La responsabilità di stare al mondo

Su La corsara di Sandra Petrignani, ritratto di Natalia Ginzburg tra letteratura e impegno civile

La corsara (Neri Pozza) non è una semplice ricostruzione letteraria su Natalia Ginzburg. Quella di Sandra Petrignani è una biografia basata su una minuziosa ricerca studiata nei più piccoli particolari. Non ci sono presupposizioni di carattere personale né interpretazioni narrative arbitrarie. Le parole di Ginzburg e le testimonianze dei protagonisti che l’hanno conosciuta, o che avrebbero voluto farlo, sono le uniche voci a raccontarci questa storia. L’autrice, invece, rimane a dirigere lo spettacolo di questo libro da dietro le quinte, in silenzio, senza mai scoprirsi troppo.

Il sipario si apre sulla vita di una bambina con lo stesso nome della protagonista di Guerra e Pace. È Natalia Levi e da piccola, a scuola, va bene solo in italiano. Invece di studiare, passa le giornate nella sua stanza a fantasticare su poesie e romanzi proibiti presi in prestito dai fratelli. Natalia si rifugia in un mondo tutto suo per allontanarsi da una famiglia che non la capisce. Si sente incompresa, respinta, esiliata. È grazie a questo rifiuto che inizia a plasmare il suo carattere da scrittore. Da scrittore, sì, perché Natalia non vuole assomigliare né alla madre né alla sorella, le sue figure femminili di riferimento. Durante l’adolescenza è ribelle, i salotti borghesi la annoiano, all’eleganza femminile preferisce le rozze maniere maschili. Il mondo che abita la repelle e l’unica cosa che le permette di andare avanti è la letteratura.
 

È una bambina di undici anni quando ne fa l’amara scoperta. Cito dal racconto autobiografico I baffi bianchi, che è raccolto sia in Mai devi domandarmi sia in Un’assenza: «Non avevo più solo il sospetto, avevo ora la costante certezza che l’universo non era chiaro e semplice ma invece buio, contorto e segreto, che ovunque si annidavano segreti, che le strade e la gente coprivano dolore e male; e la malinconia non spariva mai: non c’era forza che riuscisse a vincerla. Potevano arrivare invitati, pietanze buone in tavola, potevo avere un vestito nuovo, un libro nuovo, potevo vedere bauli, pensare ai treni, alla campagna, all’estate: la malinconia mi avrebbe seguito dovunque. Essa era sempre lì, immobile, sconfinata, incomprensibile, inesplicabile, come un cielo altissimo, nero, incombente e deserto». A casa, quando era piccola, la chiamavano Maria Temporala, perché metteva il broncio portando nuvole scorbutiche intorno a sé e la chiamavano impiastro perché non sapeva vestirsi da sola, né allacciarsi le scarpe e lasciava tutto in giro e non era sportiva né studiosa e aveva paura di andare a scuola da sola. È stata una bambina sensibile, capace di avvertire nell’aria il non-detto degli adulti, le loro bugie insondabili.
 

Natalia rimane chiusa nel suo guscio fino a quando, un giorno, incontra Leone Ginzburg. Quello dei due è un amore che nasce lentamente. Lui la conquista sfiorandola con parole educate, un passo alla volta, senza mai azzardare nulla di troppo. Leone l’ascolta sommesso, è affascinato dal mistero nascosto dietro quegli occhi neri, che si esprime in qualcosa di vero e integro anche senza dare risposte. Quando parlano, i discorsi non finiscono mai troppo sul personale. Parlano del mondo, Natalia e Leone, dell’importanza di prendere una posizione decisa contro una società meschina, della necessità di dovere essere delle persone morali. Leone vede in lei una donna che rivela, dietro tutte le parole non dette, un grande rigore etico. Nel frattempo, l’Italia è un paese scosso da incertezze economiche e politiche. Si scatena un’offensiva contro Giustizia e Libertà e Leone viene arrestato insieme ad altri militanti. I due continuano a scambiarsi lettere e la distanza non fa che consolidare il rapporto. Durante questo periodo epistolare i sentimenti non sono mai esplicitati chiaramente: «Io rispetto i tuoi pensieri non nati: pensa un po’ quelli che una parola affrettata potrebbe guastare o far appassire per sempre» scrive lui, ma quando Natalia e Leone si incontrano basta uno sguardo per capire tutto. Mentre Natalia cresce come donna e come scrittore, l’Italia è intrappolata dentro un dipinto disarmonico. Il fascismo chiude gli occhi davanti ad una visione totale del mondo e, da questa sottrazione, pensatori illustri come Calvino, Pavese, Quasimodo (solo per citarne alcuni) cercano di riattaccare i cocci nei quali la realtà rovina. Sono gli anni in cui l’Einaudi prende forma andando contro le costrizioni imposte dal regime, gli anni in cui bisogna eludere il sistema per evitare la censura; gli anni in cui Leone muore e Natalia si ritrova a camminare sola su una strada di polvere. La guerra lascia in lei l’impressione che nei libri non è mai stato e non sarà mai possibile mentire. Nell’ultima lettera che il marito scrive le chiede di essere coraggiosa, di darsi al mondo e di usare la sua intelligenza per servire, per dire la verità, per fare qualcosa di utile per gli altri.

 

Le ultime parole dell’ultima lunga lettera che Leone scrive a Natalia dal carcere sono: «Sii coraggiosa». Ma prima le dà alcune precise indicazioni di vita, perché fino alla fine Leone resta se stesso ed è un Maestro, una guida. «La mia aspirazione è che tu normalizzi, appena ti sia possibile, la tua esistenza; che tu lavori e scriva e sia utile agli altri» le dice. Sandro Pertini, rinchiuso anche lui a Regina Coeli in quei giorni, le racconterà che Leone, uscito sanguinante dall’ultimo interrogatorio, si era preoccupato di dire ai compagni che il problema, dopo, sarebbe stato di non odiare tutti i tedeschi, bisognava distinguere i tedeschi dai nazisti. Questo è Ginzburg. Malgrado la luce fioca e molto alta nell’infermeria per cui deve scriverle quasi alla cieca, gli preme passare il testimone alla donna amata, della quale conosce la fragilità: «Attraverso la creazione artistica ti libererai delle troppe lacrime che ti fanno groppo dentro; attraverso l’attività sociale, qualunque essa sia, rimarrai vicina al mondo delle altre persone, per il quale io ti ero così spesso l’unico ponte di passaggio». Poi saluta i figli e le rivolge parole d’amore. «Come ti voglio bene, cara. Se ti perdessi, morirei volentieri [...] Ma non voglio perderti, e non voglio che tu ti perda nemmeno se, per qualche caso, mi perderò io [...] Ti amo con tutte le fibre dell’essere mio [...] Ti bacio ancora e ancora e ancora. Sii coraggiosa».

 

Quando chiesero a Leone perché avesse sposato Natalia lui rispose che l’aveva fatto perché scriveva bei racconti. Ed è proprio attraverso i libri che Natalia deciderà di prendere il cognome del marito, Ginzburg, e di farlo rivivere nelle sue storie. Dopo la sua morte sente che non può più permettersi di essere la ragazzina reticente di un tempo. Inizia a lavorare per Einaudi, entra nel Partito d’Azione e poi in Parlamento. Anche la sua scrittura cambia radicalmente: i protagonisti inventati vengono sostituiti da personaggi che calzano la sua vita quotidiana. I libri diventano degli specchi che catturano la realtà circostante per rifletterla così com’è, senza interferenze o mediazioni. Natalia, insomma, non si nasconde più. Non c’è invenzione, i luoghi comuni sono spazzati via da una verità agghiacciante che non si compromette mai ai sentimentalisti o peggio ai favoritismi letterari dettati dal periodo storico. È la fantasia, adesso, a scaturire dalla realtà e non viceversa. Come scrisse Calvino su di lei: «Natalia è l’ultima donna rimasta sulla terra, tutti gli altri sono uomini». Una donna tutto d’un pezzo, semplice, integra, vera, che ha scelto di non mercificare la sua intelligenza al coro del pubblico convenzionale. Elegante, riservata, a volte schiva, sempre misteriosa, mai banale, Natalia ha preferito scegliere l’autoironia all’aurea chiaroscura da letterata mistificante, la chiarezza del linguaggio alla pomposità delle frasi costruite.

Col tempo, la bambina che si spettinava e si pettinava, che perdeva tempo in quel gesto capriccioso per tenersi lontana dal mondo, è riuscita a fare delle sue aspirazioni morali un modello da seguire


Anche dopo tutti i traguardi raggiunti, ha passato il suo tempo senza sentirsi mai all’altezza delle situazioni ma questa inadeguatezza non le ha comunque impedito di prendere coscienza del suo potere, di distinguersi. Natalia non si è mai dimenticata di se stessa. Pur rimanendo ostile, sfuggente, è riuscita a conservare intatta quella responsabilità che tendenzialmente rovesciamo sugli altri, quando non siamo sicuri di quello in cui crediamo. Col tempo, la bambina che si spettinava e si pettinava, che perdeva tempo in quel gesto capriccioso per tenersi lontana dal mondo, è riuscita a fare delle sue aspirazioni morali un modello da seguire. È questo quello che pensa Sandra Petrignani arrivando davanti alla sua tomba e a quella degli uomini che, insieme a lei, hanno combattuto per rendere l’Italia un posto migliore. Pensa a come spesso la letteratura venga messa ai margini di una società che oggi ha smesso di pensare alla realtà in modo critico, e di come dovremmo preoccuparci di onorare le persone che hanno cercato di cambiare questo paese in meglio, se vogliamo recuperare dal passato qualcosa che possa servirci ancora. Recuperare la nostra integrità significa tornare ad avere cura delle parole, sceglierle ed ascoltarle con attenzione, rimanere ad osservare prima di dire qualcosa in più. Per dirlo con Natalia Ginzburg: le parole bisogna scrutarle per sentire se sono false o vere, se hanno o no vere radici in noi, o se hanno soltanto le effimere radici della comune illusione.

 

Pubblicato nello Speciale Premio Strega 2018


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