La favorita di Yorgos Lanthimos

con Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult

Oche. Piumate oche con una coccarda appuntata in petto per l’occasione: una gara, una competizione dove il primo vince e prende tutto. Guardinghi avicoli in competizione tra loro, non eleganti quanto i nobili cigni e ben più rozze delle borghesi anatre; semplici oche dal poco vivace intelletto. Si affannano nel percorso ordito dai loro padroni umani inseguendo, se non un posto nella Storia d’Inghilterra, la sopravvivenza forse, la sopravvivenza dovrebbe bastare in quel circo d’opulente sfarzo e elegante decadenza delle classi alte di palazzo. Una decadenza cui l’Inghilterra d’inizio Settecento era orgogliosa di dare sfoggio. La favorita è tutto qui, in una delle prime sequenze del film: una truce competizione per evitare di rimanere soggiogati dall’umiliante eternità del potere. Solo chi vince è in grado di umiliare tutti gli altri.
 

La favorita è tutto qui, in una delle prime sequenze del film: una truce competizione per evitare di rimanere soggiogati dall’umiliante eternità del potere


1708. Francia e Inghilterra sono in guerra. La regina Anna siede sul trono della Gran Bretagna, le fa seguito a corte la duchessa di Marlborough, Sarah Churchill (R. Weisz). Amante segreta e consigliera manipolativa, Sarah riesce ad avere influenza assoluta sulla regina, riuscendo a far avanzare la potenza bellica inglese contro la Francia e finanziandola con un raddoppio delle tasse ai proprietari terrieri inglesi. Raddoppio cui Robert Harley (N. Hoult) – membro parlamentare dei tory – si oppone fermamente. Quando Abigail Hill (E. Stone), cugina di Sarah caduta in disgrazia, giunge a corte, l’influenza sulla regina viene presto contesa tra le due donne. La sprovveduta Abigail imparerà ad affinare i propri artigli per strappare dalle grinfie di Sarah il sesso, l’ascolto e il condizionamento della donna al comando d’Inghilterra.

Girato con uno stile straniante che fa largo uso di grandangoli spinti, distorsioni del quadro narrativo che trascinano lo sguardo del pubblico nell’insolenza aristocratica del potere, il film si avvale di una scrittura verace e, a tratti, volgarmente feroce; sostenuta da una recitazione tenace e pungente. Come le oche da corsa nelle prime immagini, Abigail e Sarah gareggiano per il posto di “favorita” alla corte della regina. L’unica regola è che non ci sono regole, i colpi bassi sono all’ordine del giorno. Si scrutano, s’ingaggiano e si scontrano per eliminarsi definitivamente da corte; mettendo in atto tattiche articolate e strategie ardite, mosse e contromosse, sospinte da un unico desiderio: restare in vita per il potere, perché solo il potere è in grado di proteggerle.

Gli uomini mentono di continuo nella speranza di indirizzare gli eventi a loro favore, soggiogati dall’intimo desiderio di governare il mondo. Le donne no. Le donne manipolano e cospirano solo per potersi sentire al sicuro. Nascondersi nel vicariato, esercitare un potere “debole” offre prospettive di successo esponenzialmente superiori rispetto all’affrontare la questione in maniera diretta. Questa è la forza del film, la forza del potere femminile: l’intuizione che il potere stesso dispieghi tutta la sua potenza esclusivamente in modo indiretto. Ciò che muove Abigail, e che ha mosso sua cugina Sarah in primo luogo, non è la sete di comando, la bieca e semplice volontà di potenza. No. Le favorite sono mosse dalla necessità di trovare un rifugio sicuro. È sopravvivenza. È biologia. E la forza della pellicola risiede nella chiarezza con cui riesce a rappresentare questo concetto.

Potere dunque, accompagnato dalla libertà di fregarsene di tutto il resto. Un nudo e divertito parruccone di corte, in piedi contro un paravento, è intento a schivare le arance lanciategli contro da altri suoi pari. Sozzo e umiliato da un gioco infantile, lui ride a crepapelle finché non capitombola a terra. Questa e altre sequenze, tutte girate a ralenti – come la gara con le oche, appunto – esagerano l’indifferenza del palazzo nei confronti dei sudditi e della situazione socioeconomica della nazione. Della guerra contro la Francia non v’è singola inquadratura, così come non v’è n’è traccia nelle menti e nei cuori della corte. Il palazzo se ne frega, interessato da ambizioni personali ben più concrete, e così se ne fregano anche le due donne. Se ne fregano della guerra, se ne fregano del popolo e se ne fregano dei loro uomini: l’una, disposta a perdere il proprio marito in battaglia pur di mantenere saldo il suo rifugio a corte, l’altra, interessata al matrimonio per non rimanere più invischiata in una condizione umile e traballante. Nel susseguirsi di questi gesti feroci guidati dall’opportunismo, giocando su un disinteresse verso i singoli che fa eco al disinteresse verso i molti, il film muove una critica al potere e alla disinteressata ferocia che lo accompagna.
 

Il palazzo se ne frega, interessato da ambizioni personali ben più concrete, e così se ne fregano anche le due donne. Se ne fregano della guerra, se ne fregano del popolo e se ne fregano dei loro uomini


Lanthimos alterna ritmi concitati a sequenze distese, tagli frenetici a sequenze più lunghe, contribuendo a far scivolare lo straniante verso lo straziante: non quel mieloso strazio di una pellicola banale, bensì l’efficace strappo che la verità opera quando si assiste ad una messa in scena schietta e pertanto veritiera. Aiutato da questo riuscito artificio, il film non soffre i momenti un po’ troppo lenti o alcuni passaggi troppo raffazzonati, anzi, ne trae beneficio e accompagna lo spettatore verso il finale, unica nota dolente del film. Sì, perché con un lungo alternarsi di primi piani in dissolvenza tra Abigail e la regina Anna – qui sì, fin troppo calcati – il regista sovrappone le due donne, identificandole, contraddicendosi rispetto al pregresso della pellicola. Là dove aveva esaltato la vicarietà del potere, l’alterità della donna, ora vi sostituisce una banale sovrimpressione d’intenti, con una visione maschile del potere stesso, come se tutte le donne, in fondo, ambissero solo a comandare per il gusto di comandare. Sebbene un finale imperfetto possa essere in grado di rovinare un intero film, questo passo falso conclusivo non toglie nulla all’acume della riflessione de La favorita e alla ricerca di profondo respiro sul potere femminile che Lanthimos porta sullo schermo.

 

     «Se fossi un uomo abuserei di voi!»
IRL-UK-USA 2019 – Grott. 120’ ★★★


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