Blindate la Sistina

Sic transit gloria caeli

La funzione domenicale del 10 Marzo ha permesso a tutti i centoquindici elettori porporati di trovarsi faccia a faccia con la propria umanità; presto uno di loro sarà infallibile. A soli due giorni, eccoli chiusi all’interno della cappella ornata dagli affreschi mozzafiato del Buonarroti, in segreto concilio a decidere le sorti della guida del popolo cristiano cattolico nel mondo.
Le innumerevoli dichiarazioni del presbiterio fino ad oggi, miste alle chiacchiere da salotto nel mondo del media, delineano un profilo dell’evento inaspettatamente sicuro, come se tutto già fosse stato deciso in quei pochi attimi di smarrimento che hanno seguito la rinuncia di Benedetto XVI. C’è anche chi scrive che la differenza tra conservatori e progressisti è ormai superata, che bisognerebbe invece ragionare in ambito curiale. E ancora, nuovamente, come una nenia assillante e ripetitiva, si inneggia al Papa nero.

Le implicazioni delle opinioni extra-ecclesiastiche dovrebbero interessare poco gli spettatori di un avvenimento storico quale è il Conclave. La tradizione della chiusura cum clave è antichissima e piena di necessità inerenti al completo distacco dalla società affinché essa non abbia modo di influenzare, con le sue motivazioni, il voto dei partecipanti. Si è superato il periodo della lotta per le investiture, ma la folla ha sempre la sua opinione; un’opinione che nonostante i secoli e il passare del tempo rimane sempre ignorante e priva di qualsivoglia competenza del reale problema che si sta affrontando.
Lo shock iniziale dei cardinali era probabilmente una prova attoriale dovuta nei confronti degli osservatori: il calcolo e il ritratto riguardo al prossimo pontefice sono già stati ponderati a dovere, ma mai abbastanza. La fretta e la speranza di un Conclave breve, rapido, sfiorano il ridicolo; in un tale momento storico è sì d’obbligo una scelta celere, ma anche la consapevolezza che questa scelta sia la migliore possibile. Inoltre il cosiddetto “curialismo” è semplicemente un termine politically correct ripreso da uno spiccio latinorum che non cambia affatto le carte in tavola. Pare che nessuno dei ciarloni che tanto hanno avuto da dire in questo periodo si sia soffermato sulla trasposizione reale dei concetti espressi dalle proprie ampollose e vuote parole.

Progressismo, conservatorismo, sono termini che non calzano la situazione ecclesiastica. E il curialismo inteso dai giornalisti in genere non è altro che un termine che identifica proprio i cosiddetti “conservatori”, più attaccati o comunque esperti di una realtà di Curia non condivisa o non vissuta appieno da altri membri del clero. Un concistoro, un’assemblea cardinalizia non è divisibile in destra e sinistra, non esiste una vera e propria “parte politica”. La differenza che effettivamente potrebbe essere oggetto di discussione è quella tra istituzionalisti e riformisti. I primi sono coloro che si inseriscono in un contesto istituzionale: non per quanto riguarda incarichi importanti all’interno della Chiesa (come Bertone segretario di Stato e camerlengo, cariche che lo allontanerebbero dal soglio pontificio) ma riguardo i gruppi e gli ordini religiosi a cui un determinato numero di cardinali appartiene; i secondi sono quelli più inclini a modificare la tradizione non perché relativamente più giovani o appartenenti ad etnie più aperte alle novità, quanto perché non legati ai vincoli di una regola che altrimenti sarebbe loro di intralcio nell’approvazione di quelle norme (come una maggiore apertura del clero maschile ad opzioni che lo porterebbero più vicino all’Ortodossia) che adesso sarebbero di ristoro all’universo cattolico.
La “non maturità” annunciata per la maggior parte dei cardinali asiatici e di colore non è altro che una mezza verità: le realtà cristiane in generale, sia in Africa che in Asia, sono presenti in modo completamente diverso rispetto al panorama europeo, talvolta sporcate da particolari sincretismi che in caso di elezione renderebbero assai complicata la comunicazione teologica; i più arguti e maligni guardano però al nero pontefice a causa delle profezie di Malachia e Nostradamus secondo le quali questo individuo, col nome di Pietro II, porterebbe la Chiesa allo sfacelo – e data la situazione attuale, queste previsioni potrebbero non essere del tutto errate.

Nel giorno di inizio del conclave, con mente lucida e senza speculazioni, i papabili più scontati restano gli arcivescovi di Milano e San Paolo in Brasile, Angelo Scola e Pedro Scherer. Il cardinale italiano potrebbe essere la scelta più ovvia: dal 2002, dopo un periodo in qualità di vescovo di Grosseto, è stato uno dei cardinali più in vista del panorama cristiano, assumendo prima l’incarico di Patriarca di Venezia e successivamente quello attuale di arcivescovo di Milano. Le due diocesi vescovili più importanti a livello italiano sono state guidate egregiamente dalla testimonianza teologica che il cardinale ha sempre portato avanti, sostenuto dall’ormai Papa emerito, dal Decano del Collegio Cardinalizio Angelo Sodano (ex-segretario di Stato, prima di Tarcisio Bertone), e da una figura di spicco come il cardinal Camillo Ruini, creato nel suoi incarico da Giovanni Paolo II; d’altro canto anche il brasiliano di origini tedesche succeduto a Hummes nell’incarico di vescovo della capitale latina, con la sua “teologia della liberazione” – un movimento di riflessione teologica degli anni ‘70 in contrasto con alcuni dei principi della Santa Sede, relativo in particolar modo alla realtà latino-americana, che tendeva ad utilizzare il messaggio cattolico per emancipare i paesi sudamericani a livello politico e sociale – si trova certamente in una posizione di predominanza, soprattutto per il legame che lo unisce alla Curia di Roma. Ad essi si va ad aggiungere lo statunitense Timothy Dolan: rigido e fermo per quanto riguarda le regole, ha combattuto strenuamente contro la pedofilia che imperversava sulla East Coast degli Stati Uniti; alcuni vedono in questa figura uno slancio di simpatia e bontà, dedita alla tolleranza con estrema voglia di cambiamento, tanto che alcuni, i più ingenui, lo hanno definito “il cardinale grillino”.

Si ragiona di grandi elettori, nomi di cardinali minori, accordi, convergenze di voti. Al di là delle supposizioni più concrete, o fantasiose, chi ha ancora Fede in questo periodo ostico sa perfettamente che anche lo Spirito vuole la sua parte. Non è un mero gioco delle parti, non si tratta solo di scegliere l’uomo migliore in grado di portare avanti un’istituzione millenaria che ad oggi agli occhi atei della società perde sempre più senso di esistere. Il vero nucleo dell’incarico di elezione sta nel trovare quell’individuo, nascosto tra centoquindici cappe purpuree, pronto ad accettare con umiltà quella veste candida che pesa così tanto.
L’unica speranza per tutti in questo momento è quella che ben si guardi con occhio critico la fuga di notizie degli ultimi giorni, una fumata nera di pettegolezzo. Al globo dovrà interessare quella bianca.


Parte della serie Sic transit gloria caeli

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