Meno Libri Più Liberi

Sette editori e una libreria chiedono un’editoria con più attenzione alla filiera, contro la fiera Più Libri Più Liberi

Tre anni fa Giorgia Sallusti, libraia della Bookish di Roma, dà vita alla Notte bianca del racconto, una maratona letteraria nei giorni della fiera di piccola e media editoria Più Libri Più Liberi che va avanti fino a notte fonda con scrittori e scrittrici, traduttori e autrici, editrici e editori che leggono sul palco dei testi scelti di narrativa breve. Nel 2022, però, questa serata letteraria si trasforma in qualcosa di diverso: non solo un reading notturno ma anche una Controfiera lanciata da sette case editrici che si sono rifiutate di partecipare alla manifestazione romana. Racconti, effequ, Safarà, Rina, Pidgin, Tamu, Edicola Ediciones non saranno presenti tra i 500 editori di questa edizione di Più Libri Più Liberi, che si terrà alla Nuvola di Fuksas dal 7 all’11 dicembre, ma parteciperanno alla maratona di letture che avrà luogo da ESC a San Lorenzo la notte tra 7 e 8 dicembre. Perché? E come mai trasformare la Notte bianca del racconto in una controfiera? L’abbiamo chiesto proprio a Giorgia Sallusti e a Francesco Quatraro, direttore editoriale della casa editrice effequ.

Francesco, che cosa significa una fiera per un editore e in che contesto è nata Più Libri Più Liberi?
L’attività fieristica per il mondo dei libri è importante, per due motivi principali: il primo è che la gente può recarsi personalmente a conoscere case editrici che altrimenti non conoscerebbe, perché in libreria c’è una grandissima compagine di titoli e le case editrici scompaiono, in questa maniera la casa editrice viene riconosciuta e le persone possono entrare direttamente a contatto con l’ambiente editoriale conoscendolo e anche acquistando, e qui veniamo alla seconda ragione dell’utilità delle fiere, che è una ragione economica. Il mercato editoriale prevede una distribuzione, che copre tutto l’impianto librario, prevede le librerie, che chiedono una percentuale sul costo del libro – tra il 30% e il 40% –, prevede la promozione: in tutto questa fetta va intorno al 60% del prezzo di copertina. Se un libro costa 10, 4 va all’editore con tutti i costi che deve sostenere. Cosa succede durante una fiera? Durante le fiere c’è una vendita diretta da parte delle case editrici, quindi quel 60% è escluso. Ad inizio anni Duemila la fiera più grande d’Italia, il Salone del Libro di Torino, coinvolgeva un sacco di realtà editoriali che tornavano contente proprio per questa ragione, e Torino è emblematica perché è a partire da lì che si sono create un sacco di fiere in tutta Italia. Nel frattempo si andavano fondendo i gruppi editoriali, cominciando a dare vita all’oligopolio che abbiamo oggi con i grandi gruppi Mondadori-Rizzoli, Bompiani-Giunti, Feltrinelli-Messaggerie, e si stavano affermando una serie di case editrici: Sellerio, Edizioni E/O che poi avrebbe pubblicato la Ferrante, minimum fax che faceva Carver e avrebbe fatto Foster Wallace. Queste realtà indipendenti, che venivano considerate piccola e media editoria, erano per lo più romane. E ci si chiede: “Perché Torino ha il Salone e Roma non ha niente?”. Allora nel 2002 l’AIE decide, con l’appoggio delle case editrici romane, di fare una fiera della piccola e media editoria con il concetto della bibliodiversità: un concetto che ci dice che non ci si può intrappolare nei monopoli, ma è importante che ci sia differenza tra i libri. Da qui lo slogan Più Libri Più Liberi e l’istituzione della fiera che viene fatta all’EUR, al Palazzo dei Congressi. Che periodo viene scelto? Il ponte dell’8 dicembre, perché nel periodo di dicembre, in particolare nel ponte dell’Immacolata Concezione, il fatturato delle case editrici è altissimo, equivale a tre, quattro mesi di un anno normale. In questa maniera la gente è invogliata ad andare e le case editrici risparmiano il 60% su una parte importantissima del loro fatturato.

Che cosa vuol dire Giorgia, per una libreria romana, avere una fiera del genere nel weekend dell’8 dicembre?
Bookish è una libreria geograficamente lontana dalla fiera e una libreria specializzata in letteratura di Nordafrica, Medio Oriente ed Estremo Oriente, per cui per trovare certe cose i lettori devono comunque venire da me. Detto questo, nel weekend dell’8 dicembre se i lettori devono regalare dei libri a Natale è più facile che passino il fine settimana alla Nuvola proprio perché gli piace stare in mezzo ai libri. E che colgano lì l’occasione per fare i regali di Natale, che è una cosa da non trascurare in un weekend che per noi librai rappresenta una buona fetta dell’incasso del mese.
Una fiera dell’editoria dovrebbe essere una fiera di tutta la filiera, che dovrebbe accogliere case editrici, lettori, librai e tutte le persone che in quella filiera ci lavorano, perché semplicemente si potrebbe fare un lavoro migliore. Mi piacerebbe che le fiere potessero essere momenti laboratoriali, invece che banalmente un posto in cui vendi libri.

Per questo la notte del racconto si è trasformata in una Controfiera? C’è qualcuno di voi che ha fatto scoppiare la polemica?
G: Diciamo che siamo un gruppo molto polemico, ci siamo trovati. La notte bianca era nata qualche anno fa perché, guardando alle fiere altrove, ho sempre osservato che ci sono molti eventi fuori fiera, mentre Più Libri Più Liberi non coinvolge altri luoghi oltre la Nuvola. Quindi ho pensato di fare un evento del genere, e per i primi due anni in realtà questa maratona notturna di lettura di racconti è stata un evento fuori fiera.
 

L’idea della Controfiera è di creare una sinergia tra case editrici, la mia libreria ma anche altri librai, e spiegare perché secondo noi la fiera di Roma non funziona


Quest’anno però con alcune case editrici è nata questa idea di creare qualcosa di diverso. E invece che fuori fiera è diventata Controfiera: ci saranno editori che non sono andati a Più Libri Più Liberi e vorremmo che fosse una piattaforma per discutere con altri editori. La Controfiera non è un’accusa agli editori che sono in fiera, sono anzi i primi ad essere stati invitati, la facciamo di notte proprio perché molti editori durante il giorno saranno alla Nuvola. L’idea è di creare una sinergia tra case editrici, la mia libreria ma anche altri librai, e spiegare perché secondo noi la fiera di Roma non funziona e capire come poterla fare funzionare meglio.

Cosa vuol dire Francesco, per un editore, una fiera che non funziona?
L’attività fieristica significa che tu devi pagare per avere uno stand, che costa in base alla metratura, alle spese che l’organizzazione deve sostenere e all’aspettativa di vendita. È ovvio che una fiera dicembrina che ha sempre più gente significa costi che salgono sempre di più – vogliamo dare delle cifre per Più Libri Più Liberi? Uno stand base costa intorno ai 3mila euro. C’è lo spazio dello stand, l’iscrizione obbligatoria all’AIE, a volte la fornitura degli accessori dello stand, le spese di trasposto a carico dell’editore, le spese di vitto e alloggio per chi non sta in quella città. Una spesa importante per una casa editrice piccola e media, e ricordiamoci sempre che il sottotitolo di Più Libri Più Liberi è “Fiera della Piccola e Media Editoria”. Ricordiamoci anche che editori come Sellerio, E/O, Iperborea, Fandango hanno un potenziale economico enorme e vengono considerate indipendenti e si trovano in fiere e festival per case editrici di piccola e media editoria, ma quella che prima era piccola e media editoria adesso sta diventando grande.

Questo è un equivoco diffuso, perché al di fuori del contesto produttivo alla parola “indipendente” si associa immediatamente la piccola editoria, ma il fatto che un editore non afferisca ad un gruppo editoriale non significa che sia una piccola casa editrice.
Non ci sono particolari criteri per rientrare nella piccola e media editoria, questa è la verità. Il criterio si è perso; non so quanto fosse chiaro prima ma negli anni sicuramente si è perso. Diciamo anche che tutta questa compagine di case editrici è distribuita da Messaggerie, a cui serve la fiera, e l’AIE è un organismo legato a Messaggerie. Nelle spese c’è la logistica, i libri vanno trasportati, e la logistica va pagata: una fiera è una movimentazione di merce imponente. E Messaggerie ci guadagna. Tutto questo dal lato delle case editrici comporta una situazione abbastanza onerosa.

Nell’intervista rilasciata a L’indiependente parlavate della visibilità che può avere un editore ad una fiera. Forse il pubblico ha un’idea un po’ falsata di quello che può fare una fiera per un editore indipendente, soprattutto nel caso di Più Libri Più Liberi. Che ne pensi Giorgia?
Da libraia, la mia impressione è che se una casa editrice ha bisogno di vendere in una fiera una volta all’anno perché sennò non ce la fa i conti di quella casa editrice sono già affaticati: non può essere la fiera l’unico momento in cui entrano liquidi. Sicuramente le fiere aiutano, non soltanto perché puoi vendere direttamente – e quindi guadagnare tralasciando i margini agli intermediari, tra cui anche le librerie – ma anche perché i lettori possono vedere le persone che lavorano in casa editrice, il che è un valore aggiunto da non trascurare mai. Una cosa che a Più Libri Più Liberi io trovo molto raramente: non mi sembra una fiera che dialoghi con la città, mi sembra una fiera che sta in un posto molto lontano, difficilmente raggiungibile, che non viene abbracciata dalla comunità di lettori romani. E da un punto di vista economico credo che sia una fiera costosa: in proporzione, Più Libri Più Liberi è forse più costosa del Salone.

È così, Francesco?
Non solo, complessivamente il costo per editore è maggiore, in più dal trasferimento alla Nuvola l’organizzazione mette le case editrici nel seminterrato della Nuvola e fa stand più o meno precostituiti.

È innegabile che la sensazione da partecipante rispetto al Salone – e questo è probabilmente legato al modo in cui l’organizzazione imposta il seminterrato della Nuvola – è che ci si trovi in una sorta di centro commerciale dell’editoria, non in un luogo in cui l’editoria esprime la propria identità.
Esatto, è proprio la sensazione che si percepisce dal lato editoriale. In più il Salone viene fatto a maggio, in un periodo in cui non c’è la smania di vendere, questa fiera invece viene fatta a dicembre. Sono tutte manifestazioni commerciali, anche il Salone è un centro commerciale a suo modo, ma è un centro commerciale che bada al contenuto. Qui tutto il resto è completamente trascurato, in maniera scopertissima: le sale, gli eventi, sono completamente trascurati dall’organizzazione. C’è una maschera di tematica, ma tu ci puoi mettere quello che ti pare. È un mercatone di Natale. Tant’è che i librai, che proprio dell’attività commerciale fanno la loro vita, sono tutti infuriati perché gli togli clienti. Tra l’altro senza particolare motivo, perché i clienti non hanno sconti particolari a Più Libri Più Liberi, semplicemente puoi andare nel centro commerciale del libro, dove trovi quello che una libreria non avrebbe: un’enorme compagine di libri divisi per casa editrice. È utile, però la funzione fieristica di far scoprire la casa editrice viene radicalmente meno, rimane soltanto la questione commerciale.

Gli stand delle case editrici di Più Libri Più Liberi


F: La pratica che viene utilizzata per il commercio dei libri, per un meccanismo di fornitura e di resa della merce, porta a produrre in continuazione libri per non affogare. Questo meccanismo incoraggia una enorme produzione. Perché aumenta l’offerta se la domanda sta diminuendo? Perché si comprano meno libri in Italia, ma se ne producono di più? Ciò che si inaugura con il concetto dalla bibliodiversità diventa scoperto: tonnellate di libri che vanno al macero ogni anno, librerie che non riescono a far fronte alla proposta, una proposta che rispetto alla domanda è incredibilmente sproporzionata. La bibliodiversità non è diventata nient’altro che un pretesto per giustificare questa enorme produzione.

È diventata un alibi per la sovrapproduzione?
F: Sì, ma lo era già all’inizio. I percorsi commerciali si conoscono, poi tu gli devi mettere un freno. Tu quando lo inauguri, questo meccanismo, devi prevedere dove andrà a finire. Ora il meccanismo mostra il fianco. Sono anni che le case editrici si lamentano di questa fiera: è molto cara, si vende meno e ti trattano male – al Salone per dire hai il parcheggio, qui se lo vuoi devi pagare 70 euro al giorno per poi fare il percorso obbligato del pubblico per andare a lavorare. Ecco, questo è il perno intorno a cui ruota lo scontento. Io ho un’impressione: solitamente le case editrici sono realtà che nascono da una situazione economica buona, da un patrimonio di base, con le nuove generazioni stanno venendo fuori case editrici formate da persone che fanno questo percorso perché lavorativamente si sono formate in ambienti in cui non c’è lavoro e se lo creano così, che è anche il caso di effequ. Crearsi lavoro in questa maniera significa però non potersi permettere degli sprechi che in editoria si fanno da sempre. Come stanno nascendo nuove librerie con delle nuove logiche che rifiutano il giogo della distribuzione e si riforniscono in modo indipendente, così nascono case editrici che sempre più si rendono conto che questo meccanismo non fa per loro.
 

L’editoria deve potersi difendere da se stessa. Non puoi continuare a produrre per sempre


Noi abbiamo deciso di rinunciare a Più Libri Più Liberi perché pensiamo che sia l’esempio del danno del mercato, e crediamo che queste nuove pratiche tra case editrici e librerie che stanno nascendo possano aiutare a pensare ad una maniera più sostenibile di continuare con questo lavoro. Questo lavoro deve potersi difendere da se stesso, questi sono meccanismi che lo logorano e che hanno portato i grandi gruppi a fondersi. Non puoi continuare a produrre per sempre.

Come funziona la Notte bianca del racconto che si aprirà il 7 dicembre, Giorgia?
Si apre al pubblico alle otto da ESC a San Lorenzo, uno spazio attivo anche dal punto di vista letterario, perché da undici anni organizza L/ivre, il festival di libri e vini – nel 2022 si terrà dal 14 al 18 dicembre – e quindi ha un’affinità col mondo letterario. È un posto che rischia lo sgombero e siamo lì anche per dimostrare solidarietà ad un posto che ci accoglie. Ci saranno una 50ina di lettori e lettrici che si avvicendano sul palco a leggere racconti altrui, qualcuno leggerà i propri, qualcuno ha scritto per l’occasione, e quindi la differenza sostanziale è che non è una serata di promozione, noi non promuoviamo i libri degli autori che salgono sul palco. Certo ci saranno i banchetti delle case editrici lì, ma vogliamo che si condivida la forma di letteratura del racconto. In questa lunghissima maratona in cui scrittori, scrittrici, traduttori, editori, redattori saliranno sul palco a leggere i racconti, noi nel frattempo dietro le quinte ci beviamo un buon bicchiere a cura di ESC. Andiamo avanti fino alle quattro e poi la mattina dopo ci ritroviamo tutti chi in libreria chi in fiera con le occhiaie.

Che editoria volete raccontare con un evento del genere?
G: Da un punto di vista della divulgazione scegliamo i racconti da leggere tra quelli che ci piacciono di più, indipendentemente da chi li ha pubblicati, questo significa che la selezione è già di un livello molto alto. Sono gli scrittori, i lettori e gli editori stessi a filtrare le cose che vogliono leggere tra le cose migliori che hanno letto nella loro vita. Già questo è un modo per raccontare che ci sono delle cose nell’editoria che magari ci sono sfuggite e che vale la pena recuperare.
Dal punto di vista delle case editrici che saranno lì, invece, quello che vogliamo raccontare è che possiamo pensare di lavorare in editoria con un po’ meno libri, ma con un po’ più di attenzione. E soprattutto di lavorare in sinergia tutti insieme, di non fare in modo che una fiera diventi un’isola, ma di fare comunità. E che questa comunità editoriale lavori assieme magari tutto l’anno, con eventi dedicati o ripensando il modo in cui questa editoria arriva sugli scaffali delle librerie, per esempio. Ci sono tanti problemi nella filiera editoriale, certo non li risolviamo con una notte bianca del racconto, ma è un modo per incontrarci. Se ti incontri fai conoscenza, fai amicizia e magari cominci a discutere anche di cose più serie. Non dico che trovi le soluzioni però almeno le domande giuste te le fai.

F: Noi vogliamo raccontare un’editoria diversa che si tiene sulle sue zampe e va incontro ad un ragionamento di sostenibilità del mercato, di autosostenibilità. Pensare a pratiche editoriali, e di conseguenza di vendita, che sappiamo benissimo condiziona la qualità di ciò che si fa, la specificità di ciò che si fa: se sei portato a produrre per produrre, alla fine produci a vanvera. Non dobbiamo far attenzione ai contenuti per fare cambiare qualcosa, è il contrario: dobbiamo mettere un freno a questo tipo di pratica e incoraggiare delle soluzioni alternative. Più siamo e più riusciamo a gestire l’interfaccia con il mercato in modo coerente, perché una casa editrice da sola non può fare Davide contro Golia, anzi una formica contro Golia, invece in tante possono cominciare a pensare a pratiche differenti: dire che esiste una maniera differente di fare attività fieristica – la ragione primigenia della fiera, il permettere a chi vi partecipa di conoscere gli editori – e di fare attività commerciale.

Qual è il rapporto di voi editori che avete deciso di uscire con chi invece alla fiera parteciperà?
F: Il rapporto rimane il medesimo, siamo tutte persone che stanno nella stessa barca, e sappiamo benissimo che gran parte delle case editrici che conosciamo e che parteciperanno lo fanno perché altrimenti perdono il posto in fiera. Sono vittime quanto noi di una prepotenza, di un percorso quasi obbligato. Quello che vorremmo dir loro è che può esistere un’alternativa: il punto è che la dobbiamo creare assieme.


Commenta