Breve guida ai film premiati agli Oscar 2023

Le sette statuette di Everything Everywhere All at Once, i premi a Fraser e del Toro, Sarah Polley e Edward Berger

Il 2023 è l’anno delle poche sorprese, per gli Oscar. In una corsa alle statuette dominata da Everything Everywhere All at Once, i premi al film dei Daniels (al secolo Daniel Kwan e Daniel Scheinert) sono arrivati puntuali come nelle previsioni di tutti, comprese le nostre, facendo incetta anche degli Oscar attoriali, a discapito delle splendide interpretazioni del cast de Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh, grande sconfitto con 9 candidature e nessuna statuetta. Così, è arrivato puntuale anche l’Oscar della rinascita per Brendan Fraser, per l’interpretazione mastodontica in The Whale di Darren Aronofsky che conquista anche il premio per miglior trucco e acconciatura in un contesto tecnico dominato dal tedesco Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, Oscar a fotografia, scenografia, colonna sonora e al miglior film internazionale, mentre i costumi vanno a Ruth E. Carter per Black Panther: Wakand Forever, gli effetti visivi ad Avatar - La via dell’acqua e il miglior sonoro a Top Gun: Maverick. Tra gli altri: miglior documentario a Navalny di Daniel Roher, miglior film d’animazione per il Pinocchio di Guillermo del Toro e Mark Gustafson, miglior sceneggiatura non originale a Sarah Polley per Women Talking. Ecco il nostro breve manuale critico, in ordine alfabetico, per orientarsi tra i film che hanno ottenuto i riconoscimenti più importanti.

Everything Everywhere All at Once ★★★
Oscar: Miglior attrice, attore non protagonista, attrice non protagonista, miglior montaggio, miglior sceneggiatura originale, miglior regia, miglior film
Regia: Daniel Kwan e Daniel Scheinert
Cast: Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, Chad James Hong, Jamie Lee Curtis
Guarda il trailer ► https://www.youtube.com/watch?v=4c54mh9Yu-Q
La vita disordinata e confusionaria di Evelyn (M. Yeoh), immigrata cinese negli Stati Uniti madre di Joy (S. Hsu) e proprietaria con il marito Waymond (K. Huy Quan) di una lavanderia a gettoni, viene sconvolta da una rivelazione: il suo è soltanto uno dei migliaia di universi che esistono contemporaneamente, con altrettante diverse versioni di noi, e lei è la prescelta per combattere l’entità malvagia che sta creando scompiglio tra gli universi con un obiettivo oscuro.
Rivelazione dell’anno, premiato in tutto il mondo e da tutte le guild americane, un Bafta e due Golden Globe, Everything Everywhere All at Once è un brillante film di fantascienza dove un colorato caleidoscopio di universi – meritato l’Oscar al montaggio vertiginoso di Paul Rogers – fa da architettura portante per la storia di crescita familiare che intreccia rapporto intergenerazionale e accettazione sessuale. La vivacità della messinscena e l’ironia che lo attraversa, tipica dei registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert già autori del grottesco Swiss Army Man (2016), sono i punti di forza di un film che lavora di moltiplicazione: di livelli, di universi, di spunti metacinematografici (Tarantino, Kubrick, Wong Kar-Wai), di minuti (due ore e venti) rasentando spesso il collasso. Resta la sensazione che l’idea di multiverso sia sfruttata poco più che come semplice spunto narrativo per giustificare la sovrabbondanza di mondi divertenti e peculiari e che, in contrasto con l’innegabile freschezza e originalità visiva, la visione delle realtà alternative resti molto derivativa, con debiti enormi verso precursori di differente spessore – Matrix su tutti, con tanto di “download” di arti marziali e pallottole bloccate a mezz’aria – e che «ci sia davvero troppo trambusto per un film che racconta la difficoltà del dialogo intergenerazionale». Oscar al miglior film, montaggio, regia, sceneggiatura originale e per quasi tutto il cast: miglior attrice per Michelle Yeoh, miglior attore non protagonista per Ke Huy Quan, miglior attrice non protagonista per Jamie Lee Curtis.

Niente di nuovo sul fronte occidentale ★★½
Oscar: Miglior film internazionale, miglior fotografia, scenografia, colonna sonora
Regia: Edward Berger
Cast: Felix Kammerer, Albrecht Schuch, Moritz Klaus, Aaron Hilmer, Edin Hasanovic, Daniel Brühl
Guarda il trailer ► https://www.youtube.com/watch?v=VdFeDaGu5FM
Al terzo anno del primo conflitto mondiale, il giovane Paul Bäumer (F. Kammerer) si arruola entusiasta nell’esercito tedesco insieme ai propri compagni di classe, pronto a combattere per la patria. Nelle trincee infangate del fronte occidentale dove viene spedito, scopre ben presto che la guerra è tutt’altro che il tanto decantato spazio per lanciarsi in gesta eroiche, ma un luogo doloroso e alienante dove si perde la vita per conquistare pochi metri. Adattando liberamente l’omonimo classico di Erich Maria Remarque, con Niente di nuovo sul fronte occidentale Edward Berger interseca lo storia di Paul e dei suoi compagni con il percorso del diplomatico Matthias Erzberger (D. Brühl), assente invece nel libro, verso la resa dell’Impero tedesco ai francesi, nel tentativo di limitare il numero di perdite umane. Seppur coinvolgente e di alta levatura stilistica, il film di Berger soffre la sua lunghezza soprattutto in relazione alla ripetitività del suo schema – la morte di un compagno di Paul dopo l’altro – e di conseguenza al limite di facce sofferenti che il protagonista Felix Kammerer può mostrare senza trasformarsi, oltre che in una maschera di sangue e di fango, anche in una maschera attoriale. L’incipit fulminante in cui la pace naturale si scontra con le esplosioni del conflitto e le divise dei soldati caduti che vengono riparate e consegnate a nuova carne da cannone racconta le potenzialità inespresse del film, che liquida in meno di cinque minuti uno dei discorsi centrali del romanzo – i giovani tedeschi incitati dai loro stessi insegnanti a morire eroicamente per la Germania – e del primo adattamento di Lewis Milestone, miglior film e miglior regia nel 1930. Viene da chiedersi se tutto questo enorme sforzo tecnico non avrebbe potuto trovare una direzione più interessante del solito binario genericamente pacifista che non aggiunge niente all’ormai sterile discorso cinematografico sull’inutilità della guerra. Oscar alla miglior fotografia per James Friend – a discapito dei lavori straordinari di Roger Deakins in Empire of Light di Sam Mendes e di Darius Kondji in Bardo, la cronaca falsa di alcune verità di Iñárritu.  

Pinocchio di Guillermo del Toro ★★½
Oscar: Miglior film d’animazione
Regia: Guillermo del Toro, Mark Gustafson
Cast: Gregory Mann, Ewan McGregor, David Bradley, Ron Perlman, Tilda Swinton, Christoph Waltz, Cate Blanchett
Guarda il trailer ► https://www.youtube.com/watch?v=h7Txf27FDAA
Durante gli sconti del primo conflitto mondiale, Mastro Geppetto perde il figlio Carlo per una bomba sganciata per errore sulla Chiesa del loro paesino. Anni dopo, ormai disilluso ubriacone accecato dal dolore, in una notte di sbornia scolpisce il tronco di un pino con le forme di un bambino, invocando la rinascita di suo figlio. Uno spirito benigno lo ascolta e porta in vita Pinocchio, inspiegabile prodigio che crea scompiglio nel paese e viene conteso tra il circo del subdolo Conte Volpe e le fila fasciste del podestà del paese, padre di Lucignolo. Nel rimescolare le carte del testo classico di Collodi, Guillermo del Toro e Mark Gustafson ambientano la storia ai tempi del fascismo, popolando i paesi di losche figure militaresche, profili del Duce e manifesti e iscrizioni con il motto “Credere, Obbedire, Combattere”. La disobbedienza di Pinocchio diventa quindi una questione politica, non solo irriverenza e desiderio di libertà, ma anche chiave per affrontare i dolori della vita e le ingiustizie del potere. Con una narrazione che nella seconda parte si arena tra accumulazioni di linee narrative e sentimentalismo, il film spicca per l’ambientazione e le notevoli sequenze iniziali in cui la nascita di Pinocchio viene riletta con i codici orrorifici, come fosse la Creatura di Frankenstein, tra urla, lampi, ombre lunghe e colpi di accetta. Così, nella sua inquietante venuta al mondo e nella repulsione e nelle umiliazioni che Pinocchio subisce dal popolo del suo paesino, i testi di Carlo Collodi e di Mary Shelley entrano in contatto diretto, introducendo nella storia il tema del mostro, della sua accettazione e della sua ingenua purezza tanto caro a del Toro. Tra gli spunti per il contesto bellico, forse, il romanzo Il cuore di Pinocchio (1917) scritto da Collodi Nipote che racconta un Pinocchio ormai bambino, spedito al fronte, tornare metà uomo e metà burattino per le protesi dovute alle mutilazioni della guerra. Oscar al miglior film d’animazione.
Leggi il nostro approfondimento qui ► Ridare vita a una fiaba

The Whale ★★½
Oscar: Miglior attore protagonista, miglior trucco e acconciatura
Regia: Darren Aronofsky
Cast: Brendan Fraser, Sadie Sink, Hong Chau, Ty Simpkins, Samantha Morton
Guarda il trailer ► https://www.youtube.com/watch?v=mV9oLUIb9so
Una settimana nella vita di Charlie (B. Fraser) professore cinquantenne che insegna online dalla sua casa, impossibilitato al movimento dalla propria obesità, che rifiuta l’ospedale e i consigli dell’amica infermiera Liz (H. Chau) che si prende cura di lui. La certezza di una morte imminente lo spinge a contattare la figlia adolescente Ellie (S. Sink) nel tentativo di riconciliarsi con lei prima che sia troppo tardi. L’impianto teatrale del film, nella scansione temporale così come nell'ambientazione e nella costruzione dei rapporti tra i personaggi, esalta una scrittura calibrata con invidiabile equilibrio, trasporto, emozione. Eppure, nonostante il meccanismo narrativo si incastri alla perfezione pur costretto tra le quattro mura della casa del protagonista, questa dimensione teatrale mal si concilia con i momenti di leggerezza dei personaggi – Ellie, Liz e Charlie su tutti, che con quella leggerezza sostiene il film – che stridono rispetto al registro alto su cui poggia il film. Come lo spunto del tema su Moby Dick, da cui The Whale prende il nome, è brillante e profondo, così la sua direzione sembra diretta soltanto all’effetto conclusivo, alla commozione forzata, allo slancio metafisico del finale che non riesce ad alleggerire la pesantezza del discorso e a librarsi come vorrebbe. Oscar per la splendida interpretazione di Fraser e a Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley per l’invisibile trucco che lo ingrassa.

Women Talking – Il diritto di scegliere ★★★
Oscar: Miglior sceneggiatura non originale
Regia: Sarah Polley
Cast: Rooney Mara, Jessie Buckley, Claire Foy, Ben Whishaw, Judith Ivey, Sheila McCarthy, Frances McDormand
Guarda il trailer ► https://www.youtube.com/watch?v=_WGqLT4AWJg
Dopo anni di violenze sessuali notturne attribuite a demoni o all’immaginazione femminile, le donne di una colonia mennonita scoprono che i responsabili sono gli uomini della comunità, che da anni le sedano con tranquillanti per animali e abusano di loro nel sonno. Quando il voto di tutte resta in equilibrio tra rimanere e combattere e andarsene dalla comunità, undici donne vengono designate per discutere e prendere una decisione per tutta la comunità femminile, mentre l’insegnante August, unico uomo ammesso, presenzia per redigere il verbale. Tratto dal romanzo Donne che parlano (2018) di Miriam Toews, che portava su carta la traumatica esperienza personale dell’autrice nella Colonia di Manitoba in Bolivia, il film scritto e diretto da Sarah Polley trasforma l’architettura del libro – il verbale di August Epp che fa il resoconto degli incontri – in una messinscena teatrale dove la parola e il confronto sono l’ingranaggio cardine di un doloroso processo di guarigione fatto di confessioni e liti, lacrime e pentimenti. Women Talking è un film di madri e figlie, ragazze e anziane, dove la storia particolare della comunità mennonita si fa metafora della condizione femminile tutta, sfiorando con delicatezza e attenzione le ferite (metaforiche e non) che il sistema patriarcale apre quotidianamente nelle anime e nei corpi delle donne. Nella sua attualissima riflessione sull’identità della donna nella società, il film è anche e soprattutto un manifesto di ribellione contro la violenza maschile, che troppo spesso tenta vigliaccamente di nascondersi dietro alla presunta immaginazione della donna che ne è vittima, capace di ben altre vette se solo ha la libertà di esprimersi. Lo dice il sarcastico e potente esergo che apre le vicende del film: «Ciò che segue», recita, «è un atto di immaginazione femminile». Meritato Oscar alla miglior sceneggiatura non originale per Sarah Polley.
Leggi il nostro approfondimento qui ► Women Talking: l’immaginazione è un atto di resistenza


Parte della serie Guida ai film premiati agli Oscar

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