DECALOGO 5

Non uccidere

La pellicola s’impressiona di un impasto giallo-verdastro, trasfigurazione fotografica deformante dai colori irreali.
Di certo, non perché la materia trattata sia irreale, ma forse a suggerire che ciò che accade potrebbe essere altrimenti, diversamente da com’è. Se da un lato, infatti, esistono leggi che hanno il dono – o la colpa – di essere irreversibili, quali quelle fisico-naturali, dall’altro ne esistono delle altre che per loro essenziale normatività ineriscono sì a un dovere, ma al tempo stesso concedono il lusso della possibilità di essere trasgredite.
‘Non uccidere’: l’individuo è libero di scegliere ‘diversamente’. Così avviene nella legge dell’uomo, così in quella di Dio.

Mentre un ragazzo insoddisfatto dalla vita e in gelida lotta col suo tragico passato (Jacek) vaga per la città, divertendosi a provare l’ebbrezza di trasgredire ogni regola del normale comportamento civile, nelle parole proferite fuori campo da un giovane avvocato inesperto (Piotr) risuonano ideali di equità: «La legge non dovrebbe imitare la natura: dovrebbe correggerla. La legge è stata creata dagli uomini per regolare i rapporti sociali; ciò che noi siamo e come viviamo dipende dalle leggi, che noi osserviamo o infrangiamo. Fino a quando la sua libertà non lede quella di un altro uomo. La pena è una forma di vendetta, specialmente se mira ad arrecare il male e non a prevenire il delitto. Ma in nome di chi si vendica la legge? Veramente lo fa in nome degli innocenti? E sono i veri innocenti che fanno la legge?».

Jacek è al bar e come un bambino sceglie l'esatto bignè. Seduto, avvolge una corda attorno alle nocche della mano; poi vede delle bambine dall'altra parte della vetrata e usando il cucchiaino come fosse una catapulta lancia loro la crema del bignè che s’infrange sulla parete trasparente. Ogni cosa è per lui un gioco infantile: va via dopo aver sputato nel caffè lasciato al tavolo.
Non sembra rendersi conto della gravità degli effetti del suo agire sconclusionato, che lo porta a superare di volta in volta un nuovo limite.
Jacek è piegato sul muretto del cavalcavia; crea delle forme con la silhouette formata dal braccio e dal fianco, guardando dietro di sé come da un buco della serratura, come a voler comprimere e schiacciare persone e cose nel barattolo del suo gioco, alterandone forma e regole: lancia una pietra da un cavalcavia, non se ne cura. Poi prende un taxi è uccide il tassista con violenza inaudita, senza movente. Di fronte al volto insanguinato della sua vittima sussurra: «Oh Gesù» – e poi lo copre con la camicia.
Piotr, il suo avvocato difensore. La condanna è l’impiccagione. A un ultimo colloquio il ragazzo gli chiede di essere seppellito accanto a suo padre e alla sorellina, chiede se può essere seppellito al cimitero.
«Tutti loro erano contro di me» – Piotr: «Non è così: contro quello che lei ha fatto» – Jacek: «Ma è la stessa cosa!».

L'ideale fuori campo resta allora non varcato, infrangendosi contro l’inutilità della realtà che la macchina da presa scruta senza sbavature perché il rigore kieślowskiano qui altro non sembra concederle, nel vincolarla scrupolosamente a quella che è la legge dell'uomo. Così adagiandosi su un pensiero di più ampio respiro – e allontanandosi dal rigore tecnico della terminologia specificamente giuridica – da quest’altra parte resterebbero allora le ‘norme’ della civile sopravvivenza sociale, che, in quanto tali, si vestono ora di umano, confacendosi perfettamente alla natura dell’uomo, invischiate tra le sfumature sporche di malvagità in essa connaturate.
Il regista polacco mette a tacere ogni simbologia, presentandoci una realtà cruda e amorale, soggetta a tali leggi. E non v’è altro. Dinnanzi a questa s'insinua la domanda etica dell’uomo in merito al giusto e all’ingiusto, al bene e al male, così delineando i contorni di ciascun individuo che a quelle leggi è irreversibilmente sottomesso, conformemente alla pur paradossale libertà di trasgredirle. Quando la legge dell’uomo punisce con irreversibilità, compiendo un agire violento che non lascia via d’uscita, diventa ‘natura’, nell’«imitarla» anziché «correggerla» – come dice Piotr in apertura. Si scaglia sul colpevole con crudeltà, il confine si fa presto tenue e l’approssimazione si assottiglia, fin quasi a perdersi nella coincidenza.
«Temo che sia sempre più difficile trovare un senso e sempre di più dubitiamo di quello che facciamo o magari di quello che vorremmo fare. Penso che ciò significhi il disfacimento dei criteri, o peggio dei valori».

La realtà tutta si tinge di giallo-verdastro, ora colore della morte.
«Lei è troppo sensibile per questa professione. Oggi è diventato un po' più vecchio»; il giovane Piotr resta impotente, mentre un procuratore, un medico, un sacerdote, e altri uomini abituati a quella prassi crudele attendono solo che la corda venga stretta al collo e la botola aperta. Jacek ha ucciso ed è ucciso e poco importa se non sembra esservi differenza alcuna con chi si dice detentore di ciò che è giusto.

Tra quelle mura la norma di Dio è trasgredita.
Poco prima, un’ultima sigaretta tremante tra le labbra, dal sapore inconsueto.


Parte della serie Le dieci parole di Kieślowski

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