L’inizio della Storia
Patočka - Vite autentiche
C’è un sentimento collettivo che aleggia di tanto in tanto, quella inebriante sensazione di partecipare al corso degli eventi, come se di colpo bucassimo lo schermo accartocciato delle meccaniche della storia, usualmente presentateci come dorate e lontane ragioni umane che hanno spinto alla creazione di questa o quella nazione, la morte di quel presidente, l’elezione di quel papa, quel partito al governo piuttosto che l’altro (attuale, no?). Ma quella cui crediamo di esserci introdotti non è Storia, ma storiografia. Le dinamiche empiriche e la successione temporale degli eventi, pur nella cristallizzazione ermeneutica che ne fanno i posteri, non danno l’origine dell’individuo, ma mostrano il principio della concatenazione fisica e ideale dei fatti. Questo è necessario per un certo sapere, che è obbligatorio prendere in considerazione. E inoltre, anche quando eccitati e commossi percepiamo il nostro ingresso nella storiografia, non sentiamo pure una nota di impotenza? Si, ci siamo dentro… E adesso?
La riflessione del ‘900, specialmente ad opera dei protagonisti indiscussi dei grandi eventi politici e bellici, ha conferito alla Storia un nuovo senso. Così fece Heidegger con la proposizione del farsi dell’Essere e del suo Destino intimamente legato a quello dell’uomo. Così fece un altro grande, purtroppo meno noto di Heidegger (che pure gli fu maestro insieme ad Husserl): Jan Patočka. La voce di questo filosofo rimase clandestina per diverso tempo. Praga, sua città adottiva cui diede così tanto, invasa dalle orde totalitarie dei comunisti, lo costrinsero al nascondimento costante. Divenne il primo portavoce di Charta 77 e mai, durante la sua carriera, abbandonò quella ‘resistenza della ragione’ che permetteva la vera libertà del singolo rispetto all’ideologica ‘liberazione’ dei regimi. Perché c’è differenza tra libertà e liberazione, così come tra Idea e ideologia: se l’Idea ha da incarnarsi nel vissuto e non invece capitare da un pensiero a noi estrinseco [1], così la libertà non può essere una ‘promessa’ per le folle, garantita da nuove istituzioni che si sostituiscono, imponendosi, alle vecchie. La libertà è invece una dimensione umana che sorge quando si coglie la radicale storicità e, quindi, limitatezza dell’essere umano. Al ‘limite’ si risponde accettandolo, standovi aldiqua e non aldilà, ma, contemporaneamente, lasciando deflagrare l’innata potenza del domandare. La domanda è il frutto della genetica problematicità, accettazione non passiva del limite, della quale siamo portatori sani.
Allora la Storia ha un inizio e, ovviamente, questo non coincide con l’inizio cronologico della storiografia. L’avvio della Storia è, per Patočka, l’istante misterioso, quel frammento di cielo rosato tra la Notte e il Giorno: «[…] è appunto l’istante dell’alba creativa, il primo ‘giorno della creazione’, enigmatico e tanto più affascinante per il fatto che esso abbraccia, porta in sé e trascina via con sé l’uomo attonito[2]». Solo quando siamo capaci di vedere al di là del sogno e del mito il senso della vita fino a quel punto accettata diviene problematico. Ed è sempre e solo allora che la libertà acquista un profilo autentico.
Queste non sono chimere pseudo poetiche che mascherano profonde incertezze o confusioni: sono, anzitutto, le parole donate ad una società preda della collettivizzazione, massificazione politico-etica degli anni ideologici della Guerra e l’immediato dopo Guerra. Sono le affermazioni conclusive di un percorso filosofico iniziato già tempo addietro dall’autore, prima della Primavera di Praga, e che portano a compimento le ricerche sull’esistenza, sul mondo naturale, la scienza e la società. Patočka affrontò ognuno di questi temi declinando il metodo fenomenologico, inaugurato dai suoi celebri maestri, in ogni discussione teorica. E non c’è in alcuno dei suoi saggi il sentore di un distacco tra teoretico e pratico; mai una tangibile differenza tra l’uomo comune e l’uomo filosofo, o una distinzione moralistica tra l’intellettuale che pensa la rivoluzione e il proletario che la mette in atto. Ogni suo scritto ha valore pedagogico e sperimenta un allacciamento sincero tra l’etico, il politico, lo storico.
Durante gli anni della Notte, quelli in cui il governo satellite sovietico l’obbligò alla salvezza mediante clandestinità, egli dà luce ai suoi Saggi eretici sulla filosofia della storia, nel 1975: se ad una prima lettura, come suggerisce Ricoeur nella prefazione all’edizione francese, risulta lampante la triunità di storia-politica-libertà, ad una seconda visione compare la trama ostica del pre-istorico e dello storico, due possibilità e movimenti umani. La prima potrebbe sempre risorgere se l’individuo mette da parte la critica problematica per rifugiarsi nel comodo mito, nell’idea preconfezionata, e così dimentica la sua natura socratica, cioè indagatrice (la riflessione sul personaggio Socrate è raccolta in un testo vibrante, appunto Socrate, 1947). La seconda va coltivata nella ferma convinzione che, comunque, oltre il limite non andremo mai. Eppure, riconoscerlo e accettarlo attivamente, sono le condizioni per cui la verità può palesarsi: noi non siamo protetti di fronte alla verità, né garantiti o assicurati. Ma questa vita non protetta offre la cifra propria del nostro impervio procedere: dona la coscienza della vertigine di fronte l’ignoto, ed essa non va rifuggita, ma sempre cercata. La vera meta è il percorso, non la conclusione.
Se quindi è questa la Storia, autentica crisi e rinascita perenne mediante inchiesta, possiamo allora comprendere un altro immenso contributo che Patočka ci ha regalato: l’origine dell’Europa, il suo fondamento, poggia proprio nella nobile facoltà del teorizzare, filosofare. Appena evasa la conoscenza mitica (che pure è conoscenza, come lo stesso Aristotele riconosceva), entra finalmente in gioco la cura dell’anima, preceduta da una scoperta dell’anima, la cui genesi è costellata di episodi non sempre trasparenti alla nostra pigra coscienza moderna. Prendersi cura di questa vuol dire, come appunto fece Socrate, alimentare l’insaziabile voglia di avvicinarsi al limite e, seppur lasciando solo intravedere l’Idea, accogliere questa come lo scopo, il fine, e del nostro sapere e della nostra morale. L’Europa nasce su questa ondata di mistero che miscela e si nutre del domandare; lungi dall’essere una mera astrazione filosofica, tale visione ricalca con insistenza la nostra più propria connotazione essenziale, come individui e come cittadini, compagni europei.
Patočka morì il 13 Marzo 1977; dopo mesi passati a nascondersi, a soli due anni dalla prima circolazione in forma dattiloscritta dei suoi Saggi eretici. Venne prelevato dalla polizia e interrogato per undici ore in due giorni. Non sappiamo con esattezza quali misure vennero adottate, ma sappiamo che subì un dolore, tanto intimo quanto fisico, che lo condusse alla morte pochi giorni dopo. Al funerale, il 17 Marzo, i partecipanti erano circondati da agenti in borghese; alcuni amici furono arrestati; la messa in suffragio proibita. Una citazione dalla sua ultima dichiarazione in ospedale rende giustizia al suo spirito di problematica combattività, estrema fede nell’Idea e nel destino libero e storico dell’uomo: «Siamo sinceri: nel passato il conformismo non ha mai portato ad alcun miglioramento di una situazione, ma solo ad un peggioramento. […] Ciò che bisogna dire è la verità. È possibile che in certi casi individuali la repressione si intensifichi. Le persone si rendono conto di nuovo che ci sono delle cose per cui vale la pena soffrire e che, senza queste cose, l’arte, la letteratura, la cultura sono solo dei mestieri cui ci si dedica per guadagnare il proprio pane quotidiano [3]».
[1] Cfr. J. Patočka, La vie dans l’idee, in Libertè et Sacrifice. Ecrits politiques, Grenoble 1990.
[2-3] J. Patočka, Saggi eretici sulla filosofia della storia, Piccola Bublioteca Einaudi, Torino 2008, p.46, 177.
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