Su Mother e il futuro del cortometraggio

Percorsi autoriali e poetica della rarefazione nel nuovo corto di Antonio Costa, in streaming su MyMovies

Il corto in Italia è un’arte minore, non tanto per la qualità dei prodotti ma per lo spazio che i film trovano in fase distributiva, tanto che spesso anche i cortometraggi più belli o più premiati vanno poco oltre la distribuzione festivaliera. Non c’è un meccanismo distributivo che permetta a questi lavori di essere visti dal grande pubblico in sala o in tv, tranne rari inserimenti di ripiego nei palinsesti televisivi, che comunque non fanno altro che raggruppare i cortometraggi insieme in eventi circoscritti il cui impatto mediatico è pressoché inesistente. Gli stessi David di Donatello, che potrebbero essere la vetrina più rilevante, vanno poco al di là della premiazione dei cortometraggi stessi e della risonanza interna al mercato cinematografico.
 

Il cortometraggio è fondamentale perché permette agli spettatori di entrare in contatto con universi poetici nuovi, di incontrare altre visioni autoriali e registi emergenti


Perché però un cortometraggio può essere importante? Al di là della sua intrinseca qualità artistica, anche nel contesto contemporaneo un cortometraggio è fondamentale perché con uno sforzo produttivo infinitamente minore rispetto al lungometraggio permette agli spettatori di entrare in contatto con universi poetici nuovi, di incontrare altre visioni autoriali e registi emergenti. A quegli stessi registi, poi, apre porte fondamentali per realizzare i propri progetti e portarli all’attenzione del grande pubblico, basti pensare negli ultimi anni a film come District 9 (2009) di Neill Blomkamp, nato dal cortometraggio in stile mockumentary Alive in Joburg (2005), o al recente I miserabili (2019) di Ladj Ly, vincitore di 3 Premi César tra cui miglior film e del Premio Goya al miglior film europeo, considerato da tanti tra i migliori film usciti in Italia del 2020 e nato dall’omonimo cortometraggio Les Miserables girato nel 2017 dallo stesso regista.
 

Tra questi nuovi universi poetici c’è quello di Antonio Costa, regista palermitano di 34 anni. Il suo cortometraggio Mother, selezionato al festival Capri, Hollywood e in proiezione su MyMovies dal 1° al 4 gennaio 2021, è il culmine di un percorso autoriale cominciato nel corto dieci anni fa e che arriva a compimento in un’opera a cavallo tra il cinema spoglio dei fratelli Dardenne e quello poetico di Kieslowski. Il corto, prodotto da Antonio Tozzi con Yanez Film, racconta la storia di due uomini isolati in una campagna senza nome di fronte a una scelta che determinerà il corso delle loro vite, che procedono silenziose e solitarie in una fattoria. Da un lato John (David White), malato grave che nonostante le cure dell’infermiera e di Ana (Francesca Carrain) vuole mettere fine alle proprie sofferenze, dall’altro Plazen (Oltjon Bilaj), figlio, fratello, amico, costretto a convivere con il peso di questa scelta. Fuori dalla finestra della stanza di John, la loro mucca osserva le cure amare a cui è sottoposto, con uno sguardo a volte superiore a volte compassionevole nei confronti dei protagonisti.

Sul volto addolorato di Plazen, interpretato da un intenso Bilaj, ci sono le tracce di una lunga sofferenza che ha lentamente pervaso ogni stanza del casolare, vuoto e disadorno. Per rallegrare le giornate di John, Plazen rimette in funzione delle vecchie luci natalizie e addobba le stanze, le finestre, persino il corpo della grossa mucca che li osserva da fuori. «Ricordo un Natale con Ana e i suoi genitori», gli confessa Plazen dando le spalle a lui e al camino acceso. «Avremmo avuto sei o sette anni. Era l’ora di cena e stavano discutendo. Credo stessero anche litigando. Nessuno si accorse che io e Ana avevamo lasciato la tavola. Presi la sua mano e la portai in camera dei genitori. Iniziai ad ansimare: “Dai, fallo anche tu”. Non capiva, ma poi iniziò ad ansimare anche lei. Le dissi che questo è quello che si fa quando due persone si vogliono bene davvero». John resta in silenzio per un attimo. «Perché non ti piace il Natale?».

Le mura sgombre del casolare e le grandi distese brune e verdeggianti, trovate nella campagna pugliese, fanno da eco alla sofferenza e al dubbio interiore di Plazen, il fulcro di un film capace di grandi vette drammatiche – la fuga con il pick-up per non mostrare le sue sofferenze, la visione magica della mucca vestita di luci colorate, il parto della mucca osservato da John tra le braccia di Plazen, in una versione bucolica della Pietà michelangiolesca. I colori della fotografia di Giuseppe Pignone ci immergono in questo mondo isolato, in cui le immagini velate di verde, colore della rinascita già presente nel precedente corto Felice, restituiscono la sospensione delle atmosfere agresti, acuite dagli archi stridenti delle musiche dello stesso Costa, anche compositore come nella maggior parte dei suoi lavori. In Mother, titolo che racconta l’assenza di maternità poi incarnata dalla mucca al momento del parto, è proprio lo sguardo animale a diventare l’occhio con cui osservare la vicenda: un occhio che osserva e che dialoga, che giudica e che veglia, un occhio che commuove.

Questo articolo è parziale, è vero. Chi scrive conosce il regista da dieci anni e, oltre che coinvolgerlo nella redazione della rivista che state leggendo, ha visto prendere forma la sua personalità autoriale ben prima dell’inizio del suo percorso professionale nel mondo del cinema e della televisione: Antonio Costa, già a 25 anni quando l’ho conosciuto, era un autore. Era autore perché il suo occhio già selezionava la porzione di mondo che voleva portare sullo schermo, il suo sguardo già inquadrava le storie che avrebbe raccontato. La coppia di François, Anne (2011), il figlio prete e la madre malata di Alzheimer interpretati da Leonardo Castellani e Milena Vukotic in A casa (2012), l’anziano solitario di Felice (2015), un Sergio Fiorentini in attesa di una partenza con la moglie che non sappiamo se arriverà mai. Questi corti erano l’espressione di una poetica matura e di un’autorialità limpida e autonoma: i silenzi e le atmosfere dilatate, i primissimi piani dei suoi personaggi solitari e i campi lunghi e disabitati, le colonne sonore rarefatte e i lenti movimenti di macchina.

Quella di Antonio Costa è una visione soffocata, che soffre la contrazione dei tempi del cortometraggio. I 15, 20 minuti che sono il limite produttivo del mezzo – perché limite d’accesso alle realtà festivaliere – non bastano a contenere il respiro del suo cinema, ma sono sufficienti per cogliere il portato della sua poetica e le prospettive che l’esordio al lungometraggio potrebbe aprire. Guardando il mondo di Mother vorremmo conoscere meglio la quotidianità dei protagonisti, approfondire le dinamiche tra Plazen e Ana, seguire Plazen nelle sue visite nella cittadina vicino al casolare, scoprire quale sarà la sorte del vitello che nasce davanti ai nostri occhi in una delle sequenze più belle del film.
 

Mother dimostra che il cortometraggio avrebbe bisogno di ritrovare i propri spazi, per parlare a un pubblico italiano a cui ancora troppo spesso piace convincersi di una presunta inferiorità del cinema italiano


Il corto, in Italia, è un’arte minore perché il settore vuole che lo sia, Mother dimostra che quest’arte avrebbe bisogno di ritrovare i propri spazi, per raccontare e raccontarsi a un pubblico italiano a cui ancora troppo spesso piace convincersi di una presunta inferiorità del nostro cinema. Gli autori, nel cinema italiano, ci sono eccome, anche e soprattutto tra i più giovani, e il cortometraggio è un’opportunità importante per il settore e per il pubblico per entrarvi in contatto, a partire da iniziative come la collaborazione tra MyMovies e Capri, Hollywood per la proiezione gratuita in streaming dei corti in concorso. È fondamentale, da spettatori, cogliere queste occasioni; è fondamentale, da professionisti del settore, lavorare per ripensare l’infrastruttura del cortometraggio dal punto di vista produttivo e distributivo, per non lasciare che i corti continuino a rimanere sullo sfondo del panorama cinematografico insieme alle promesse artistiche dei giovani registi. Così facendo rischiamo di perdere nuovi autori e, soprattutto, grande cinema. Come quello di Antonio Costa.


 

Dal 1° al 4 gennaio potete guardare gratuitamente il corto su MyMovies  Mother di Antonio Costa


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