DECALOGO 1

Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio al di fuori di me

C’è un confine che separa il vasto piano ghiacciato da un solco creatosi nello stesso, altrettanto esteso, in cui l’acqua del laghetto è libera di muoversi, libera di manifestare il proprio mistero, la propria profonda oscurità. Il volto di un uomo sconosciuto osserva e ha osservato, testimone assente all’azione degli eventi: il fuoco lo riscalda, nel gelo lacerante di un enorme condominio, in cui le vite di persone comuni si mischiano e dimenticano. Kieślowski apre il film disponendo l’occhio della sua macchina da presa, sempre esente da giudizio, proprio in quel confine segreto, in cui non è più distinguibile ciò che è completamente ‘ghiaccio’ da ciò che è completamente ‘acqua’. Da una parte l’oggetto: chiuso, delineato e delimitato, conosciuto nella sua interezza, perciò rassicurante; dall’altra, il liquido, privo di forma, divino: forse altrettanto rassicurante, ma imprevedibile.
In quella frattura tra vita e morte, scienza e fede, bene e male, vi è uno spazio ibrido nel quale il regista conduce tanto lo spettatore, quanto i suoi personaggi, permettendo loro di abitare e vivere il luogo del dubbio, dell’interrogazione, laddove risposte e certezze non sono concesse.

Krzysztof, docente universitario, svolge la sua lezione di linguistica portando avanti il suo credo, basato sui più radicali assunti d’intelligenza artificiale (probabilmente di matrice funzionalista-putnamiana), mentre il suo piccolo Pawel lo osserva estasiato. È esposta la tesi secondo cui un traduttore informatico può essere dotato non soltanto d’intelligenza ma anche di una coscienza: «seleziona, quindi opera un atto d'arbitrio, forse un atto di volontà; un computer debitamente programmato potrebbe avere gusti propri, preferenze estetiche, individualità» - dice Krzysztof. I dubbi e le perplessità che il bambino inizia a manifestare sulla morte e su Dio s’insinuano nella crepa presente tra i suoi due principali punti di riferimento: il padre, scientista non credente, e la zia Irena, fervida cattolica. Sullo sfondo, una madre assente e lontana.
Pawel freme per andare a giocare sul laghetto ghiacciato con i pattini nuovi, e il padre acconsente solo dopo aver effettuato scrupolose verifiche al computer. Nonostante i calcoli, ripetuti più volte da Krzysztof, fino all’ultimo disperato istante, quando si è già iniziato a vociferare sull’avvenuta tragedia, il ghiaccio si rompe e Pawel muore.

Imperniato su premesse dichiaratamente laiche e agnostiche, lo sguardo di Kieślowski non è mai privo di religiosità. Tutt’altro che preclusa, quindi, la possibilità della fede si respira in continua tensione verso un ordine metafisico altro e inafferrabile, i cui segni sono sparsi incomprensibilmente nella vita di tutti i giorni. Lì è concentrato il mistero dell’intera condizione umana.
Il regista polacco opera con maestria un’umanizzazione problematizzata del comandamento: lo libera dal carattere dogmatico e prescrittivo del semplice precetto: lo rende carne, debole, non al riparo dall’imprevedibilità crudele degli avvenimenti. In questa prospettiva, il calcolo può soltanto cedere, eclissando ogni pretesa di onniscienza del suo agire, a scapito del mistero, dell’irrisolvibile. Irena, abbracciando il nipote: «Che cosa senti»? - Pawel: «Ti voglio bene»; Irena: «Ecco, qui c’è Dio».

Krzysztof si reca in Chiesa, si avvicina all’altare, e per la rabbia si scaglia contro l’impalcatura su cui sono poste delle candele: la cera cade sulla raffigurazione della Madonna, disponendosi a chiazze sul viso, come lacrime. L’uomo, disperato, inserisce la mano nel fonte battesimale e tira fuori un blocco di ghiaccio a forma d’ostia, portandolo al capo, piangente. Elementi simbolici che rinviano sì a qualcosa d’altro, a un altrove di cui non è dato sapere nulla, ma che rimangono brutalmente presenti, nel loro essere oggetti come altri. Materia.
La lacrima è solo cera che in quell’istante cade su un quadro in cui è raffigurato un volto femminile; ciò che Krzysztof porta al capo, con mesta redenzione (chissà), è solo un pezzo di ghiaccio. Ma lì dove restano semplici ‘pezzi’ di una qualche consistenza, Kieślowski è arrivato percorrendo il nobile sentiero attraverso il quale - traendo spunto dalle parole del co-sceneggiatore Krzysztof Piesiewicz - «l’uomo si affaccia su una situazione che lo sorpassa».
A contatto con il calore della fronte, lentamente, qualche goccia cade giù.


Parte della serie Le dieci parole di Kieślowski

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