Ridare vita a una fiaba

Come il Pinocchio di Guillermo del Toro ha dimostrato che il classico di Collodi ha ancora qualcosa da dire

Dei molti film che Fellini non è mai riuscito a fare, la sua versione di Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi del 1883 è quella che ha più rimpianto. Anticonformista fin da piccolo, a Fellini non piacevano i libri, che associava agli adulti e alla scuola, e «la scuola non mi sembrava qualcosa che aprisse il mondo» dice in Io, Federico Fellini «ma qualcosa che lo chiudeva, qualcosa che interferiva con la mia libertà e mi imprigionava durante la parte migliore e più lunga della giornata». Non stupisce che la favola di Collodi – su un giovane ostinato che sfida di continuo l’autorità – abbia avuto «un’enorme influenza» sul grande regista italiano. Ciononostante Fellini aveva da ridire su alcune parti del testo: «La fine del libro è la parte peggiore» dice a Charlotte Chandler in una delle interviste che compongono Io, Federico Fellini, «perché Collodi, un uomo del diciannovesimo secolo, moralizza la trasformazione del burattino in ragazzo». Invece che come lieto fine, Fellini lo vedeva come tragico «perché, smettendo di essere un burattino, Pinocchio perde la sua infanzia, la vita meravigliosa in mezzo ad animali e magia, e in cambio diventa un bravo e stupido conformista».
 

Collodi, un uomo del diciannovesimo secolo, moralizza la trasformazione del burattino in ragazzo


Fellini ha ragione riguardo al moraleggiare di Collodi – anche se è presente in tutto il libro e non solo alla fine. Il primo incontro di Geppetto col burattino vivente porta a un inseguimento in strada e all’imprigionamento di Geppetto (apparentemente perché solleva Pinocchio e lo minaccia, ma nessuno sembra sconvolto dalla marionetta parlante o si chiede se provi dolore). Pinocchio, che sembra impassibile di fronte all’arresto di Geppetto, continua a correre liberamente e presto ritorna alla casa del suo creatore dove incontra un grillo parlante che si presenta come… «Il grillo parlante». Il loquace ortottero offre a Pinocchio questa perla di saggezza: «Guai ai ragazzi che si ribellano ai genitori e scappano di casa. Non faranno nulla di buono a questo mondo e prima o poi se ne pentiranno amaramente». Pinocchio si infastidisce e tira un martello al grillo, uccidendolo (avete capito bene: nell’originale di Collodi il personaggio iconico del grillo viene ucciso nel quarto capitolo da Pinocchio. Ritornerà più avanti, ma come fantasma).

Il moralismo di Collodi è decisamente convenzionale: obbedisci ai più anziani, vai a scuola, non essere pigro. Lo status quo non viene messo in dubbio; non c’è differenza fra come sono le cose e come dovrebbero essere. Il grillo crede davvero che i «ragazzi che si ribellano ai genitori» meritino le pene che gli accadono? O la pena è una conseguenza inevitabile? Il tono paternalistico del testo fa propendere per la seconda opzione. Sorprende poi come figure pionieristiche e sovversive come Walt Disney e Fellini – e ora Guillermo del Toro – abbiano trovato una tale ispirazione in un romanzo che sostiene il conformismo. Non sorprende invece che ognuno di questi registi abbia modificato la storia di Collodi per adattarla alle proprie esigenze. Per esempio la caratteristica più famosa di Pinocchio – che gli cresca il naso quando mente – non è del tutto corretta: nel testo, quando Geppetto finisce di costruire Pinocchio, il naso del burattino si allunga a dismisura senza che lui dica nulla, portando gli studiosi a pensare che sia l’ansia e non le bugie a far crescere il naso. Disney, che abbraccia completamente il tema delle bugie, passa dalla lezione generica del “fai come ti viene detto” a quella che Roger Ebert ha chiamato «un’indimenticabile parabola riguardo i pericoli del raccontare una bugia».
 

I bambini non possono correggere gli errori dei genitori, né possono evitarli


Il Pinocchio di Guillermo del Toro (uscito su Netflix il 9 dicembre 2022) aggiunge nuovi piani di lettura. È ambientato in Italia nel periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale, durante l’ascesa al potere di Mussolini. Geppetto ha perso un bambino, Carlo, durante la Prima Guerra Mondiale, e Pinocchio diventa il sostituto del figlio morto – il legno che Geppetto utilizza per costruire il burattino proviene da un albero che cresce vicino alla tomba di Carlo. L’atteggiamento che Geppetto prova a instillare in Pinocchio non è più guidato da una vuota morale, bensì da un ideale irraggiungibile, una sorta di La donna che visse due volte per genitori che hanno perso un figlio. Pinocchio non fallisce nel tentativo di essere all’altezza di un’istruzione astratta; il problema è che fallisce nell’essere Carlo. Nel romanzo di Collodi la trasformazione in bambino vero segna l’evoluzione in buon cittadino, mentre nel cartone della Disney significa crescere. Nella visione di del Toro la trasformazione vuol dire diventare chi sei veramente, a prescindere dalle aspettative ingiuste che ti gravano addosso. La lezione più importante qui viene insegnata a Geppetto, che deve rendersi conto di come Pinocchio non sia Carlo e di come invece sia, a conti fatti, sé stesso. Non può farsi carico del lutto del padre. Questo conflitto si propaga in tutti gli elementi della storia che conosciamo alla perfezione. Invece di scappare per pura curiosità o ingenuità, il Pinocchio di del Toro se ne va di casa perché Geppetto gli dice che è un fardello. «Non voglio essere un peso» spiega a Sebastian il Grillo. «Non voglio far soffrire il babbo e fargli venire voglia di sgridarmi ». Inoltre, Pinocchio si unisce al circo esplicitamente per guadagnare i soldi da mandare a Geppetto, la cui carriera come falegname è in crisi dalla morte di Carlo. Rendendo i personaggi più complicati del Toro rende più complicata anche la morale. Come fa un bambino a imparare a muoversi nel mondo quando la guida offerta dai genitori è sporcata dal dolore e dalla perdita? I bambini non possono correggere gli errori dei genitori, né possono evitarli. Gli errori ci formano.

Come suggerisce l’ambientazione fascista, del Toro si schiera con l’interpretazione di Fellini dell’individualità contro il conformismo. Un podestà di Mussolini (doppiato niente meno che da Hellboy, Ron Perlman) e il prete del villaggio vanno a casa di Geppetto dopo che la comparsa di un burattino vivente spaventa i popolani. Pinocchio, il solito bambino impaziente, chiede con insistenza della cioccolata calda, infastidendo Geppetto che gli dice: «Obbedisci a tuo babbo». Poco dopo il prete dice a Geppetto «Il podestà vigila sul benessere morale della città,capite? La sua autorità non è in discussione». Più tardi, l’ostile poliziotto descrive Pinocchio in maniera inquietante come «un dissidente. Un libero pensatore, oserei dire». Un governo che vede un burattino come troppo libero è a dir poco preoccupante. Qui del Toro coniuga il personale e il politico drammatizzando il modo in cui le vite dei singoli sono influenzate dai crudeli capricci della storia, in particolare quelli della guerra e delle oppressioni, temi frequenti nei suoi film.

Il labirinto del fauno (2006) è ambientato durante la dittatura di Franco dopo la Guerra Civile Spagnola, in cui troviamo un inflessibile ufficiale della Falange che dà la caccia ai dissidenti partigiani. La forma dell’acqua (2017) gioca sulla paranoia e segretezza della Guerra Fredda americana, e ancora una volta il cattivo è un ufficiale dell’esercito. Come Fellini, del Toro non creerebbe mai una storia che parteggi per l’autorità, in particolare per quella dello stato. Invece prende una fiaba che conosciamo e la impregna di fragilità umana e oscurità storica. Amplifica anche gli elementi spirituali. Pinocchio tecnicamente è immortale ma può anche in un certo senso morire. Quando questo succede, viene portato in un reame purgatoriale dove lo Spirito del bosco (doppiato dall’eterea Tilda Swinton), ogni volta che muore, lo fa aspettare sempre di più prima di riportarlo in vita. Sembra un’aggiunta strana finché non risulta chiaro che nella visione di del Toro Pinocchio non diventa mortale per un desiderio o una qualche vaga volontà di essere un “bambino vero”, ma perché fa una scelta – o meglio un sacrificio – per salvare il padre. Una vita umana e mortale non è vista automaticamente come qualcosa di genericamente positivo, ma piuttosto un’esistenza, come dice Geppetto, piena di «terribile gioia». Questo rende il finale più efficace ed emotivamente coinvolgente di qualsiasi altra versione di Pinocchio che abbia mai visto.
 

del Toro si schiera con l’interpretazione di Fellini dell’individualità contro il conformismo


Ovviamente non tutto nel film è così impegnativo. Il Sebastian di Ewan McGregor è un personaggio spassoso che, assecondando il destino del grillo parlante nell’originale di Collodi, viene ripetutamente calpestato e spiaccicato. Le animazioni in stop motion (il codirettore è Mark Gustafson) sono la cosa più visivamente incredibile che abbia mai fatto – le sequenze sottacqua sono particolarmente meravigliose. La musica e le canzoni di Alexandre Desplat (il compositore che ha vinto l’oscar per La forma dell’acqua e per Grand Budapest Hotel di Wes Anderson) sono vivaci e divertenti anche se il confronto con i classici intramontabili della versione Disney del 1940 non pende a loro favore. La storia di Pinocchio, cominciata come una rigida parabola sull’obbedienza, adesso assomiglia molto alla marionetta che Geppetto prova a fare fin dall’inizio: le sue azioni e i suoi significati dipendono dalla persona che regge i fili. Può ballare e raccontare barzellette o può erigersi e fare la predica. Pinocchio è stato raccontato molte volte, ma le versioni migliori, come quella Disney o quella di del Toro, sembrano reggersi sulle loro gambe.


 

Jonathan Russell Clark è uno scrittore e critico letterario americano. Suoi articoli sono apparsi sul New York Times, L.A. Times, Esquire e Boston Globe. Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 05/12/2022 ► Guillermo del Toro’s Pinocchio Imbues the Fairy Tale with Human Frailty and Historical Darkness | Traduzione di Francesco Cristaudo


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