Il corpo del papa

Sic transit gloria caeli

Benedetto XVI doveva essere un papa di transizione. Un teologo insigne, ma un uomo tutto sommato incolore, buono per una Chiesa spossata da un papa Wojtyla troppo a lungo malato e in cerca di tempo per riorganizzarsi. Un papa strumentale, quindi, che parlava di sé come di «un semplice ed umile lavoratore nella vigna del signore» e già si lasciava sfuggire preoccupazioni oggi evidenti in tutta la loro forza: «Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti». In barba alla communis opinio del 2005 Ratzinger ha invece tentato di emergere da un destino già scritto di tranquillo passeggero e ha voluto farsi guida della Chiesa – pur forse con magro successo. La lotta al relativismo, la morale sessuale più spesso irritante che conciliante, l’impegno ecumenico a favore del dialogo interreligioso e i numerosi viaggi pontifici basterebbero a illuminare il suo pontificato anche tolti lo scandalo dei corvi vaticani e l’incredibile abdicazione che certo lo consacrerà alla Storia. Ancor più pungente però è stata la sua rivalutazione della tradizione: fece scalpore la messa celebrata nella Cappella Sistina il 13 gennaio 2008, quando Benedetto XVI riprese la postura ad orientem e diede così le spalle ai fedeli. L’impressione è cresciuta ad ogni nuovo repechage di oggetti e simboli caduti in disuso, dal camauro alle mozzette bordate,  dal saturno a cappe e mitrie più appariscenti.

La speciale attenzione riservata dai media a quest’aspetto ci porta a riflettere sulla corporeità come ad un elemento fondamentale della vita pubblica di questo pontefice. Al netto delle cause remote, ben radicate nella necessità inestinguibile di riformare la politica della Chiesa, la causa scatenante della drammatica rinuncia è stata proprio la sopraggiunta incapacità fisica di assolvere ai suoi doveri istituzionali. Questa scelta ha un significato enorme anche solo in rapporto a quanto fatto da Giovanni Paolo II, che ignorò la disfatta del proprio corpo e condusse la propria croce fino alla morte, a scapito delle più prosaiche esigenze che ogni giorno la Chiesa richiede in quanto istituzione. Dalle pagine de L’Espresso Adriano Prosperi non ha esitato a dichiarare che quello a cui abbiamo assistito è probabilmente un irruente ritorno di Dio al centro della scena del mondo cristiano, una rivincita delle esigenze dello spirito sulle capacità del corpo: si grida che per salvaguardare la fiamma della fede dalla corruzione della mondanità un corpo vecchio, stanco e malato si trova in difetto. A poche ore dalla notizia della remissione Franco Cardini si è addirittura spinto a vedere, in quanto successo, un sintomo della fine della modernità come tempo del predominio sullo spirito dei feticci della ricchezza e del potere, nel momento in cui questi retrocedono, nell’augusta e ancor oggi fondamentale figura del pontefice romano, a favore dello spirito stesso.

Eppure la scelta di Ratzinger difficilmente potrà liberare i prossimi pontefici dalla morsa dei media, che della modernità non si pongono neppure il problema e della spiritualità ignorano il peso, quando riducono ogni manifestazione umana all’ambito di una cultura visuale fondata sulla corporeità. I social network in particolare veicolano significati principalmente attraverso immagini, contenitori di concetti dimagriti e semplificati: forme originali vengono riformulate in forme nuove tramite operazioni di alterazione, deformazione o contaminazione, che vanno a costituire un sistema linguistico visuale, schematico sì, ma articolato e suscettibile di continue espansioni; dotato, se vogliamo, di una versione alta, pura, in cui il processo di costruzione del veicolo del significato risponde a certe esigenze formali, e una depauperata in cui queste esigenze non vengono soddisfatte. Benedetto XVI, comunque destinato ad una presenza consistente sui social media in virtù del suo ruolo, ha conosciuto un particolare successo all’interno della web culture proprio grazie alla sua caratteristica corporeità. Il volto del papa, exempli gratia, ha fornito molta materia prima al processo di costruzione semantica di cui si è detto:  il sorriso fitto di denti bianchi e irrigidito dall’età, gli occhi involontariamente grifagni e l’espressione complessiva del volto si sono combinati con l’accento germanico, l’età e la nazionalità associando con grande fortuna la figura del papa a personaggi più o meno celebri della cultura popolare contemporanea. Tipi generici come il prete pedofilo o il tedesco cattivo e quindi il nazista, ma anche specifici come l’imperatore Palpatine della saga di Star Wars.

In altre parole,  la rivalutazione della tradizione ha prodotto – forse proprio per dissimulare la realtà di una debolezza fisica sempre più invadente – un arricchimento dell’esteriorità che ha catalizzato l’attenzione di mezzi di comunicazione, i social media, naturalmente portati a concentrarsi sulla corporeità per il potenziale comunicativo che essa possiede, specie quando viene decantata e stilizzata in immagini da usare come componenti del sistema linguistico e semantico sotteso alla web culture. Se il vicario di Cristo ha tentato, e continuerà a tentare di mettere da parte il corpo a favore dello spirito, i mezzi di comunicazione della rete risponderanno con un secco no, e continueranno a macinarlo nel processo di decostruzione e ricostruzione su cui basano la loro stessa esistenza. C’è una buona probabilità che chiunque avrà interesse a progettare una proposta efficace dell’immagine pubblica del pontefice dovrà prendere in considerazioni queste modalità di ricezione, dal momento che sembra ancor più probabile che le forme comunicative tipiche dei social media – cioè articolate per immagini – invadano i campi dell’informazione per così dire tradizionali (forse inducendo un’involuzione nelle capacità di elaborazione semantica degli utenti: ai posteri l’ardua sentenza). Emerge in tutta la sua forza, quindi, la contraddizione tra la volontà di fortificare l’immagine del corpo con abbigliamento e cerimoniale, da una parte, e dall’altra la definitiva resa che Ratzinger ha firmato l’11 febbraio a favore dello spirito, sotto gli occhi di un pubblico sempre più abituato a pensare e a parlare come vede, seduto in un gran teatro in cui lo spirito si fa sempre più volatile e sottile e il corpo s’ingrossa ogni giorno sulla scena. 


Parte della serie Sic transit gloria caeli

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