelte che hanno reso impermeabili zone tecnicamente aperte a chiunque. Quali sono le invenzioni? Russ le elenca nei capitoli del saggio, parlando chiaramente non di glotolog, ma di scrittura e critica maschile che ha tagliato fuori, soffocato, la scrittura delle donne. Quali sono i motivi per cui una donna non dovrebbe scrivere, come comportarsi se ci prova, come comportarsi se ha avuto successo. Solo qualche esempio: riferirsi ad alcune autrici come regionaliste (se Willa Cather è regionalista perché non lo è Faulkner?) o negare che un’opera sia davvero stata scritta da un’autrice. E se davvero una di queste donne riesce a entrare nel canone, cancellare il resto della sua produzione, rendendo l’opera in questione un unicum. 

Per quanto anche gli autori uomini, come sottolinea la stessa Russ, possano essere sminuiti o esclusi, ciò ha un peso minore rispetto a quello che accade alle donne e alle minoranze, valutate secondo standard creati su misura perché vengano dimenticate. Standard applicabili a qualsiasi livello, cosicché il numero di titoli capace di arrivare al pubblico, alla fama, diventa davvero esiguo.
 

Quello che spaventa dell'arte dei neri, delle donne, dei Chicanos – e via dicendo – è che mette in discussione l’idea stessa di un’oggettività e degli standard assoluti: Questo è un buon romanzo. Buonoper cosa? Buonoper chi?
 

La diversità sottolinea le complessità e per far sì che l’arte altra, come scrive Russ, venga messa in luce di fronte al gruppo privilegiato e non ne resti sepolta, tali diversità e complessità vanno sfruttate. In questo serve anche una forte dose di autocritica. L’autrice si rende conto che non sta a lei parlare di alcune minoranze, o di gruppi a cui non appartiene. È un lavoro che spetterà ad altre, capaci di raccontarlo. Ciò che è sicuro è che anche la narrativa, come dimostrano anche i romanzi sci-fi di Russ, sono utili per mettere in mostra questi temi. La forza della speculative fiction, della science fiction e del fantasy, si presta a superare frontiere e barricate. Creare nuovi scenari, per quanto impossibili, è un altro modo per proseguire la storia che Russ, a fine saggio, ci chiede di continuare a portare avanti; a qualcun’altra spetterà il compito di alzare la voce. La creazione di mondi nuovi offre appigli e zone esplorabili, in cui finalmente sono quelle voci a farsi sentire. La saggista Mona Chollet in Streghe (Utet, 2019), tracciando come dai roghi delle streghe all’età contemporanea le donne siano state oppresse, scrive:
 

Questo non significa che un uomo non possa soffrire di carenze affettive di solitudine; ma, almeno, non è circondato da rappresentazioni culturali che aggravano – o creano – la sua condizione di infelicità. Anzi, la cultura gli offre degli appigli.
 

La sovversione che avviene nel fantastico si presta all’esplorazione di tematiche come razzismo, colonialismo, omofobia. Ciò è rintracciabile in alcune autrici passate: Russ appunto, Butler, Le Guin e Lee. Le tematiche si agganciano una con l’altra, mettendo in crisi il lato che ha provato a seppellirle. Un’altra saggista, Patricia Melzer, nel suo librodel 2006 Alien Constructions: Science Fiction and Feminist Thought, parlando dei romanzi di Butler traccia proprio questa interdipendenza tra i temi: 
 

Le sue storie riflettono intersezioni di teorie femministe, discorsi anticoloniali, science fiction e scritti di donne nere e sono correlate a ciò che Mae Gwendolyn Henderson chiama simultaneità dei discorsi.


Questo è reso evidente anche dalle autrici contemporanee tra cui per esempio Jemisin, Okorafor, Roanhorse. Le storie fantasy, weird o sci-fi riescono a costruire scenari in cui le complessità e le avversità poste contro le minoranze vengono messe a fuoco: impossibile distogliere lo sguardo. Anche le antologie di speculative fiction scritta da donne sono un’ottima fonte per ritrovare questi temi. Ma soprattutto, sono proprio queste antologie a dimostrarci, permettendoci di fare autocritica come Russ, quante poche scrittrici conosciamo rispetto all’immensa mole di autori uomini. Basta sfogliarne qualche indice e la definizione di “glotologico” risuona nella nostra testa. A partire dagli anni Settanta con Amazons! curata da Jessica Amanda Salmonson o la serie di antologie Women of Wonder di Pamela Sargeant (che in una prefazione si chiede riguardo al canone sci-fi maschile: «Perché una letteratura che si fregia di esplorare alternative o ipotesi contrarie a ciò che normalmente crediamo non si è preoccupata del ruolo delle donne nel futuro?»). Sargeant è citata anche in una preziosa antologia italiana curata da Oriana Palusci, Aliene, amazzoni, astronaute, pubblicata nel 1990. 
 

Perché una letteratura che si fregia di esplorare alternative o ipotesi contrarie a ciò che normalmente crediamo non si è preoccupata del ruolo delle donne nel futuro?


Le raccolte sono molte e negli ultimi anni possiamo trovare antologie non edite in Italia, tra cui Daughters of Earth di Justine Larbalestier e Sisters of Tomorrow di Lisa Yaszek, che contiene anche alcune poetesse. Tra quelle edite invece, l’antologia curata dai coniugi Ann e Jeff VanderMeer Le Visionarie (pubblicata da Nero). Solo sfogliando questa raccolta tradotta ed edita nel 2015 risulta evidente quanto poco ancora abbiamo letto. Autrici del passato, contemporanee, ma anche autrici native americane (rimando a questo articolo dello scorso anno del New York Times, anche in questo caso per renderci conto di quante storie non arrivino sui nostri scaffali), autrici dell’est Europa come Anna Kantoch che fa parte di un gruppo di autrici fantasy chiamato Harda Horda. Autrici cinesi, giapponesi. Lo spazio da riempire con nuovi e vecchi nomi è vasto mentre il centro in cui collocarsi prova continuamente ad allontanarsi e a sfuggire. Ma il tempo è dalla nostra parte per, come ci invita a fare Joanna Russ, finire di scrivere il libro.

 

 


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