L'anello in frantumi

Sic transit gloria caeli

Lo scalpore e lo stupore suscitato dalla scelta di rinuncia d’incarico (perché di questo si tratta, come attestato dal Codex Iuris Canonici) da parte di Papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, definita dal decano del collegio Sodano «un fulmine a ciel sereno», sono dilagati in tutto il mondo Cristiano e non, i riflettori mediatici puntati su Città del Vaticano a partire dall’11 Febbraio scorso. Il pontefice, di diritto annoverato tra i primi dieci uomini ad aver fatto “il gran rifiuto” di cui si abbia fonte storica certa, rinuncia all’eredità di Pietro durante il Concistoro per la prossima canonizzazione di tre Beati, dichiarando apertamente (sempre come previsto nel Codex) ai cardinali che le sue «forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».
I giornalisti in TV cominciano a sbagliare i congiuntivi, tanta è la confusione che la notizia ha lasciato dietro di sé; il web impazzisce, sfornando memes di pessima qualità e intasando nuovamente il contatto Twitter @Pontifex con la solita ripetitiva sequela di domande alla Marzullo che aveva preceduto l’apertura dell’account stesso.

Oggi, 28 Febbraio, diventa una data importante, che segna sì la fine del papato di transizione di Benedetto, ma apre le porte ad una nuova epoca di fronte alla quale la Chiesa in toto non può più tirarsi indietro. L’Anello del Pescatore verrà distrutto dal camerlengo col Papa (ora emerito) ancora in vita; il conclave che si avvicina celermente, affrettato anche dal ‘consiglio’, tramite il Motu Proprio, dato ai cardinali dallo stesso pontefice, non ammette errori, e la pressione per la scelta giusta guidata dallo Spirito si fa sempre più alta; sarà singolarmente lo Spirito Santo ad agire stavolta, o starà anche al lato umano dei ministri ordinati? Gli occhi sbarrati dei porporati in conferenza stampa che lanciano in camera sguardi cupi e torvi, nonché le dichiarazioni di «scelta inaspettata» da parte di alcuni (in questo caso Bagnasco), dovrebbero far riflettere il pubblico.
L’aria di cambiamento non si è mai respirata all’esterno di San Pietro, durante quest’ultimo pontificato; eppure l’ineccepibile teologo tedesco ha saputo riportare ordine nel macrocosmo cristiano ricevuto per scelta dalle mani vecchie, fredde e tremanti di un Wojtyla ormai spento, tanto che negli anni precedenti al 2005 lo stesso cardinal Ratzinger è stato il responsabile della redazione finale dei discorsi di Giovanni Paolo II; le loro due figure sono sempre state paragonate come il longevo innovatore da una parte, e il vecchio conservatore dall’altra, e nessuno si è mai preoccupato di dare uno sguardo critico o meno riduzionista e certamente più olistico alla questione.

Il polacco, cardinale giovanissimo e successore di Pietro per un tempo molto lungo, ha avuto modo di sperimentare sulla sua pelle tutto il dolore della guerra, le macchinazioni dell’URSS contro i ‘drogati di oppio dei popoli’, è stato degno portatore del suo nome (Giovanni e Paolo, l’apostolo più caro al messia e l’illuminato sulla via di Damasco) inaugurando un periodo di espansione mondiale della Chiesa e del cristianesimo, preoccupandosi di realtà difficili e cavalcando pienamente l’onda del suo periodo storico. D’altro canto il tedesco ha vissuto una gioventù come schiavo obbligato del cancro nazista in recessione, combattuto tra fede e costrizione sociale, ma ha sempre studiato e si è sempre dedicato alla teologia la cui conoscenza è risultata superiore rispetto a quella del ‘Papa delle genti’, suo predecessore; anche lui in un certo senso ha reso onore al suo nome (Benedetto XIV fu un acuto legislatore, e Benedetto XV il fermo oppositore della Prima Guerra Mondiale). Da ribadire il fatto che Karol Wojtyla ha avuto un cursus honorum pieno e completo, vivendo le realtà della sua gente in prima persona, a differenza di Joseph che (come dargli torto?) ha preferito dopo il seminario il concedersi alla vita accademica e allo studium, piuttosto che al contatto umano coi fedeli.
Il semplice amico della fede e il fine teologo solitario.
Se negli anni ’80 la figura di Giovanni Paolo è stata necessaria per l’apparato ecclesiastico, il passaggio del Papa ormai ‘dimissionario’ è stato in egual modo fondamentale, per un ritorno alle radici che è servito alla Chiesa come monito e preparazione ad un epoca che dovrà lasciare spazio a molti mutamenti: si parla di avvicinamenti a dottrine più o meno ortodosse e innovazioni che permettano a questa entità quasi pluri-millenaria di sopravvivere all’interno del moderno caos occidentale, dove pare non ci sia più spazio per ideali di nessun genere, siano essi religiosi, politici, filosofici.

La rinuncia, checché ne dicano pubblicamente ministri, laici o quant’altri, era un pensiero fisso già da un paio d’anni nella mente del pontefice: dalle sue parole traspare la fermezza dovuta a mesi di riflessione e dialogo, e una consapevolezza delle proprie azioni che non lascia spazio a repliche o a giudizi (Codice di Diritto Canonico docet). Inoltre la lettura delle sue parole non implica necessariamente che la ‘forza’ di cui egli parla sia esclusivamente quella fisica, la cui deficienza è dovuta alla tarda età. La Chiesa stessa, che ne siamo consapevoli o meno, sa perfettamente che i suoi prossimi passi sono quelli che decideranno il giudizio che quest’Era avrà per lei; tutti si stanno preparando ad una tempesta, di cui non siamo ancora certi. E come non condividere, con il presbiterio, il pensiero che ci lascia intendere che nessuno, in quest’epoca, vuole ancora, di nuovo, fare il Papa. Il ‘pericolo’ siamo noi, coloro che sono esterni alle vicende, e osservano attenti ogni mossa di questo universo così distante, così vicino, in attesa che in un periodo di sede vacante, di vuoto, una ‘bolla’ papale scoppi in volto a chi di dovere e apra gli occhi sulla realtà oggettiva dei fatti.
Benedetto XVI ha rinunciato, con malcelato protagonismo, volendo tra le righe lasciare un avvertimento: le redini del cattolicesimo sono state tutte riunite e ben tirate, ma colui che sarà il prossimo a guidare al pascolo i fedeli dovrà fare più di chiunque altro prima di lui per guadagnarsi il rispetto della marmaglia.
Ed ecco che, exeunte hieme ineunte vere, la brezza del cambiamento soffia infine dai portali spalancati della Basilica.


Parte della serie Sic transit gloria caeli

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