In fuga dal terrore

Su Fino all'inizio di Alessandro Busi, riscoprirsi umani in un mondo dilaniato dagli attentati

Siamo in molti a ricordarci dove eravamo e cosa stavamo facendo il giorno dell’attentato al World Trade Center: le nostre rievocazioni di quel pomeriggio, con nelle retine ancora impresse le immagini in diretta dei pinnacoli di fumo contro l’azzurro del cielo newyorkese, sono fotografie di memorie individuali che, fuse insieme, creano una catena di ricordi collettivi divenuta poi negli anni l’insieme della nostra memoria storica. Alcuni potrebbero aver dato a quegli attimi un valore simbolico all’interno delle proprie vite, altri invece no, ma è certo che l’attacco alle Twin Towers ha segnato indelebilmente l’inizio di questo millennio, fungendo da ulteriore momento-spartiacque dopo che l’Olocausto e la bomba atomica lo sono stati, a livelli ancor più traumatici, per il secolo passato. Quando il secondo Boeing 767 si schiantò contro la Torre Sud ricordo che fu come se la realtà, con tutta la sua irruenza, avesse per la prima volta invaso il mondo rassicurante che mi ero costruita da bambina tra libri e giochi ancora infantili, assegnandomi mio malgrado il ruolo di spettatrice inerme di fronte al dispiegarsi orrorifico degli eventi.

È questo il fulcro centrale, totalizzante, da cui prende piede Fino all’inizio di Alessandro Busi – già autore di racconti su rivista e al suo esordio letterario con pièdimosca edizioni –, romanzo in cui proprio a partire dall’attentato al cuore dell’America il tempo si biforca e prende un’altra direzione, parallela al nostro presente. L’autore imbastisce dunque un’ucronia (priva però dei classici stilemi del genere distopico-fantascientifico), un mondo dilaniato dalla spettacolarizzazione del dramma, dalle bombe e dagli attentati pressoché quotidiani, dove l’Europa è una polveriera a cui la miccia è già stata accesa, e manca poco perché esploda tutto in mille pezzi. Figlio di questo tempo inumano è il trentatreenne Luca, protagonista e voce narrante della storia. Per lui tutti gli attentati, ma soprattutto quello alle Torri Gemelle, momento in cui «il mondo si divise tra chi correva verso le torri e chi fuggiva», tra chi cadeva e chi guardava gli altri cadere, sono diventati col tempo un’ossessione talmente pervasiva da aver costretto il suo orizzonte percettivo e la sua immaginazione entro le strette mura della tensione e della paura, e le sole metafore che riescono a interpretare ciò che lo circonda sono quelle che vedono l’accostarsi di gesti quotidiani a gesti efferati, ammantando il linguaggio di un tono da tragedia imminente.

 

Una passeggiata in centro era un’esplosione di chiodi, un paio di scarpe e una maglietta da comprare in un centro commerciale una mitragliata alla schiena, una partita a calcetto nel campo del patronato un cecchino che mi passava da orecchio a orecchio.

 

Una serie di attentati che colpisce una dopo l’altra le più grandi città europee, con conseguente gara al numero maggiori di vittime e di notifiche su Twitter, portano Luca, in genere dall’indole estremamente scettica e indecisa, a prendere invece la scelta più drastica di tutte: fare terra bruciata delle sue relazioni parentali, amicali, sentimentali, lasciare tutto e partire per gli Stati Uniti. Una volta giunto in aeroporto, all’ennesimo controllo gli viene chiesto di bere dalla sua bottiglia d’acqua per dimostrare che non contiene alcun liquido pericoloso. Ma, per uno scherzo del caso, o più probabilmente dell’inconscio, mentre beve inizia a ridere senza un motivo evidente, portando l’agente che ha di fronte a dubitare di lui. Dopo esser stato interrogato e aver subito più volte la tortura del waterboarding, Luca viene rilasciato e per una serie di circostanze si ritrova comunque a partire ma da clandestino, spendendo nove ore dentro una scatola al buio nel ventre di un aereo che vola verso New York. Compie il viaggio insieme a lui Marta, giovane emiliana anche lei in fuga da un presente privo di speranze verso un futuro diverso, in una traversata dapprima scandita da silenzi e respiri – soprattutto quelli affannati dai polmoni innaffiati d’acqua di Luca a causa della tortura subita –, poi da confessioni e affettuoso supporto. La fine del viaggio non coinciderà con la fine della storia della coppia, ma la violenta realtà da cui i due fuggivano per tornare fino all’inizio così da poter ricominciare condurrà Luca e Marta verso un epilogo dai tratti feroci, tra rivelazioni inattese e speranze esaudite.

 

L'autore imbastisce un’ucronia dove l’Europa è una polveriera a cui la miccia è già stata accesa, e manca poco perché esploda tutto in mille pezzi



Fino all’inizio si diverte a giocare con la dimensione spazio-temporale. Il viaggio che Luca e Marta intraprendono copre tutta la parte centrale del libro, e nonostante non si percepisca un vero e proprio movimento fisico dei due verso la loro destinazione, chiusi come sono all’interno della stiva dell’aereo, si potrebbe comunque etichettare il testo come un romanzo on the road. In questo tragitto, la scatola in cui la coppia è immersa nel buio ricorda lo spazio angusto seppur confortevole di un grembo materno, in cui i due sembrano reimparare a respirare, a vedere nell’oscurità oltre alle apparenze, rigenerandosi a vicenda attraverso una connessione che man mano che si legge diventa sempre più profonda – una scatola grazie alla quale Luca riscopre il calore delle relazioni umane e il piacere di conoscere l’Altro, dove tempo e spazio non esistono, come non esistono le consuetudini della convivenza civile, né responsabilità alcuna.
 

Tra le pareti oscure della scatola Luca e Marta imparano a conoscersi, e si toccano tanto col corpo che con la mente; ma se le azioni fisiche dentro la scatola sono connotate da una quasi totale staticità, è l’interiorità dei personaggi ad essere invece dinamica, manifestandosi a parole per Marta e con la mente per Luca: attraverso il suo punto di vista, e quindi dal suo particolare sguardo e spicchio di realtà, la storia va dal presente del viaggio indietro fino al racconto di aneddoti della sua vita, in cui prendono corpo le figure dei suoi genitori e della sua ex Arianna – entità ingombranti nei ricordi di Luca nonostante la loro assenza corporea –, per poi passare di nuovo al presente e qualche volta al pensiero del futuro, di ciò che sarà o di ciò che potrebbe essere. Procedendo per libere associazioni, e con un’andatura narrativa che pare rimandare alla tecnica del flusso di coscienza controllato, Luca si esplora mostrando il suo carattere e la sua ambivalenza sempre più chiaramente, e spesso non risulta facile entrare in empatia con lui: alle volte il suo comportamento ossessivo, a tratti egoriferito, spinge il lettore lontano, allo stesso modo di come Luca ha spinto lontano tutti i suoi affetti pur di rimanere solo.

La potenziale punta di antipatia che potremmo provare per Luca forse deriva dal suo frequente mascherarsi e mentire a sé stesso – facendone così un narratore in certi momenti inaffidabile –, un atteggiamento che, per il suo carattere contraddittorio, ci infastidisce poiché ci risuona dentro come familiare, in cui ci potremmo rispecchiare non volendo. Il valore aggiunto di Fino all’inizio è infatti la sua vicinanza al reale in tutte le sue forme, tanto nell’esplorazione dello spazio interiore quanto di quello collettivo: nonostante nel romanzo si presenti una versione ucronica della nostra contemporaneità, questa in verità non può essere più aderente di così al nostro presente. In questi giorni di tensione tra Russia, Ucraina e Stati Uniti, tra servizi giornalistici allarmanti, notizie più accurate, e nella speranzosa attesa che la diplomazia vinca sulla voglia di dare il via all’ennesima catastrofe globale, sentire Luca e Marta giocare a immaginare attentati, nel tentativo di distrarsi dal viaggio, stupisce solo poiché prodotti all’interno di un contesto di fiction prima dell’evolversi dei fatti, ma per il resto suonano più veri del vero.

 

«Una città in cui potrebbe esserci un attentato in questo momento, in che modalità e a opera di chi?» mi ha chiesto.

«Mosca: un soldato di origini ucraine quasi ventenne mitraglia quante più persone riesce davanti al Cremlino e poi si suicida con il fucile in bocca. In casa sua, assieme all’odore intenso di monossido di carbonio, la polizia trova i genitori morti in camera da letto e un biglietto lasciato sul tavolo di cristallo in salotto: Per tutti e per nessuno. Un quarto d’ora di celebrità me lo prendo anche io. Bang, Bang!».

 

Ma, accanto a Luca e Marta, il silente comprimario della coppia in Fino all’inizio è la bomba. Questa aggrava il senso di imminente minaccia e tensione che pervade la mente di Luca, delimitandone ancora di più la fantasia e contribuendo alla creazione di un immaginario in cui la si vede porsi al centro: tutti sembrano sul punto di saltare in aria, di farsi esplodere, senza distinzioni di alcun tipo, quasi sottolineando quanto la bomba sia democratica nella sua azione distruttiva, poiché non guarda a differenze di sorta. Condivide, inoltre, le stesse capacità narrative di Luca: come lui, da punto focale della storia, sceglie cosa raccontare, su cosa soffermarsi e cosa invece tralasciare nelle sue peregrinazioni tra i ricordi, così la bomba ha una sua personale volontà decisionale: brillando mette in luce ora questo, ora quel particolare, mentre l’oscurità aleggia su tutto ciò che non illumina. Secondo Luca, la bomba è il mezzo perfetto per raccontare storie-lampo, che finiscono nel momento stesso in cui cominciano.

 

La bomba è un immenso istante, che illumina e rabbuia, sceglie cosa mettere in primo piano e cosa nascondere. Ciò che la bomba non tocca scompare dall’attenzione; ciò che la bomba distrugge diventa protagonista assoluto della storia. La bomba focalizza e istruisce gli sguardi, riassume all’ennesima potenza: la bomba è un racconto fulmineo che mina le fondamenta. La bomba è una scrittrice migliore di tutti i romanzieri dell’universo, è l’atto estremo di lima. Boom. E la storia inizia. E la storia finisce.

 

Parafrasando il famoso concetto di ‘dislivello prometeico’ teorizzato da Gunther Anders nel saggio L’uomo è antiquato (1956), esiste uno scarto enorme tra agire e sentire che l’uomo ha costruito nel tempo nei confronti delle sue produzioni tecnologiche, e soprattutto nei confronti di quelle asservite alla distruzione di massa, di cui la bomba è l’esempio emblematico. L’uomo non sarebbe più capace di comprendere e prevedere gli effetti di ciò che ha creato, non ha l’empatia necessaria per riuscire a prendere coscienza delle conseguenze disumane che i suoi prodotti provocano alla collettività. Tale discrasia pervade il mondo d’oggi, ed è da questa che deriva l’inabilità di accogliere totalmente dentro di sé il trauma dei corpi che si polverizzano nelle esplosioni, di quelli che cadono esanimi colpiti dalle troppe pallottole che abitano il pianeta. Prima o poi, con questa incapacità che ci ha portato a non capire più il doloroso mondo che ci circonda, ci dovremo fare per bene tutti i conti; nell’attesa che ciò avvenga è possibile leggere Fino all’inizio, il cui maggior pregio è quello di mostrare – attraverso l’empatia di Luca, che a più riprese si cala nei panni delle vittime degli attentati, sapendo che potrebbe essere potenzialmente uno di loro – come lo scarto di cui parlava Anders può essere ridotto e ridimensionato attraverso la scrittura e il filtro della fiction, concentrandosi non solo sull’Io, ma soprattutto sul Noi.


Commenta