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Sic transit gloria caeli

Contro la logica dei preferiti, contro ogni scommessa e previsione, contro il curialismo fanatico che rischiava di impantanare gli ingranaggi della Sancta Romana Ecclesia, dalle fila della Compagnia di Gesù è stato scelto l’argentino Jorge Mario Bergoglio, qui sibi nomen imposuit Francesco, primo del suo nome. Il Conclave conclusosi al quinto scrutinio, appena al secondo giorno dal suo inizio, ha lasciato molti interrogativi: domande che vengono soffocate dall’apparente e piacevole genuinità del nuovo vescovo di Roma.
Un Habemus Papam in cui l’atmosfera non era poi così differente da quella dell’elezione di Wojtyla: al nome del nuovo pontefice, un gelido silenzio ha avvolto la folla delle migliaia di fedeli che in San Pietro attendevano con trepidazione l’affacciarsi al balcone di uno Scola, o chi per lui, che fosse più noto o capace di questo sconosciuto che viene “dalla fine del mondo”. Eppure sono bastati quei pochi minuti intercorsi tra l’annuncio e l’apparizione di Francesco I per cambiare repentinamente le carte in tavola.

Da cardinale arcivescovo di Buenos Aires creato da Giovanni Paolo II, Bergoglio è giunto da un paese che ha avvertito il disagio economico, politico e sociale di quest’epoca in maniera estrema; la decisione maturata alla luce di quell’attesa nella sede vacante e nei primi quattro scrutini è stata ponderata in funzione di un’altra probabile transizione che spianerà la strada alle riforme: i settantasei anni del nuovo pontefice ne sono la prova. Nessuno però ha avvertito questa sensazione sulla propria pelle quando, tra le acclamazioni del pubblico ancora basito, Francesco ha fatto la sua prima comparsa. La semplicità di quest’uomo è un segno notevole: non indossava il pallio (il paramento sacro che i suoi predecessori tenevano in vista della benedizione della cerimonia di insediamento) né tantomeno il classico crocefisso dorato. L’informalità con cui ha parlato alla platea ha ridato speranza ai cattolici: l’essenzialità della preghiera e la lotta alla povertà – non ai poveri – sono state fin da subito visibili nella personalità dell’argentino. Il primissimo pensiero è stato per Benedetto XVI, vescovo emerito; poi, prima di concedere l’indulgenza plenaria a coloro che assistevano al rito, ha chiesto al popolo cristiano di pregare nuovamente intercedendo presso Dio su di lui, chinando e mostrando il capo verso la piazza gremita.
Il significato umano e morale di tutto questo porta enormi implicazioni sul piano pratico. Al di là dell’atipicità di questa transizione impropriamente detta, il ritorno alla dimensione terrena da parte della Chiesa è un passo necessario verso un’apertura a questo freddo mondo ostile. La riduzione della scorta personale del pontefice, il pagamento del conto dell’albergo dove Sua Santità ha alloggiato nei giorni precedenti al conclave, sono tutte piccole cose, spie, segnali, che lasciano intendere la volontà umile ma ferrea del primo Papa gesuita della storia. A vincere è stato l’istituzionalismo degli ordini: non il conservatorismo francescano, ma la forte tendenza educatrice ed evangelizzatrice di un istituto religioso che tanto ha operato in Europa e America Latina.

Eppure il nome del pontefice è Francesco: qual è stata la motivazione che lo ha spinto a sceglierlo? Molti tra i giornalisti e i curiosi si domandavano se non fosse semplicemente un mero riferimento a San Francesco, ma che dietro non ci fosse l’intenzione di ricordare altre personalità importanti nel percorso formativo dell’ex vescovo di Buenos Aires, quali Francesco Saverio, santo gesuita le cui opere in America del Sud durante il Cinquecento lo resero noto a tutti gli uomini di fede, o Francesco di Sales, a cui si rifanno gli ordini salesiani.
Racconta Bergoglio in conferenza stampa che nel momento in cui durante il quinto scrutinio il suo nome aveva già raggiunto i voti sufficienti per l’elezione, il vescovo emerito di San Paolo in Brasile cardinale Clàudio Hummes gli ha sussurrato di non dimenticarsi dei poveri. L’immagine di San Francesco d’Assisi ha preso campo nella mente dell’argentino, che ha onorato questa ispirazione con la scelta del nome. I porporati in primis si sono ritrovati a sorridere sentendo questa novità, tanto che alcuni hanno obiettato che il nome più adatto sarebbe stato Adriano, a ricordo di Adriano VI il riformatore; pochi altri hanno suggerito invece, con arguzia e simpatia, Clemente, affinché Bergoglio potesse prendersi una rivincita storica con Clemente XIV che destituì proprio durante il suo mandato l’ordine dei gesuiti.
Successivamente, in modo poco ortodosso, c’è tra i laici chi ha dichiarato che le profezie di Malachia e Nostradamus si sono avverate – i membri della Compagnia di Gesù vestono il nero, quindi lo stesso Jorge Mario sarebbe un “Papa nero”.

Le prime dichiarazioni del pontificato di Francesco I hanno subito confermato l’impronta riformatrice che si ha intenzione di portare avanti all’interno del sistema ecclesiastico; l’Angelus domenicale ha invece rimarcato la dimensione umile in cui questo Papa, togliendosi le sfarzose scarpe rosse di Joseph Ratzinger e indossando abiti comuni, si è avvicinato alla folla sia in senso reale che con il cuore: una splendido messaggio di misericordia e perdono che non va assolutamente sottovalutato.
Quanto durerà? La forza delle azioni di questo anziano vescovo ha mosso a commozione il mondo intero: ma la scelta in senso politico (e non spirituale) del successore di Pietro è stata solo rimandata. Bergoglio è una via di mezzo, un’ποχή (in greco, ‘sospensione del giudizio’), un tramite, un “riformista moderato”. Il Vaticano si trova suo malgrado ancora sotto la gigantesca ombra di Karol Wojtyla, e nessuna delle personalità attualmente in carica è in grado di sorreggere come Atlante il peso della pietra fondatrice del Cristianesimo.


Parte della serie Sic transit gloria caeli

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