Quando respirate, fateci caso

L’importanza della cura del respiro tra apnee, polmonauti e metodo Buteyko. Su L’arte di respirare di James Nestor

Tra gli sport estremi più impegnativi, complessi e pericolosi, ma al contempo meno spettacolari, c’è l’immersione, una disciplina in cui l’atleta deve scendere sott’acqua sino alla massima profondità che il suo corpo è in grado di raggiungere. L’attuale record mondiale è dell’austriaco Herbert Nitsch, che il 16 giugno 2016 ha toccato quota 223 metri sotto il livello del mare. Chiunque abbia provato, anche solo a due o tre metri di profondità mentre faceva snorkeling in vacanza, sa cosa significa, in termini di resistenza polmonare, fare un’immersione. Per tutti gli altri, supponendo di ignorare qualsiasi legge fisica subacquea e di immaginare che la discesa avvenga alla velocità di un metro al secondo, raggiungere 223 metri e risalire richiede 7 minuti e 40 secondi di apnea. Un tempo fuori misura per noi, meno per Nitsch, il cui record personale di apnea statica (cioè immerso in una vasca, immobile) è di 9 minuti e 4 secondi. Appena un minuto in meno del tedesco Tom Sietas, che nel 2008 stette in apnea per 10 min e 12 secondi. Trattenere il respiro così a lungo richiede una capacità polmonare non indifferente: quella di Nitsch, ad esempio, è di 14 litri, mentre quella di un normale individuo adulto oscilla tra i 4 i 6 litri. Nitsch e gli apneisti come lui però non sono nati dotati di super-polmoni, ma si sono allenati attraverso intensi e complessi esercizi di… respirazione.
 

Respirare non è solo un gesto utile alla sopravvivenza, ma permette anche di intervenire sulle nostre condizioni psico-fisiche. Per questo limitarsi a respirare non basta, bisogna educarsi a respirare correttamente


Il nostro corpo mette in pratica l’atto vegetativo della respirazione circa 25mila volte al giorno. Non abbiamo necessità di ricordarci di farlo, e molto spesso nemmeno ci rendiamo conto di respirare. Ma abbiamo comunque possibilità di controllarlo, ad esempio quando facciamo attività fisica, esercizi di meditazione, o apnea appunto. Tutte queste attività permettono di accrescere, o controllare, le prestazioni del nostro corpo. L’ossigeno è infatti il carburante che attiva i processi di produzione dell’energia muscolare. Più lo sforzo è lungo, più ossigeno serve – questo tipo di produzione energetica è detto aerobico, e resiste fino a una certa soglia, oltre la quale si passa alla fase anaerobica, ma questa è un’altra storia. Respirare quindi non è solo un gesto utile alla sopravvivenza, ma permette anche, in una certa misura, di intervenire sulle nostre condizioni psico-fisiche. Per questo limitarsi a respirare non basta, bisogna educarsi a respirare correttamente. Credo sia questa la sintesi del saggio L’arte di respirare (Aboca, 2020), del giornalista scientifico James Nestor.

Il libro di Nestor parte da un assunto semplice. Fatta eccezione per i grandi atleti (o chiunque faccia del respiro una parte importante della sua attività, come i cantanti), per tutti noi respirare è qualcosa di scontato, che si apprende alla nascita e di cui ci si dimentica fino alla morte. La domanda allora è: possibile che malattie e i disturbi legati all’apparato respiratorio (apnee notturne, secchezza della cavità orale, roncopatia, asma, polmoniti, bronchiti, e ancora ansia e attacchi di panico) possano essere causate, oltre che dalla scarsa salubrità dell’aria che respiriamo o da virus e batteri, anche dal modo in cui respiriamo? Nestor prova a rispondere, seguendo due approcci.
Il primo approccio, diacronico, si muove sul piano storico. Il giornalista mostra come l’interesse di quelli che definisce “polmonauti” (persone che, a vario titolo, non necessariamente medico-scientifico, si occupano di respirazione) sia pressoché identico all’interesse che, in materia, si può trovare in testi ed iscrizioni di antiche civiltà come quella della Valle dell’Indo (circa 1500-3000 a.C.) o della dinastia Zhou cinese (circa 1200 a.C.). L’importanza di una corretta respirazione non è una cosa che scopriamo solo oggi, ma si radica nella storia umana. Per secoli, in diverse civiltà, la respirazione è stata al centro delle attività fondamentali per il benessere psico-fisico dell’individuo e, nei casi più estremi, per il controllo di alcune funzioni vegetative del corpo (come il calore). Queste pratiche, nel corso della storia, si sono perse o sono mutate (è il caso della meditazione e dello Yoga), arrivando a noi come insieme di attività che la scienza medica non sempre ha avuto interesse a verificare.

Nestor si sforza sempre di riportare una ricchissima bibliografia a supporto di ciò che dice, sebbene l’affabulazione retorica del testo faccia emergere qua e là il beneficio del dubbio verso le scoperte dei “polmonauti”


Il secondo approccio, diafasico, si muove sul piano della narrazione. Ogni capitolo introduce nuovi registri e circostanze attraverso cui l’autore restituisce i fatti. I paragrafi affiancano spiegazioni scientifiche sul funzionamento della respirazione, ad aneddoti o interviste a persone che con la respirazione sono riuscite a cambiare la loro vita. Soprattutto però, a muovere il tutto, è l’esperienza diretta dell’autore, che per amor di indagine si sottopone a interventi chirurgici, esperimenti scientifici, sessioni di meditazione o allenamento intenso, per testare in prima persona quanto le sue ricerche svelano. Una modalità dove ricerca personale e indagine scientifica si sovrappongono senza soluzione di continuità che a volte sembra sconfinare nei metodi di certi manuali di auto-aiuto. Tuttavia Nestor si sforza sempre di riportare una ricchissima bibliografia a supporto di ciò che dice, sebbene l’affabulazione retorica del testo faccia emergere qua e là il beneficio del dubbio verso le scoperte dei “polmonauti”. In questo senso, colpiscono molto le storie di Katharina Schroth e Konstantin Pavlovich Buteyko.

Katharina Schroth nacque nel 1894 a Dresda. È nota per aver sviluppato un metodo di auto-cura della scoliosi affiancando tecniche di respirazione ed esercizi di correzione posturale. Quale sia la percentuale di influenza, sul risultato, del respiro e dell’esercizio non è immediato o intuitivo. La stessa Schroth inizialmente aveva attribuito molto alla respirazione. Per lei i polmoni erano come dei palloncini: la loro espansione avrebbe influito sulla cassa toracica e dunque sulla colonna vertebrale e dunque sulla postura. Ma successivi studi e perfezionamenti del metodo portati avanti dai suoi allievi (tra cui la figlia) hanno dimostrato l’importanza degli esercizi di fisioterapia posturale che si accompagnano a quelli di respirazione. Nel saggio di Nestor questa seconda parte viene approfondita poco, dando maggior risalto alla (comunque bellissima) storia di Schroth e all’intuizione sulle potenzialità del respiro.

Konstantin Pavlovich Buteyko invece fu un medico ucraino, che a partire dagli anni ’50 condusse una serie di esperimenti su malati di asma e ipertensione. Notò che tutti assorbivano circa il doppio di aria rispetto a una persona sana, creando uno scompenso tra quantità di ossigeno e anidride carbonica presente nel sangue con relative, e dannose, conseguenze. Sviluppò dunque una serie di protocolli di respirazione che inducevano il paziente a respirare meno, basati sul dilatare il tempo tra l’inspirazione e l’espirazione, e arrivò, al culmine della sua carriera, ad affermare che il suo metodo era in grado di curare circa 150 malattie, non solo asma ed ipertensione. Oggi il “metodo Buteyko” è diffusissimo e basta una rapida ricerca su Google per scoprirlo, ma attenzione: è considerato naturopatia, perché non esistono ancora significative e concrete prove scientifiche a sostegno delle sue potenzialità curative. Nestor però si limita a riportare solo i casi positivi legati all’applicazione del metodo, e tra questi vi è la spinta a respirare (quasi) esclusivamente col naso.

L’aria che inaliamo dalla cavità orale infatti è “cruda”, non viene filtrata e scaldata, perciò è potenzialmente dannosa. Respirare dalla bocca accresce la possibilità di sviluppare rinite (perché se le cavità nasali non vengono usate, si intasano e restringono), apnea ostruttiva (russare) e apnea notturna (assenza del respiro), disturbi che influiscono sul disturbo del sonno, e ancora infiammazioni dei polmoni (con rischio di malattie annesse), calo delle prestazioni fisiche, alterazione dell’ossigenazione del sangue. Certo, dice Nestor, non è sempre colpa di noi, pigri respiratori nasali, ma anche di un “bug” evolutivo: l’aumento del volume del cervello, che ha permesso all’uomo di accrescere la propria capacità cognitiva e diventare di fatto la specie dominante sulla terra, ha “rubato spazio” alle vie respiratorie, che si sono ristrette, riducendo di conseguenza la capacità di portare aria ai polmoni.
 

L’arte di respirare porta all’attenzione del lettore le qualità benefiche di una corretta respirazione, e si diverte a farlo raccontando le storie di chi si è spinto a conoscere i limiti che il corpo può raggiungere


Sia chiaro, i nostri nasi sono ancora capaci di farci respirare egregiamente e sufficientemente, e lo stesso autore, nel finale del libro, precisa che le pratiche di respirazione non si possono sostituire alla medicina tradizionale. Quello di Nestor è più un approccio indagatore e curioso, volto a capire come mai un elemento così importante per la nostra esistenza, capace di influenzare positivamente o negativamente la nostra vita, venga di norma trascurato o poco considerato nelle cure tradizionali e nella cultura occidentale. L’arte di respirare dunque è un manifesto esplorativo che porta all’attenzione del lettore le qualità benefiche di una corretta respirazione, e per farlo si diverte a raccontare le storie di chi si è spinto a conoscere i limiti che il corpo può raggiungere e superare allenando questa facoltà. Con tutta probabilità, dopo la lettura, non controlleremo la temperatura del nostro corpo o il battito cardiaco come certi monaci tibetani, non batteremo il record di apnea di Herbert Nitsch né finiremo a correre maratone a piedi nudi sul ghiaccio come Wim Hof, ma riusciremo, forse, a russare un po’ meno o ad abituarci a usare più spesso il naso anziché la bocca. L’abbrivio di Nestor potrebbe essere questo: quando siamo seduti, quando camminiamo o guidiamo, quando parliamo con qualcuno, ascoltiamo il nostro respiro, facciamoci caso, perché come la dieta, come l’attività fisica, è qualcosa che può rendere la nostra vita migliore.


Commenta