DECALOGO 9

Non desiderare la donna d’altri

Una striscia bianca e continua si perde tracciata sull’asfalto, mentre di fianco un’altra la accompagna parallela; anche questa è continua per gran parte della strada ma, interrompendosi più in là nel prosieguo delle discontinuità del tratteggio, scompare nel niente come a tracciar il destino di due persone che inseguono il segreto di ciò che è di comune uso chiamare amore. Un pullman per Varsavia che passa e poi svanisce oltre la strada.

Due corpi sono avvolti nella pioggia battente, prima separati e poi di nuovo insieme nella notte; i volti riflessi e le aberrazioni del vetro a deformare i lineamenti e il punto di vista su due sposi.
Roman, cardiochirurgo quarantenne di ritorno da Cracovia, dopo esser stato in visita da un amico specialista, ha scoperto di essere impotente. La moglie Hanka accoglie con serenità il triste responso, rassicurando il marito nella lucida convinzione che il sentimento che li lega prescinda da esigenze ritenute di mero ambito biologico. Roman, rassegnato e scettico in merito, non sembra ben disposto a crederle e a malincuore la invita persino a trovarsi ‘qualcuno’ che riesca a soddisfarla laddove lui d’ora in avanti più non potrà. «Su certe cose non è necessario dirsi tutto fino in fondo» –  «È necessario» –  «Voglio stare con te, malgrado tutto […] ti amo. Ti posso abbracciare?» –  «Sì che puoi».
La mano di Hanka scivola a sfibbiare i bottoni della camicia bagnata; quella di Roman la ferma impaurita.

Imperniato su tali presupposti, Kieślowski apre così al terreno viscoso della gelosia disseminando gli indizi che porteranno il povero protagonista a strisciare a fatica come un verme costretto ad arrancare qua e là nelle zone più appiccicose e a desiderare nell’ombra, nel degrado della propria condizione umiliante.
Frustrato dal senso di colpa per una responsabilità involontaria, sulla quale non può agire liberamente e di cui sente terribilmente il peso, rimane vittima impotente dell’ossessione masochista di voler essere partecipe ad ogni costo di quella ‘mancanza’, colmata dal supposto tradimento della moglie. Quello stesso senso di colpa che gli pone il veto dilaniante di non poter desiderare una donna non più sua, e perciò d’altri. Di contro, convinto così di non avere nemmeno le credenziali per essere geloso, può allora far valere il proprio arbitrio soltanto con un atto estremo che tolga di mezzo il peso della propria presenza-assenza nella relazione di coppia e con ciò l’ostacolo alla fedeltà forzata e vacillante della donna.
Lo sportellino del vano portaoggetti dell’automobile tradisce disvelando un quaderno d’appunti di fisica; un numero di telefono e una cartolina inviata in casa della madre di Hanka, luogo in cui è consumato il peccato. In silenzio, le note strazianti di un compositore consigliatogli da una paziente. Roman spia la moglie tra le fessure delle veneziane della finestra, fruga nella sua borsa; apporta delle modifiche all’apparecchio telefonico per smascherarla. Poi duplica le chiavi della casa della suocera per essere testimone del peccato, alimentando al contempo il desiderio per la donna amata, oramai d’altri. In lacrime, ignara della presenza del marito – ora seduto sulle scale del pianerottolo – si lascia possedere da un giovane studente di fisica, suo amante.
«Tu eri brava in fisica?», chiede Roman una volta rincasati entrambi – «L'apparente perdita di peso equivale al peso dell'acqua che il corpo può spostare. Mi sembra». Hanka gli accarezza il volto; lui rifiuta il contatto: «Non mi toccare».

Ad un ultimo appuntamento concesso all’amante per un addio freddo ma affettuoso, Hanka scopre il marito nascosto nell’ombra. Risentita, lo invita ad uscire; gli urla contro. Roman si lascia cadere giù mortificato e impotente; scivola, strisciando ancora. «Perché hai fatto questo?», continua urlando la donna. L’uomo si passa la mano tra i capelli disperato, quasi a non voler sentire. Cinica, lo punisce ancora con le parole infierendo su ferite difficilmente rimarginabili.
«Volevi vederci saltar su e giù per il letto? Avresti dovuto venire una settimana fa». – «C'ero». E un velo di vergogna a far scomparire entrambi in un silenzio umiliante.
Poi in bagno lo consola come fosse un bambino impaurito: «Abbracciami caro. Ti prego, abbracciami» – «Non posso» – «Abbracciami» – in lacrime, mentre Roman si abbandona come un peso morto senza alcuna reazione – «Ti prego». Un lamento dilaniante.
«Non possono esserci segreti tra noi, dobbiamo dirci ogni cosa. Da oggi io ti dirò sempre la verità. Non dovrai più nasconderti per spiarmi. Avremo dovuto avere un figlio; dovremmo adottarlo, avevi ragione».

I due sposi decidono di stare lontani per un po'. Hanka propone al marito di fare un viaggio, ma questi preferisce che sia lei ad andar via per paura che si ripresentino nuove circostanze col giovane studente. Le compra gli sci.
Il treno in movimento, si tengono per mano: «Hai un po' di fiducia in me?» – «Sì». Il treno va via. Poi in casa, versa del latte in una ciotola e spia dalle veneziane una bambina giocare, nell’amarezza di un sogno nostalgico di paternità.
I sapori acri ancora vivi del dubbio e della diffidenza lo portano però a indagare ulteriormente, quando, per caso, incrocia l’ex amante della donna con un paio di sci; subito una telefonata alla madre del giovane a confermargli che anche lui è andato a sciare nella stessa località in cui si trova Hanka.
Il ragazzo ostinato ha raggiunto la donna, ma lei, ignara di tutto fugge via, quasi avesse il sentore che il marito sappia tutto.  Riesce a prendere affannosamente il primo pullman per Varsavia.

Roman corre, corre forte con la sua bicicletta. Il sole timido lo avvolge, stringe gli occhi forte. La striscia tratteggiata sull’asfalto sembra segnare il sentiero interrotto. Poi è un salto nel vuoto. La raggiera della ruota della bici cigola girando, sporca di terra sotto lo sguardo di un passante. Lontano, il pullman per Varsavia insegue ignaro, affiancando le due scie parallele, lungo il tratteggio di un amore spezzato nel disincanto di una fedeltà più volte tradita e un amore ora compreso fino in fondo, che nella purezza totale del proprio contenuto riesce a riempire completamente di bianco la scia continua sull’asfalto.
Hanka rincasa e trova sul telefono una lettera d’addio. Il suo nome sta scritto sulla busta che la contiene. Piange disperata.
Roman è ancora vivo. Avvolto da bende, impalato su un letto d’ospedale, scopre che la moglie è tornata a Varsavia. Detta il numero a un’infermiera che digita il numero e gli accomoda con cura la cornetta sull’orecchio.
«Anna» – «Sei tu? Dio mio sei tu?», rincuorata. Gli occhi e le labbra tremano.


Parte della serie Le dieci parole di Kieślowski

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