A lezione di meraviglia

La natura e le emozioni come strumento di conoscenza secondo Rachel Carson, autrice di Brevi lezioni di meraviglia

Rachel Carson è, a ragione, considerata la madre e la pioniera dell’ambientalismo grazie al suo libro Primavera silenziosa, pubblicato nel 1962, e diventato un manifesto contro l’uso di DDT nell’agricoltura (che venne proibito solo negli anni Settanta). Il testo denunciava i danni provocati dai pesticidi all’ambiente, di cui un segno tragico e chiaro era la moria degli uccelli che avevano ingerito semi e frutti trattati. Ma certo gli umani non ne sarebbero rimasti immuni, con conseguenze gravi e longeve per la loro salute. Come racconta Danilo Selvaggi, filosofo e presidente della Lipu, nel suo libro Rachel dei pettirossi. Primavera silenziosa, Rachel Carson e un nuovo inizio per la cultura ecologica (Pandion edizioni e Inmagina, 2023) fu la ricezione di una lettera indirizzatele dalla conoscente Olga Owens Huckins, dal Massachussets il 27 gennaio 1958, a far traboccare il vaso già colmo. La lettera personale era accompagnata dalla copia di un’altra lettera che Huckins aveva indirizzato al Boston Herald, dove raccontava del ritrovamento dei cadaveri di uccelli canori nella sua oasi naturalistica all’interno della Baia di Cape Cod, dopo il passaggio di aerei per la disinfestazione delle zanzare. «Erano uccelli che avevano vissuto accanto a noi, si fidavano di noi e avevano costruito i loro nidi nei nostri alberi, anno dopo anno».

Questa lettera non era che l’ultimo anello di proteste e iniziative spesso mosse proprio da donne che praticavano l’agricoltura biologica. Carson aveva pubblicato da poco la sua ode al mare, The Edge of the Sea (in italiano La vita che brilla sulla riva del mare, tradotto per Aboca Edizioni), e decise di reagire con un testo politico e militante. Le questioni principali dietro l’impegno ecologico erano tanto la salute fisica quanto la fiducia attribuita agli uccelli uccisi da Olga Huckins. È per quella fiducia, quel profondo sentimento immaginativo che ci unisce alle altre specie, che occorreva esporsi politicamente, usando la scrittura. La salute del pianeta è la salute di tutti – passa per il corpo globale e individuale e per lo spirito con le sue connessioni. Come ben scrive Selvaggi alla base di un sistema malato o di una cattiva ecologia ci sono «due errori. Il primo, cognitivo, è il pensiero che la natura sia un congegno chiuso, non vivo o semi-vivo, piuttosto che una comunità vivente». 
 

Cosa vogliamo? Vogliamo il controllo o vogliamo la resa? Accettando la resa possiamo spingerci dentro una più autentica convivenza con quanto esiste e muore con noi, come noi


Il secondo errore, “doloso”, «è la convenienza nel pensare la natura in quei termini, cioè nel farci un’immagine della natura nella quale la natura non soffra, non reclami, non abbia esigenze, non reagisca, si limiti alla disponibilità, e nel momento in cui dovesse disturbare, sotto forma di animali o piante infestanti, possa essere agevolmente sottoposta alle azioni di controllo. Un magazzino-natura nel quale possiamo entrare, scegliere, consumare, correggere. Salvo scoprire, a un certo punto, che la formica di fuoco non è d’accordo. Se il primo errore è cognitivo, il secondo è morale. Se il primo errore è di biologia, il secondo è di filosofia. Se il primo errore è su ciò che sappiamo, il secondo è su ciò che vogliamo». Cosa vogliamo? Vogliamo il controllo o vogliamo la resa, anzi, accettiamo la resa, a un mondo vasto e sconosciuto, in cui abitiamo con altri? Accettando la resa possiamo spingerci dentro una più autentica convivenza con quanto esiste e muore con noi, come noi. In cambio riceveremo lo stupore davanti alle risposte intuitive e spesso poco traducibili che il mondo ci offre. E cosa vale una vita illusa nel suo programmatico scandirsi, priva di momenti di stupore e dimenticanza di sé?

Carson poté scrivere il suo libro più noto e fondamentale per un cambiamento di prospettiva ecologica non tanto grazie alle sue conoscenze scientifiche, ma perché era prima di tutto un essere umano e una scrittrice che cedeva all’altro – al piccolo, al volatile e allo strisciante, all’invisibile. C’è un’opera che non riuscì mai a concludere, un progetto interrotto dalla morte a 57 anni non ancora compiuti, il 14 aprile del 1964. Era il suo testo sulla meraviglia suscitata dalla natura in cui siamo immersi. Questo libro, anticipato da un saggio apparso nel 1956 sulla rivista Woman’s Home Companion, ripubblicato postumo da Harper, è uscito quest’anno nell’edizione italiana per Aboca Edizioni con il titolo Brevi lezioni di meraviglia. Elogio della natura per genitori e figli.
 

Portate il vostro bambino all’aperto in una chiara sera di ottobre, quando c’è poco vento, e trovate un posto tranquillo dove non si sentano i rumori del traffico. State fermi e ascoltate, rivolgendo la vostra attenzione all’arco scuro del cielo sopra di voi. Ben presto le vostre orecchie percepiranno ogni frammento di suono: cinguettii acuti, sibili, richiami. Sono le voci degli uccelli migratori, che si chiamano per rimanere in contatto con i propri simili sparsi per il cielo. Mai ho udito questi richiami senza che in me nascesse un sentimento fatto di tante emozioni diverse: un senso di distanze solitarie, la consapevolezza partecipe di quelle piccole vite controllate e agite da forze superiori alla loro volontà e al loro rifiuto, una meraviglia sempre crescente di fronte al loro istinto sicuro per la rotta e l’orientamento che tuttora si prende gioco degli sforzi umani per comprenderlo.


Brevi lezioni di meraviglia è una perla di appena una ventina di pagine. Ma non è certo la lunghezza di uno scritto a determinarne la qualità: penso a un’opera in qualche modo speculare e opposta, Il nostro bisogno di consolazione (Iperborea, 1991) di Stig Dagerman, pubblicato in Svezia nel 1952, nel quale l’autore afferma che ogni suo sforzo letterario ricerca l’unica cosa che non ottiene mai: sapere, attraverso gli altri, di aver toccato il cuore del mondo. In Dagerman la tensione procede dall’intimo umano verso l’esterno. Nelle lezioni di Carson avviene il contrario: è il mondo che accade, ci viene incontro, dialoga con l’infanzia e con chiunque, nel tentativo di guidare il bambino, torni ad abitarla.
 

Credo sinceramente che per il bambino, e per il genitore che cerchi di guidarlo, conoscere non sia neanche lontanamente importante quanto sentire. Se le nozioni sono i semi che più avanti producono conoscenza e saggezza, le emozioni e le impressioni dei sensi sono il terreno fertile in cui quei semi devono crescere. Gli anni della prima infanzia sono il momento adatto per preparare il terreno. Quando le emozioni saranno state risvegliate – un senso di bellezza, l’eccitazione per ciò che è nuovo e sconosciuto, un sentimento di partecipazione, compassione, ammirazione o amore – allora sì che desidereremo conoscere l’oggetto della nostra risposta emotiva. Una volta trovato, il suo significato durerà per sempre.


Carson racconta delle sue escursioni sulla riva del mare con il nipotino Roger, iniziate una sera d’autunno, nel mezzo di una burrasca, il momento migliore per essere sorpresi dal selvaggio, dal primordiale – un bambino all’inizio della vita, una zia che lo protegge e lo consegna in un battesimo privato agli elementi, alle vite brulicanti là fuori. Euforia, liberazione, gioia, commozione, parole universali che arrivano all’orecchio interiore dei protagonisti. Prima di ogni istruzione e nozione c’è il sentire, qualcosa che non può essere catalogato. Nel sentire le differenze creano uguaglianza e non desiderio di supremazia o controllo.

È bello pensare che il completamento dell’opera sulla meraviglia di Carson sia affidato a noi. È dal luogo da lei visitato e così poeticamente restituito, una terra di confine dove infanzia e mondo naturale si congiungono, che dovremmo ripartire anche oggi per risignificare il nostro esistere in modo più giusto e amorevole. Perché difenderemo solo quello che amiamo, che ci ha parlato prima che l’occhio della scienza gli desse un nome e una classificazione. Carson lo sapeva. Sapeva che ogni battaglia per un’umanità più degna, per una fraternità o sorellanza oltre le specie, è prima di tutto un canto, un incantarsi nell’onda, nelle bestiole lasciate sulla spiaggia nella spuma, nel vento che porta la pioggia, nell’armonizzarsi dei cinguettii in un qualsiasi orto o giardino. Un canto corale dove per un po’ possiamo sederci in ascolto, lasciare andare il bambino al tempo e allo spazio a cui appartiene.


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