To the Wonder di Terrence Malick

con Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem

Il viaggio caotico dell'esperienza si svolge all'interno dei nostri corpi e attraversa l'esistente, proteso verso il trascendente e guidato da quella tensione ascensionale che risiede nel nostro spirito. Si potrebbe così riassumere, banalizzandolo inevitabilmente, lo sguardo cinematografico di Terrence Malick, puntualizzando l'importanza della dimensione trascendentale redarguita nella vaghezza della connotazione e racchiusa nell'ambito della religione. Così Padre Quintana (J. Bardem), in piena crisi di fede, delimita la decodifica nei dogmi e negli abiti del cattolicesimo, mentre Neil (B. Affleck) conosce Marina (O. Kurylenko) a Parigi ed inizia con lei una storia d'amore, subendo alti e bassi fino alla separazione; lui riallaccia i rapporti con una conoscenza del suo passato (R. McAdams), per poi rompere anche con lei e tornare con Marina. Il rapporto continuerà tormentato e caotico come la vita che Malick vuole raccontare.

Emergono la speranza e l'amore, che dalla coppia uomo/donna si astraggono per cristallizzarsi nell'Amore divino, sentimento supremo che muove dalle/alle passioni umane. Un pervasivo senso di insicurezza nei confronti della vita e del suo scorrere impietoso riversa i personaggi nell'angoscia esistenziale di chi viaggia senza conoscere la propria meta, di chi come tutti è immerso in un ambiente materno/naturale percepito come non proprio. Malick non è un materialista, non ha bisogno di costruire ripari di cemento né utensili di silicio per sublimare la propria insicurezza, non è il tangibile fisico il tramite attraverso cui anelare alla salvezza. Il corpo subito lascia spazio al corpo percepito. Neil e Marina affrontano gli ostacoli dell'esperienza senza riportarne alcun segno corporeo, a differenza degli abitanti di Bartesville – dove si svolge gran parte del film – che somatizzano invece le piaghe sociali di una piccola comunità di periferia; i protagonisti assurgono a simbolo di pura coscienza, il loro corpo non è un corpo-materia  ma un corpo-immagine.

In linea con una delle correnti artistiche e filosofiche americane più influenti dell'ultimo secolo, il regista Texano – già acclamato per The Tree of Life – porta sullo schermo le tematiche del trascendentalismo, irrigidendolo in una cornice cristiano-cattolica che ne spezza l'afflato universale e ne fa un'opera chiusa, un'opinione piuttosto che un'aperta domanda. La negazione di principi basati sull'esperienza fisica a favore dello spirituale e dell'interiore, il marcato individualismo e l'idealismo morale e sociale – che in Malick si presenta come rovescio di una visione pessimista dell'umanità – inscrive a pieno titolo quest'opera nel filone trascendentalista, ma la continua prescrizione divina che apre uno spiraglio d'ordine nel caotico terreno della quotidianità, tende a sopraffare ed a far confluire lo scompiglio emotivo in un ordine predeterminato.

Lo stile registico, fedele nei confronti dell'instabilità del vivere, continua una ricerca formale presente in tutte le opere di Malick e portata forse già a compimento nella precedente pellicola. La macchina da presa in continuo movimento ed il montaggio discontinuo restituiscono a pieno la precarietà dell'esperienza; anche quando l'inquadratura si sposta verso il cielo per respirare la luce divina che penetra tra le fronde degli alberi, si percepisce una soggettività in bilico, alla ricerca di un'ancora spirituale. Al contrario del dogma creazionista, che perviene invece dall'incessante voce fuori campo.
Innegabile la finezza formale di un regista definitivamente maturo, come innegabile il piacere di visualizzare l'opera originale di un pensatore acritico ed innovatore, nonostante e soprattutto, se si ha lo sguardo ateo e materialista. Nonostante pertanto l’indubbia renitenza ad assecondare la religiosità della sintesi malickiana ferve al contempo la curiosità di misurarsi con le prese di posizione estreme e per niente ingenue di To the wonder, con l’auspicio di un'eventuale prosieguo del discorso

 

«Mio Dio. Che guerra crudele»

USA 2012 – Dramm.-Rom. 112' ***½


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