«Io posso essere immorale, e pur tuttavia conoscere la verità»

Foucault - Vite autentiche

Si diceva un tempo kalòs kai agathós. L’espressione d’origine greca stava per il connubio di bello e buono, nel loro richiamo reciproco. Non c’è nulla che sia buono ma non sia bello, e dunque la bellezza equivale a bontà. Non si trattava soltanto di un’unità estetica o logica, bensì della sintesi tra conoscenza ideale e vita concreta nella sua datità. Così ci presentavano, fin dai tempi del liceo, l’aureo passato della Grecia ateniese: quello era lo spirito, il senso ed il fine dell’agire politico di Pericle, della filosofia di Platone, dell’armonia di Fidia, Policleto e di tutta Atene. E anche il Medioevo, seguendo lo strascico regale della vecchia polis, elevava a trascendentali il Bene ed il Vero. Il sodalizio era tanto persuasivo che neppure il nostro moderno (buon) senso comune poteva obiettare. Fin a quando non giunge Nietzsche, svelandoci la natura ingannevole di Socrate, dei filosofi e del suddetto connubio: egli ci ammonisce e rimprovera poiché, dice, non abbiamo capito che il logos filosofico elevato ad autorità suprema, a giudice dalla toga impermeabile, ha semplicemente dissolto la potente e primordiale unità di apollineo e dionisiaco. Col procedere della storia, nient’altro s’è fatto se non mantenere viva questa falsa chimera della Ragione presuntuosa e soffocante. Quel che accadde dopo è storia: inebriati, resi paradossalmente irresponsabili dalla luce abbagliante emanata da questa, siamo arrivati a sopprimere l’oggetto più puro che avessimo mai creato: Dio, «[…] quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli[1]»

Allora il vero, ciò che è sublime per la conoscenza, l’Idea, non è legata al buono: «Io posso essere immorale, e pur tuttavia conoscere la verità[2]». Quindi la domanda che ora si pone è: è necessario o contingente il rapporto tra conoscenza del vero e azione morale? Conoscere l’idea di giustizia vuol dire diventare giusti? Rintracciare il sommo bene nelle nostre ascese teoretiche, vuol dire diventare buoni? E di conseguenza, cosa ne è del 'soggetto' in questa intersezione tra etico e filosofico?
Se tali domande sono ben poste, allora potremmo rispondere così come ha tentato di fare Foucault, ovvero guardando al modo in cui il soggetto vive la relazione tra etica e verità lungo il corso della storia.
Ci sono due prospettive attraverso cui filtrare il ‘soggetto occidentale’. La conoscenza di sé e la cura del sé. Nel suo corso del 1982 al Collège de France, Foucault, influenzato dalle rivelazioni nietzschiane, s’impegna in una rivisitazione storico-ermeneutica della soggettività. Egli non cerca di offrire una ‘struttura’ dell’uomo o una sua definizione assoluta[3], né tantomeno progetta un paradigma sistematico che dica, una volta e per tutte, come procede l’umanità: egli vuole piuttosto mostrare esperienze, modi di vita che distinguono il soggetto antico e moderno. Ed essi sono cura del sé e conoscenza di sé. Attenzione: esperienze, non griglie storiografiche.

Simili in apparenza, opposte nella sostanza. La cura del sé è la dimensione propria dell’uomo che non ha ancora ceduto alla perentorietà della ragione filosofica. Il curarsi di sé produceva una profonda interazione tra l’accesso al vero e la conversione etica. Lo spirito del soggetto non si frammentava, dunque, tra etica e verità, morale e metafisica. Le ragioni del cuore non erano scisse da quelle della mente (per dirla con Pascal).
All’estremo opposto, invece, il soggetto moderno è assoggettato all’ineludibile convinzione per cui cogito e res extensa sono distinti: il pensiero, l’uomo nella sua razionalità è votato alla conoscenza e, adesso, questa regna sull’agire morale. È l’a-priori kantiano, la Legge morale dentro di me che lascia fuori il cielo stellato…Gli atti che compio, l’azione etica, sono determinanti solo nella misura in cui mi aiutano a conoscere me stesso: «[…] al soggetto dall’azione retta, nell’Antichità, si è sostituito, nell’Occidente moderno, il soggetto della conoscenza vera[4]». Il ‘conosci te stesso’ dell’oracolo di Delfi detta le regole e le ambizioni del soggetto occidentale.

L’indagine che Foucault sviluppa in questo corso di lezioni procede mediante il cosiddetto metodo genealogico «[…] ben sapendo che gli storici preferiscono di gran lunga la storia degli oggetti, e che i filosofi prediligono un soggetto che non abbia storia[5]». Un’analisi genealogica, rispetto allo strutturalismo, lo storicismo e l’analitica contemporanei, è capace di risultati differenti: non si propone di limitarsi allo studio dei fatti né a quello delle idee ipostatizzate dalla filosofia. Non è storia, né storia della filosofia. Essa piuttosto risponde al desiderio di riconoscere l’estensione, possibilmente illimitata, delle mutazioni del soggetto nella storia. Quindi non vuole presentarsi come una scienza esatta o assolutistica, che tratta i suoi contenuti dall’esterno: anzi, la genealogia coglie le perpetue trasformazioni del soggetto sia mediante il riconoscimento di quelle tecniche pubbliche di ‘dominio’ (istituzioni politiche, religiose etc.) che affogano il soggetto in sistemi simbolici totalizzanti; sia individuando le forme di coscienza di sé che il soggetto sperimenta di volta in volta.
Se non in questa intersezione, talvolta sovrapposizione, di tecniche di sé e tecniche di dominazione del sé, come potrebbe emergere un autentico ‘soggetto’, con tutti i suoi connotati etici e teorici? Ecco perché cura del sé e conoscenza di sé non possono considerarsi metodi, ma solo proposte di vita che colgono la storia nel suo farsi incessante.

Ma qual è allora la posta in gioco? Trapela infatti da questa impostazione genealogica una visione assai difficile da cogliere alla mentalità ‘oggettivante’, dalla quale tutti siamo affetti. Se il soggetto e le sue trasformazioni, l’esperienza della cura o della conoscenza di sé , altro non sono se non delle possibilità ermeneutiche, allora la storia del soggetto foucaultiana è di gran lunga più ridotta e parziale delle storiografie manualistiche. È infatti impossibile pretendere una totale e completa rassegna degli atteggiamenti umani, così come delle azioni che il soggetto compie o patisce; e difatti Foucault ne è ben consapevole, ed è proprio questo il suo obiettivo. Rinunciare al metodo per riabilitare il soggetto.

Una cosa è chiara: il soggetto, per Foucault come per altri autori moderni, non è un oggetto. Esso non può dunque oggettivarsi nelle delucidazioni critiche che produciamo della realtà. Basta guardare alla storia ed al suo senso (anch’esso inoggettivabile), per capire che c’è bisogno di una filosofia nuova, critica, aperta. La discorsività del cosmo va riflessa nella intima discorsività, cangiante e mutevole, del soggetto stesso. Ed è dunque richiesta pazienza e coraggio: alla genealogia spetta l’arduo compito di smascherare i paradigmi celati, i simbolismi assordanti che connotano noi stessi, sia mentre viviamo che mentre interpretiamo.
Ed un’altra cosa è certa, sebbene difficile da ingoiare: non c’è mai alcuna necessità, storica o trascendentale che sia, tale per cui il soggetto possa ritenersi di diritto ospite d’onore al simposio della verità. E se anche vi fosse stato invitato, non è detto che poi, rincasando, faccia di questa verità il principio dei suoi atteggiamenti morali. La vera eticità dell’uomo, pertanto, consiste solo in una scelta coerente di valori che s’incarna nell’immanenza della prassi; ed essa non è per tutti, «non viene imposta all’individuo per mezzo di una legge civile o di un obbligo di carattere religioso, ma è una scelta compiuta dall’individuo stesso[6]». La libertà ha da fare i conti con l’immanenza storica. La salvezza, non è affare della trascendenza.
Ma allora il kalòs kai agathós non ci appartiene più. O forse, non ci è mai appartenuto.

 

 

[1] F. Nietzsche, La Gaia Scienza, in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pp. 213-214.

[2] M. Foucault, A propos de la génealogie de l’éthique, in DE, IV, № 340, p. 411.

[3] Interessante è il dibattito tra Chomsky e Foucault a proposito della natura umana nei suoi diversi risvolti storici, economici, culturali, filosofici etc. Disponibile su youtube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=8dgtXCTmAoIhttp://www.youtube.com/watch?v=nhr6cNHyHfE

[4] M. Foucault, Ermeneutica del soggetto, Corso al College de France (1981-1982), Feltrinelli, Milano 2011, p. 471.

[5] Ivi, p. 473.

[6] M. Foucault, A propos de la génealogie de l’éthique, op. cit., p. 402.


Parte della serie Vite autentiche

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