Miraggi analogici

L'etica dell'uomo tra le "predisposizioni" di Aristotele e gli "istinti" di Voltaire

«La pietra che per natura si porta verso il basso non può abituarsi a portarsi verso l’alto, neppure se si volesse abituarla gettandola in alto infinite volte; né il fuoco può abituarsi a scendere verso il basso, né alcun’altra delle cose che per natura si comportano in un certo modo potrà essere abituata a comportarsi in modo diverso. Per conseguenza, non è né per natura né contro natura che le virtù nascono in noi, ma ciò avviene perché per natura siamo atti ad accoglierle, e ci perfezioniamo, poi, mediante l’abitudine».
Aristotele

«Come Dio ha dato alle api un forte istinto, per cui esse lavorano in comune ed insieme trovano il loro alimento, così ha dato all’uomo certi sentimenti, che egli non può mai rinnegare: e questi sono i vincoli eterni e le prime leggi della società umana».
Voltaire


La riflessione sull’etica ruota solitamente intorno cinque principi: la libertà, la scelta, le azioni compiute o da compiersi, la responsabilità ed il sistema valoriale di riferimento. Quest’ultimo corrisponde all’apparato di credenze e giudizi circa ciò che è bene e ciò che è male, e non è impossibile che muti da società a società, da un gruppo culturale ad un altro. In ogni caso, alle credenze seguono le scelte per l’azione, cioè atti pratici che realizzano, testimoniandole, le credenze di partenza.
Qualunque epoca storica riflette sul meccanismo etico focalizzando su questi cinque sommi cardini. Ma qualunque siano le combinazioni o l’ordine logico in cui li si dispone, questi non bastano da soli a definire l’atteggiamento etico umano in chiave universale, né bastano a far interagire le prospettive critiche di pensatori diversi. Perché il terreno del confronto sia autenticamente fertile, è necessario che i cinque cardini (ed ogni altro elemento derivante o collaterale) siano bene inquadrati nella complessiva ottica antropologica che un singolo pensatore propone. Pur patendo le influenze culturali del tempo che lo produce, del lessico che lo dice e dei sensi che lo veicolano, alla base del pensare etico d’ogni autore vi è sempre un’idea di partenza su cosa sia l’uomo, quale sia la sua essenza e perché. Sempre potrà rintracciarsi un elemento principiale e fondativo da cui pare effondersi ognuna delle capacità teoretiche e pratiche di cui l’uomo è capace, tra le quali è compresa ovviamente anche l’etica. Con una simile premessa ci si potrà aprire all’onesta comparazione tra gli ingranaggi etici secondo l’uno e l’altro autore. Ci si potrà allora domandare quali sono le analogie e le differenze tra il pensiero etico d’Aristotele e quello di Voltaire? E qual è l’essenza di uomo che sottostà all’uno e all’altro?

Ad una prima fugace lettura dei passi riportati si manifestano subitanee della analogie. La prima è che, secondo il classico greco ed il moderno illuminato, l’agire morale dipende da quella che semplicemente può essere detta ‘coscienza etica’. Questa è per entrambi una fisiologica propensione, fenomeno dalla portata universale che tutti gli uomini posseggono e che tutti gli uomini determina. Seconda analogia: entrambi sfruttano una corrispondenza tutt’altro che metaforica con elementi naturali – le “pietre”, il “fuoco” e le “api” –, per spiegare l’eticità umana, la capacità di creare leggi e a queste adeguarsi per poi definire cos’è giusto e cosa sbagliato, cosa è virtuoso e cosa non lo è. Quindi, come la pietra non può abituarsi a portarsi verso l’alto poiché per sua natura grava verso il basso, così l’uomo non può abituarsi ad essere o non essere virtuoso, poiché per sua natura egli accoglie la virtù ed in essa si perfeziona. Allo stesso modo Voltaire: come le api per istinto s’aggregano per trovare alimento, così l’uomo istintivamente è capace di “sentimenti” che regolano ogni legge sociale.
Pare dunque che per entrambi l’uomo sia destinato all’eticità e in essa radicato, poiché questa è la causa e la ragione del suo specifico modo di stare al mondo. Ma il trabocchetto è proprio qui: laddove Voltaire rileva “istinti” e “sentimenti”, Aristotele trova invece “predisposizioni” e “abitudini”. Dove Voltaire col richiamo alle “api” istituisce una connessione tra animale umano e non umano, Aristotele, in modo apparentemente più ingenuo, fa corrispondere l’uomo alle “pietre” e al “fuoco”, enti che nulla hanno in comune con l’uomo, né la sensibilità né una forma anche blanda di intellettualità. È quindi altamente probabile che il destino etico dell’uomo sia inteso ben diversamente dall’uno e dall’altro autore, e che forse tale differenza risieda proprio nell’immagine di ‘uomo’ che essi posseggono.

Secondo Voltaire l’uomo condivide pienamente con “api” e altri animali “istinti” e “sentimenti”. Come l’istinto alla nutrizione unisce le api nella ricerca del cibo, allo stesso modo gli istinti dell’uomo fungono da piattaforma universale, materia fisica che unisce e accorda ognuno di essi. In qualche modo l’istinto precede la ragione morale, anzi, ne è origine e causa, e per questo è ad essa identificabile. La “legge sociale”, infatti, sarà naturale come l’“istinto”, evidente come il “sentimento”. Le idee di legalità ed eticità che ne derivano conducono alla celebre affermazione della ragione giusnaturalista, condivisa anche da altri Illuministi contemporanei di Voltaire. Secondo questa vi è corrispondenza tra l’eterna legalità della Natura e quella congenita e primordiale propria dell’uomo. Istintività e sentimentalità sono allora per Voltaire dei contrassegni, delle note fisiologiche che rivelano la partecipazione dell’uomo al diritto naturale e la sua possibilità d’alimentarlo mantenendosi prossimo alle dinamiche di Natura, evitando però di stravolgerle con architettati e devianti apparati moralistici.
Nella prospettiva d’Aristotele, invece, gli elementi che determinano l’atteggiamento etico dell’uomo non sono gli istinti, bensì quelle che egli genericamente chiama “predisposizioni”, la cui estensione è di gran lunga maggiore. Le “predisposizioni” sono, nel linguaggio aristotelico, forme di vita anche solo potenziali che rientrano nella definizione di un singolo essere e, poiché lo definiscono, lo distinguono, potenzialmente, dagli altri. L’uomo, la pianta, la pietra o l’ape, seguono ciò che è la loro natura, ciò che corrisponde alla loro definizione. E nella definizione/natura propria di essere umano rientrano “predisposizioni” che nessun altro essere possiede, tra le quali ad esempio la fantasia, la capacità affettiva, il pensiero logico, il desiderio di oggetti non solo fisici, e via dicendo. Qualcosa di ben diverso, chiaramente, dagli istinti irriflessi e predeterminati. Infatti, che denza tutt’altro che metaforica con elementi naturali – le “pietre”, il “fuoco” e le “api” –, per spiegare l’eticità umana, la capacità di creare leggi e a queste adeguarsi per poi definire cos’è giusto e cosa sbagliato, cosa è virtuoso e cosa non lo è. Quindi, come la pietra non può abituarsi a portarsi verso l’alto poiché per sua natura grava verso il basso, così l’uomo non può abituarsi ad essere o non essere virtuoso, poiché per sua natura egli accoglie la virtù ed in essa si perfeziona. Allo stesso modo Voltaire: come le api per istinto s’aggregano per trovare alimento, così l’uomo istintivamente è capace di “sentimenti” che regolano ogni legge sociale.

Pare dunque che per entrambi l’uomo sia destinato all’eticità e in essa radicato, poiché questa è la causa e la ragione del suo specifico modo di stare al mondo. Ma il trabocchetto è proprio qui: laddove Voltaire rileva “istinti” e “sentimenti”, Aristotele trova invece “predisposizioni” e “abitudini”. Dove Voltaire col richiamo alle “api” istituisce una connessione tra animale umano e non umano, Aristotele, in modo apparentemente più ingenuo, fa corrispondere l’uomo alle “pietre” e al “fuoco”, enti che nulla hanno in comune con l’uomo, né la sensibilità né una forma anche blanda di intellettualità. È quindi altamente probabile che il destino etico dell’uomo sia inteso ben diversamente dall’uno e dall’altro autore, e che forse tale differenza risieda proprio nell’immagine di ‘uomo’ che essi posseggono.Secondo Voltaire l’uomo condivide pienamente con “api” e altri animali “istinti” e “sentimenti”. Come l’istinto alla nutrizione unisce le api nella ricerca del cibo, allo stesso modo gli istinti dell’uomo fungono da piattaforma universale, materia fisica che unisce e accorda ognuno di essi. In qualche modo l’istinto precede la ragione morale, anzi, ne è origine e causa, e per questo è ad essa identificabile. La “legge sociale”, infatti, sarà naturale come l’“istinto”, evidente come il “sentimento”. Le idee di legalità ed eticità che ne derivano conducono alla celebre affermazione della ragione giusnaturalista, condivisa anche da altri Illuministi contemporanei di Voltaire. Secondo questa vi è corrispondenza tra l’eterna legalità della Natura e quella congenita e primordiale propria dell’uomo. Istintività e sentimentalità sono allora per Voltaire dei contrassegni, delle note fisiologiche che rivelano la partecipazione dell’uomo al diritto naturale e la sua possibilità d’alimentarlo mantenendosi prossimo alle dinamiche di Natura, evitando però di stravolgerle con architettati e devianti apparati moralistici.

Nella prospettiva d’Aristotele, invece, gli elementi che determinano l’atteggiamento etico dell’uomo non sono gli istinti, bensì quelle che egli genericamente chiama “predisposizioni”, la cui estensione è di gran lunga maggiore. Le “predisposizioni” sono, nel linguaggio aristotelico, forme di vita anche solo potenziali che rientrano nella definizione di un singolo essere e, poiché lo definiscono, lo distinguono, potenzialmente, dagli altri. L’uomo, la pianta, la pietra o l’ape, seguono ciò che è la loro natura, ciò che corrisponde alla loro definizione. E nella definizione/natura propria di essere umano rientrano “predisposizioni” che nessun altro essere possiede, tra le quali ad esempio la fantasia, la capacità affettiva, il pensiero logico, il desiderio di oggetti non solo fisici, e via dicendo. Qualcosa di ben diverso, chiaramente, dagli istinti irriflessi e predeterminati. Infatti, che una “predisposizione” sia solo potenziale implica la non necessità per l’uomo di essere virtuoso, dunque la non necessità d’una corrispondenza ad un’assoluta legalità di natura.
Ecco perché il paragone è con la “pietra” ed il “fuoco” e non con l’animale: l’etica umana non ha a che vedere con gli istinti, ma con le congenite predisposizioni di cui siamo capaci. Ecco perché la virtù non è in noi “per natura” o “contro natura”, poiché in noi è solo la disposizione ad accoglierla ed in essa perfezionarci. Non c’è un istinto primordiale e universale che è già legge; e non c’è neppure una virtù etica già bella e confezionata che aspetti solo d’esser riconosciuta. Non c’è determinismo, né giusnaturalismo, perché la virtù è un abito, un modo di disporsi ai principi morali dopo averli a lungo pensati.La più importante distinzione tra Aristotele e Voltaire, così come tra la morale classica e quella moderna, è tra un’autentica libertà antropologica, manifesta in quelle altrettanto libere “predisposizioni” di cui parla Aristotele, ed una libertà intesa invece come adeguazione ad una legge di natura che, in modo contraddittorio, si paleserebbe sotto forma di istinti e altre pratiche irriflesse. La differenza è, insomma, tra un’eticità attiva perché scelta, ed una patita perché predeterminata dall’istinto o dal sentimento. Nel tentativo illuminista di esaltare la ragione umana come principio oggettivo e infallibile, data la sua coincidenza con la legge di Natura, è celata la profonda negazione della libertà costitutiva dello stesso essere umano, cui invece secoli prima, ai tempi in cui l’Olimpo spadroneggiava sulle sorti degli uomini, non s’esitava a prestare attenzione.


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