Contro l'ego e per il bene del testo: il mestiere dell'editor

Intervista ad Alessandro Gazoia su editing, scrittura e gli ultimi lavori con minimum fax e 66thand2nd​​​​​​​

Pistoia, Biblioteca San Giorgio. È domenica mattina, l’ultimo giorno del festival L’anno che verrà, i libri che leggeremo. Nell’attesa della carrellata di incontri pomeridiani, durante i quali verranno presentati i romanzi in uscita prossimamente, ho finalmente l’occasione di incontrare l’editor Alessandro Gazoia e, una volta agguantato un tavolino nel giardino del bar, gli svelo tutta la mia curiosità sul suo mestiere.  

L’anno scorso a L’anno che verrà hai presentato L’amore per nessuno con Fabrizio Patriarca. In quell’occasione hai detto che il lavoro dell’editor non si concretizza tanto nel permettere alla voce dell’autore di uscire fuori completamente, quanto invece di permettere al testo di esprimersi in tutte le sue potenzialità nascoste. Ti trovi ancora in questa affermazione, che spero di aver parafrasato bene?
Sì, credo tu l’abbia parafrasata bene e sono convinto di una cosa, che ovviamente non ho pensato per primo (per esempio Eco ci ritornava tanto): c’è un’intenzione del testo che non è per forza l’intenzione dell’autore, e un editor non deve lavorare per compiacere l’ego dell’autore, quando quest’ego non lavora per il bene dell’opera. Anche lo scrittore di maggiore talento può auto-compiacersi in maniera eccessiva, può non vedere nel testo delle possibilità molto feconde.
Il lavoro dell’editor è per il bene del testo, che è più importante della “sensibilità” sia dell’editor sia dell’autore: siamo lì per fare il miglior lavoro possibile a favore di un testo, affinché questo testo il più bello possibile sia letto da quanti più lettori possibili.
Questo per me è importante, e vedo che anche gli autori lo apprezzano. Poi, personalmente mi ritrovo a essere molto amico con tanti autori, però questo rapporto d’amicizia è una cosa diversa. Volentieri ci andiamo a mangiare una pizza, ma poi sul testo si lavora per il bene del testo. Ed è una questione di onestà e rispetto verso l’autore, perché nessun autore ha una visione pienamente trasparente di quello che fa. Se l’avesse non ci sarebbe alcun bisogno degli editor.

Hai parlato di ego dell’autore, esiste anche un ego dell’editor?
Ah beh... sì, ed è il motivo per cui io non dovrei essere qui a parlare con te! Facciamo un po’ di polemica così diamo brio all’intervista: pensa ad Angela Rastelli, che ha “vinto”, mi pare, due Premi Strega di seguito come editor. Quante sue interviste ricordi? Ecco, nessuna. Perché? Perché non lavora nella piccola editoria ma a Einaudi dove si pensa a cose diverse dal mettere gli editor davanti ai libri. Rastelli, editor bravissima, come altri amici editor di Einaudi, Marco Peano o Francesco Guglieri, non vengono citati così spesso… Invece in questo nostro giro della piccola e media editoria indipendente compensiamo il fatto che il mercato è molto piccolo dando a ognuno il suo quarto d’ora sotto il povero sole.
Per esempio, in fondo ai libri delle case editrici con cui collaboro, minimum fax e 66thand2nd, c’è scritto chi è l’editor. Ovviamente a me fa piacere perché siamo vanitosi tutti però, se non ci fosse quell’indicazione, sarebbe pure meglio. Non sono di certo io a dover garantire per il testo: il testo si garantisce da solo. Non si mettevano davanti ai libri da loro seguiti Calvino e Eco, sarebbe ridicolo se ci si mettesse Alessandro Gazoia…
E te lo dico come persona neanche eccessivamente modesta o umile. Se tutti i libri bellissimi su cui abbiamo lavorato tantissimo vendessero diecimila copie, nessuno saprebbe chi è l’editor. Siccome, purtroppo, i libri bellissimi su cui abbiamo lavorato tantissimo molte volte fanno fatica a vendere anche solo uno zero di meno di quanto ti ho detto prima, allora ci paghiamo in visibilità… Insomma, questa enfasi sugli editor delle case editrici medio-piccole mi sembra dovuta al fatto che ognuno ha bisogno di compensazioni ideali per mancate soddisfazioni materiali.
Un’altra cosa: io non ho la possibilità di far fare un libro a un autore così “d’imperio”, collaboro con case editrici nelle quali sono ascoltato, ma ci sono tante procedure e tanti passaggi da rispettare. Tu non sai quanti libri che mi sarebbe piaciuto seguire sono stati rifiutati. E va bene così, anche perché ci dobbiamo sempre ricordare che gli editor rischiano i soldi di un editore.
Quanto ho detto sopra non significa che io voglia porre una distanza. Se c’è una cosa che spero di fare è quella di non porre alcuna barriera di fronte al testo che mi ritrovo a leggere. Cerco sempre di dare una chance a tutti, e valutare nel merito un libro. Nel giudizio estetico non mi interessa se non hai mai pubblicato, come non mi interessa se hai già pubblicato cinque libri con un grande editore. Poi si fanno anche delle considerazioni pratiche, non lo sto certo a nascondere.
 

Il lavoro dell’editor è per il bene del testo: siamo lì per fare il miglior lavoro possibile a favore di un testo, affinché questo testo il più bello possibile sia letto da quanti più lettori possibili


Oltre che editor, sei anche scrittore. Come concili i due ruoli e com’è stato mettersi nelle mani di un altro editor?
Non lo dovrei dire io però, insomma, mi considero un autore che ha la fortuna di collaborare con case editrici come editor. Ti voglio dire un’altra cosa, molto vera, almeno per me: fare l’editor di autori diversi tra loro – autori di fiction e non-fiction, spesso molto lontani tra loro – è un enorme aiuto per la scrittura, almeno dal punto di vista tecnico.
Riguardo all’editor editato: i miei primi due libri usciti per minimum fax, dove ho lavorato con Christian Raimo, in un rapporto di grande fiducia. Il terzo è uscito col Saggiatore dove ho lavorato con un bravissimo editor e autore che si chiama Andrea Morstabilini. Mi è stato d’aiuto soprattutto nella parte che mi preoccupava di più, cioè il capitolo iniziale. Sinceramente, cerco di essere molto aperto al confronto e poco “egocentrico”, ma non so se ci riesco davvero.

Alla luce di questo ti volevo infatti chiedere, visto che sei editor sia di fiction e non-fiction, e tra l’altro quattro libri da te editati sono tra i primi dieci titoli nella sezione di saggistica nelle ultime Classifiche di Qualità de L’Indiscreto (Remoria, La guerra di tutti, Rap e Scuola di demoni con la curatela di Carlo Mazza Galanti), quali sono le distinzioni generali tra editing di fiction e non-fiction e, nel caso della non-fiction, quanto devi conoscere l’argomento che stai trattando; penso a Rap, che è stato un lavoro commissionato, dunque il testo ancora non era stato scritto.
Faccio editing su testi di non-fiction che non sono incredibilmente specialistici. Sono sempre stato un lettore accanito e ho molti interessi, quindi ci sono tante cose disparate che mi ritrovo a conoscere e posso approfondire: così riesco a seguire libri anche molto distanti tra loro.
Per esempio, adesso sto lavorando con 66thand2nd per una collana che si chiama Vite Inattese dedicata a narrazioni centrate su grandi figure sportive: fra poco esce un libro di Fabrizio Gabrielli su Ronaldo [uscito il 31 ottobre, ndr] e tra qualche mese usciranno Stefano Piri su Roberto Baggio e Daniele Manusia su Daniele De Rossi. Per ognuno di questi libri sono necessarie alcune conoscenze specifiche, e allora ti metti a studiare.
Ovviamente non potrei mai improvvisarmi editor di storia medievale, andare a Laterza e propormi per fare l’editing di un manuale di Alessandro Barbero… Su altri temi mi sento più sicuro e posso acquisire ulteriori conoscenze, e quando sono in dubbio controllo e soprattutto chiedo all’autore di controllare. C’è poi un ulteriore livello molto importante che è quello del controllo redazionale. In diverse case editrici ho trovato redazioni molto esperte e attente – capaci di individuare un nome scritto sbagliato, una data improbabile, una frase che non gira, un termine usato impropriamente e così via. Questo mi consente inoltre di ricordare una cosa tanto ovvia quanto importante: ogni libro pubblicato è frutto di un lavoro collettivo.

Nel concreto, devo essere sincero, a me risulta quasi sempre più semplice fare l’editing della non-fiction. Il testo letterario ha dei livelli di complessità “ulteriori”, e questo naturalmente non vuol dire che il romanzo sia per forza più bello del saggio. Ti faccio un esempio: tra poco esce per minimum fax un libro di Antonio Talia che si chiama Statale 106. Viaggio sulle strade segrete della ‘ndrangheta [uscito il 31 ottobre, ndr]. Il libro è a mio avviso davvero ottimo, e ha richiesto un certo impegno anche in editing, tuttavia in tutto il lavoro non ci sono mai state incognite: sia io che l’autore sapevamo benissimo dove si doveva andare.
In opere di non-fiction creativa – come quella di Cesare Alemanni, che è una storia del rap ma è anche una meditazione sulla storia americana in generale – c’è una componente di racconto, talvolta molto forte. Libri così li trovo molto stimolanti. Credo che da noi ci sia un enorme spazio per questi testi, me ne sono accorto in 66thand2nd, dove la ricerca su italiani giovani e abili nel narrare storie sportive è stata relativamente facile perché alcuni autori secondo me ottimi non erano stati ancora contattati. In un altro campo non sarebbe stato possibile, ovvero quei quattro o cinque molto bravi sarebbero già stati presi.
Ogni tanto capita che ci siano dei settori in cui c’è per figure come la mia un certo spazio di manovra. In altri settori non accade, anzi gli autori bravi fanno il percorso dall’editoria indipendente ai marchi più grandi. A me questo fa piacere perché spesso l’autore ha anche delle gratificazioni materiali diverse; per esempio, Raffaele Alberto Ventura ha fatto di recente un libro molto bello seguito da me con minimum fax, La guerra di tutti; il prossimo libro lo farà con Einaudi e io faccio tantissimo il tifo per lui.

C’è differenza tra fare l’editor per minimum fax e farlo per 66thand2nd?
Quando ho cominciato in minimum fax non c’era, per così dire, uno storico, e dovevo giustamente confrontarmi con gli altri su ogni passaggio. Adesso sono più di cinque anni che faccio l’editor e si sa come lavoro, dunque quando arrivo con delle idee, anche apparentemente balzane, mi ritrovo a essere ascoltato e, se il progetto convince, ad avere una certa autonomia. Soprattutto ho sempre avuto l’immensa fortuna di poter lavorare, per la massima parte, su libri da me proposti.
Ti dico però che mi piacerebbe moltissimo provare a lavorare in un contesto come Sellerio, magari sul libro di un autore che deve fare al minimo 50mila copie, e avere quel tipo di pressione, oltre a sapere che il libro deve “venire in un certo modo”, ovvero rispettare certe convenzioni e regole. Io mi muovo in un ambito molto più stretto, con regole diverse; però devo dire che quando accettano una proposta in cui credo sento comunque una grande tensione, perché so che la casa editrice sta rischiando soldi veri. Insomma, non puoi buttare lì libri strani solo per dire “io ho il coraggio di fare le cose strane”. Questo è, di nuovo, un protagonismo dell’editor che non mi interessa. Poi, certo, ho consigliato tante cose strane ma perché secondo me erano belle, non perché erano strane.
Insomma, minimum fax e a 66thand2nd mi lasciano una certa libertà perché sanno che sento una grossa responsabilità verso un libro che ho proposto. Sia chiaro: molti libri vengono ancora migliori di come li avevo immaginati all’inizio, ma altri non riescono così bene; sono tutto fuorché infallibile. Nel mio lavoro quotidiano faccio molta ricerca, scouting, e dunque lavoro spesso con esordienti. Sento un’enorme responsabilità anche verso di loro e la loro carriera futura, oltre che verso la casa editrice.

Lavorare con esordienti sarà sicuramente diverso rispetto a lavorare con autori già affermati.
Beh, ovviamente un autore come Tiziano Scarpa è bravissimo e inoltre ha un’esperienza immensa, dunque il rapporto è differente. Tra parentesi Scarpa è uno dei pochi autori che mi ha chiesto le norme redazionali, cioè uno come lui che potrebbe far cadere dall’alto qualsiasi cosa ti dice “per favore fammi sapere come ti devo mettere le virgolette nel romanzo”. Molti scrittori, spesso tra quelli più bravi e letterari, sono persone di una gentilezza e correttezza incredibili: Tiziano, appunto, o Emmanuela Carbé e Davide Orecchio. Ci sono poi autori esordienti che, al netto della normale ansia, sono già molto maturi. A volte trovi esordienti come Marta Zura-Puntaroni che sono già pronti dal punto di vista letterario anche se non conoscono il mondo editoriale come lo conoscono gli autori pubblicati; altre volte invece c’è un grande talento che deve essere “accompagnato” e lì cerchi di fare al meglio il tuo lavoro. Poi, mi ripeto, sento in modo particolare la responsabilità di portare qualcuno al debutto.
 

Non mi sono mai chiesto cosa fosse l’editing, però leggendo mi ritrovavo spesso a dire “questa parte non mi sembra ben risolta, perché non l’ha fatta in quest’altro modo?”


Che percorso hai fatto per diventare editor?
La mia è una storia improbabile. Nel 2014 sono stato contattato da Christian Raimo per fare un libro con minimum fax. Io stavo a Sanremo, lui a Roma, non c’eravamo mai visti e ci telefonavamo. Siamo diventati amici (anche perché siamo due disadattati abbastanza simili) e al telefono si parlava spesso di libri, ultime uscite e classici. Forse a Christian è parso interessante il fatto che io – così fuori dal contesto, da Roma, io che non conoscevo proprio nessuno – parlassi dei libri con beata innocenza e sincerità.
Quando a minimum fax hanno dovuto prendere un lettore per la narrativa italiana (Nicola Lagioia non ce la faceva più a leggere da solo tutti i manoscritti) Christian ha fatto il mio nome. Ho iniziato così, poi a minimum fax ci sono stati dei grossi cambiamenti, anche molto veloci, e mi sono presto ritrovato in mare aperto a nuotare senza braccioli, ovvero a lavorare come editor.

Cosa hai studiato?
Mi sono laureato in Filosofia a Genova, poi ho iniziato a fare lavori temporanei però avevo ancora voglia di studiare con Sanguineti che avevo conosciuto a Filosofia, e così mi sono laureato in Lettere Moderne con lui. Poi, e non c’entra niente con quello che faccio adesso nell’editoria, mi sono laureato in informatica. Tutto questo vale molto meno di un dottorato, questo scrivilo mi raccomando... Non ho mai fatto un corso di editoria, e non mi sono mai chiesto cosa fosse l’editing, però leggendo mi ritrovavo spesso a dire “questa parte non mi sembra ben risolta, perché non l’ha fatta in quest’altro modo?”.

Cosa consiglieresti, anche alla luce della tua esperienza personale, a chi vuole fare questo mestiere?
Prima di tutto consiglierei di essere concreti e realistici. È un mercato dove c’è molta più offerta che domanda, dove i margini di ricavo sono stretti per tutti e le condizioni lavorative sono difficili.  Quindi il mio primo consiglio è: se ti piace questo mestiere valuta bene gli aspetti economici. Se sei in una casa editrice e non ti pagano per sei mesi, non lavorarci gratis altri sei... Consideralo, dal punto di vista materiale, come un qualsiasi altro lavoro: non faresti la cameriera o la commercialista se non venissi pagata, non fare l’editor se non vieni pagata.
Consiglio poi di essere molto curiosi sul mondo dell’editoria e il più possibile versatili. Per esempio, nella piccola e media editoria indipendente hai una chance in più se sei anche un bravo redattore (sai correggere una bozza, usare InDesign, fare fact checking ecc.). Soprattutto secondo me è necessario avere qualche conoscenza del reparto commerciale: ci sono editor che non sanno nulla del mercato in cui operano, e questo va bene solo se hai un mecenate che può spendere illimitatamente e ti fa fare tutti i libri che vuoi. In caso contrario non puoi dire “ah, c’è questo bellissimo libro in inglese” senza specificare che è lungo due milioni di battute. Quando devo proporre un libro in lingua straniera immagino quanto verrebbe a costare, più o meno, in termini di diritti, traduzione, revisione della traduzione, impegno della redazione e così via. Tra l’altro a me questi aspetti incuriosiscono molto. Invece non potrei mai fare l’ufficio stampa perché non ho il carattere adatto, e mi dispiace perché un editor con ottime capacità relazionali è di grande aiuto quando il libro esce.
Ma davvero, il consiglio principale è: non farti fregare dal finto prestigio, dalla possibilità di dire “lavoro sul testo”, perché lavorare sul testo deve significare prima di tutto lavorare in condizioni economiche sostenibili. A me dispiace molto vedere ragazzi bravi che arrancano per anni, per cinque, dieci anni… Naturalmente ognuno di noi può fare tutti i sacrifici del mondo per il proprio sogno, ci mancherebbe altro; basta che sia ben consapevole di quello che ha davanti e intorno.


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