Un giorno devi andare di Giorgio Diritti

con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth, Sonia Gessner

Nato dalle suggestioni di un viaggio documentaristico del regista in Amazzonia, Un giorno devi andare è il terzo lungometraggio del bolognese Giorgio Diritti, che conferma una sensibilità particolare ed un’estetica raffinatissima firmando un piccolo gioiello di intensa emozione.
Augusta (J. Trinca), lasciata l’Italia alla volta del Brasile, galleggia sulle acque del Rio in fragile equilibrio tra la verginità della natura e il proprio cagionevole essere. Intrapresa la via dell’evangelizzazione con Suor Franca (P. Engleberth), si allontana dal cammino di un Dio silente per intraprenderne uno ancora più intimo.

Un film di donne ma soprattutto di madri. Quella di Augusta, imprigionata nella bianca coltre di neve, orfana di una figlia che ha reciso troppo presto il cordone, esule volontaria da un mondo da cui si sente distante. La Natura, che accoglie Augusta in seno nutrendola della propria incontenibile fertilità. La Comunità brasiliana che la rende un membro della propria famiglia. Quella famiglia calda e accogliente che non ha trovato nel cieco viaggio di fratelli e sorelle e nel gelo della propria casa – una madre disorientata, una nonna rigida – , dimentica del suo essere parte di una famiglia più grande. Un auspicio di sincera fratellanza in nome del comune essere uomini in tempi di rampanti individualismi.
 

Un film di donne ma soprattutto di madri: la madre di Augusta, orfana della figlia, la natura che la accoglie, la Comunità brasiliana 


Seppur irrisolto, come la storia della sua protagonista, è toccante per il respiro della Natura Madre che Jasmine Trinca, meravigliosa, va ad incontrare in un viaggio letteralmente dentro di sé; soprattutto nel rapporto con l’altro (i più umili), dove resta all’infinita ricerca di un’altra sé, e con la potenza e la grandezza dell’Infinito – il fiume, la foresta: un Deus sive Natura allo stesso tempo profondamente religioso e radicalmente spinoziano.
Diretto con fine tocco poetico regala momenti suggestivi – la luna e il feto, Augusta inseguita dai bimbi delle favelas, le interminabili tempeste – e sequenze di toccante meraviglia – la nave che scivola sul fiume, la spiaggia di un bianco accecante, le corse col bambino in cui Augusta tocca il suo essere donna e sorride di nuovo, di un sorriso sincero, materno.

Un’esperienza totale quella della troupe di Diritti in Amazzonia, immersa nella foresta, nella popolazione brasiliana – «Questa comunità è stata parte integrante del film», racconta il regista – , nelle acque del Rio delle Amazzoni. Un’occasione di allontanarsi della centralità urbana per ritrovare, con il viaggio di Augusta, la dimensione più ricca dell’essere uomini nella cosciente umiltà della propria dimensione: «Credo che la cosa importante del rapporto con quella natura sia il ridimensionamento dell’uomo. Troppo spesso nella città, nelle situazioni del nostro lavoro, siamo in una condizione in cui le cose si susseguono e ci sembra di essere il tutto». E invece la nave scompare nella grandezza del fiume, scompare Augusta accolta alla radice nel grembo della foresta.
 

«Che questo pane e questo vino siano alimenti della nostra fratellanza, della nostra uguaglianza, della nostra solidarietà.
Per danzare insieme, con te Signore, qui sulla Madre Terra la festa della vita»


ITA-FRA 2013 - Dramm. 110' ★★★½


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