Rapinarla con filosofia

“La Gang del pensiero” di Tibor Fischer tra ironia, paradossi e rapine a mente armata

Ho appena finito di leggere La Gang del pensiero (Marcos y Marcos, 2020) quando online, non ricordo più né come né perché, mi imbatto in un articolo della Repubblica uscito nel 2013 alquanto sorprendente: pare che una sera un paio di giovani russi, in fila a un chiosco di alcolici, si siano messi a parlare di Kant per ammazzare l’attesa. Una volta giunti allo scottante argomento della dialettica trascendentale però, gli animi si sono talmente scaldati che poi non era più il tempo ciò che i due volevano ammazzare. Il diverbio si conclude con uno che punta una scacciacani all’altro, ferendolo alla testa. Se prima avessero bevuto forse avrebbero potuto gestire il disaccordo con più filosofia, o forse no; non lo sapremo mai.
Certo è che l’assurdità e il senso grottesco di quest’episodio, troppo esilarante da non citare, si trova in egual misura nel romanzo di Tibor Fischer, storia altrettanto esemplificativa, anche se sul piano letterario e non della realtà, di quanto «la conoscenza, come le città, arrivano prima o poi a un punto in cui diventano ingestibili e straripano», ma anche di quanto la normalità – al pari della felicità – sia da sempre un concetto sorprendentemente sopravvalutato. Ammettiamolo: ognuno di noi vive nel costante tentativo di rientrare in una categoria, quella del ‘normale’, i cui limiti sono tutt’altro che definiti; sarebbe invece più saggio rassegnarsi al fatto di essere tutti, in potenza, irascibili kantiani russi in fila per ubriacarsi, o filosofi rapinatori di banche, come nel caso dei due protagonisti del libro.

Eddie Coffin è un «trafficante di idee professionista» di mezz’età, grassottello e pelato, amante dei soldi, del buon cibo e del buon vino (meglio se francese), delle parole che iniziano per zeta – tanto che in fondo al libro c’è un glossario specifico –, seguace di lunga data della «zetetica zoppicante», scuola di pensiero greca che si fonda sulla ricerca della verità, e sullo scetticismo di non poterla mai raggiungere davvero. Eddie è inglese, ha insegnato per molto tempo filosofia a Cambridge, ha lavorato in banca, poi per una fantomatica fondazione. È in Francia a godersi i soldi sgraffignati alla fondazione quando per un fortuito incidente tutto il suo denaro brucia insieme alla sua macchina. Riesce, facendosi dare un passaggio da un camionista in cerca di effusioni, ad arrivare a Montpellier, dove con gli ultimi franchi rimasti prende in affitto una stanza in un albergo di infima categoria.
 

Eddie e Hubert decidono di fare la loro prima rapina; tutte le successive saranno sempre organizzate secondo un metodo filosofico diverso: Marxista, Stoico, Positivista, Cinico


È in quest’albergo che Eddie conosce, durante un tentativo di rapina ai suoi danni, il goffo Hubert, «criminale di bassa statura, ma con una lunga carriera penale. Forte in scalogna, debole in anatomia funzionante» visto che ha una mano artificiale, una gamba di legno, un occhio di vetro: l’apoteosi della protesica medica. Insomma, Hubert non è di certo il Johnny Depp della situazione ma Eddie, mosso a empatia dato che la rapina è andata a vuoto, lo accoglie nella sua stanza. Il giorno dopo, tra il bisogno di soldi e l’ebrezza di provare qualcosa di galvanizzante, i due decidono di fare la loro prima rapina; tutte le successive, fino all’ultima con cui andranno in pensione, saranno sempre organizzate secondo un metodo filosofico diverso (Marxista, Stoico, Positivista, Cinico, ecc), e ogni volta si svolgeranno in modo talmente inverosimile da ricordare gli sketch più assurdi dei Monty Python.

 

Ho deciso di lasciare che i clienti sbrigassero le loro faccende in pace; non vedevo perché avrei dovuto rovinargli la giornata. C’erano due cassieri: uno era un veterano incanutito […] l’altro era una donna. Di un certo fascino. […] Ero in una strana situazione: volevo abbordare la cassiera, ma allo stesso tempo dovevo ammettere che rapinare la banca dove lavorava non fosse la maniera migliore per presentarmi. […]
“Buongiorno, madame” le ho detto. “Questa è una rapina”. Non sarei stato troppo sorpreso se mi avesse detto che avevo sbagliato sportello.
“Una rapina?” Non pareva sconvolta. Non era indifferente, né isterica: una stoica. Come se le avessi chiesto che ora fosse. Il fascino era ancora lì, come sbaffi di marmellata intorno alla bocca. […]
“Ne è sicuro?”
“Sicurissimo” […]. Allora lei si è messa a tirare pacchi di idlos nella valigia, senza esitazione, senza fretta. Io ho appoggiato la pistola sul bancone.
“Vuole anche gli spiccioli?”
“No, grazie”.
“Sì, lasci qualcosa” ha detto una voce irritata alle mie spalle. “Sono venuto apposta fin qui per fare un prelievo. C’è anche gente che deve guadagnarsi da vivere, sa?” […]
“Ecco fatto, il mio collega ne ha altri”.
“No, non lo disturbi” ho risposto io. Sarebbe stato un segno di avidità. “La ringrazio moltissimo. Ci scusi il disturbo, arrivederci”.
“Arrivederci” ha detto lei, già in attesa del cliente successivo.


Per abitudine, potremmo immaginare che una rapina in banca si svolga nello stile di Quel pomeriggio di un giorno da cani o Point Break, ma questa, come si può notare, non è la cifra distintiva della Gang, né quella narrativa di Tibor Fischer: entrambi si prendono gioco delle situazioni più tipiche e usuali – e quindi normali –, scombinando le carte a tal punto che fin dall’inizio le nostre aspettative preconcette non sanno dove appigliarsi. Sovvertendo le regole e ridisegnando la realtà, è come se Eddie e Hubert avessero come unico scopo quello di rispondere a una domanda spesso terrorizzante: perché no?
 

Posso sbagliarmi, ma mi pare che ci siano certi impulsi di natura non carnale che provano tutti, o quasi tutti, in una civiltà minimamente sviluppata. […]
Terzo sogno irrealizzato ricorrente: la rapina in banca. Il suo fascino è evidente. Quasi tutti, quasi sempre, si ritrovano a corto, talvolta disperatamente a corto, di quattrini. Soluzione: la casa dei quattrini dista più di pochi minuti a piedi. Si balza dentro e si esce di corsa con manciate del rimedio nella sua forma più cruda. […] Quel che ci blocca soprattutto non è tanto la fede nell’ordine o la familiarità con l’etica. No, ci frena l’eventualità di esser puniti – i ceppi della paura.


Attraverso uno spassoso gioco di riflessi, la stessa volontà di andare oltre gli schemi che riveste le azioni dei personaggi si riverbera nella scrittura di Fischer che, tra parodia del mondo contemporaneo e frammentarietà della narrazione, è da ritenersi pienamente postmoderna. L’intreccio è infatti molto complesso: il romanzo non è composto da classici capitoli, bensì da brevi estratti spesso non legati fra loro da alcun rapporto temporale; il filone principale della storia, quello delle rapine in banca della Gang, è interrotto con frequenza dai pensieri sparsi e i ricordi di Eddie Coffin, narratore in prima persona della vicenda, che si sofferma ora con più comica nostalgia («Gli studenti amavano avermi come supervisore – quando latitavano, io non protestavo, perché nemmeno io ero presente»), ora con più lucido sarcasmo («Ho sbagliato tutto. Ho preso il massimo dei voti. Senza volerlo (forse il segreto è questo)»), sulle principali tappe del suo percorso di vita, e sul ruolo che la filosofia ha assunto per lui di volta in volta, fino alla sua ultima applicazione nelle rapine in banca.

La voce scanzonata di Eddie, che prende vita grazie a uno stile di scrittura funambolico e sopra le righe, rappresenta l’aspetto più azzeccato del romanzo, mentre il tutto è impreziosito dall’uso sapiente che Fischer fa della classica ironia britannica. Un’ironia non di semplice definizione, ma che spesso, come si evince nel libro, lavora sul grottesco, sui giochi di parole, sui ribaltamenti paradossali delle situazioni più potenzialmente tragiche in cui i malcapitati tentano, invano, di preservare una certa signorilità, dignità negli atteggiamenti – e dunque quella volontà di adesione al ‘normale’ che una volta messa in crisi dalla realtà contingente finisce per risultare farsesca, poiché fuori posto: «Il mio medico curante, che viene da Zanzibar e non ha il senso dell’umorismo, è stato particolarmente severo. Ci teneva a farsi prendere sul serio. “Addio” mi ha detto. “Questa è l’ultima volta che ci vediamo, temo”. Un tentativo estremo di spaventarmi al punto da indurmi all’astinenza. Però aveva ragione. Una settimana dopo è stato ammazzato dalla moglie».
 

Eddie sceglie di darsi alle rapine perché preferisce la bella vita all’etica, i soldi alla morale. Ma come «venditore ambulante di retorica» di certo non si risparmia


Eddie sceglie di darsi alle rapine perché preferisce la bella vita all’etica, i soldi alla morale. Ma come «venditore ambulante di retorica» di certo non si risparmia; peregrinando tra i ricordi, costellati da vicende esilaranti e battute brillanti, Eddie si sofferma sul valore della filosofia nel mondo contemporaneo, sulla storia dei grandi pensatori, sul loro apporto alla società d’oggi, sul futuro della disciplina: «Mi chiedo sempre più spesso: a cosa serve la filosofia? Dopo tutti questi anni, di cosa può vantarsi la filosofia, anzi tutta la conoscenza umana?». In un libro così atipico che vedrei ben adattato da Terry Gilliam per il grande schermo, la risposta, se c’è, è bene che ognuno se la cerchi per conto proprio durante la lettura, tanto è personale il patto narrativo che si instaura col testo; un testo divertente, energico, e che sa quando non deve prendersi troppo sul serio, come dovremmo imparare a fare anche noi.


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