Joseph-Arthur de Gobineau

Ville d'Avray, 14 luglio 1816 – Torino, 13 ottobre 1882

Il conte Joseph-Arthur de Gobineau intraprende la carriera diplomatica nel 1849, sotto il Ministro degli Esteri francese Alexis de Tocqueville: con questo, da cui lo distingue l’avversione al colonialismo, scambierà dense lettere sul razzismo. È infatti la permanenza nella Persia dei Qajar (1854-8 e 1862-4) a confermare l’interpretazione razzistica della storia umana che è già compiutamente formulata nel suo capolavoro, il celeberrimo (ma poco letto) Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55). L’idea della razza in quanto definita dai legami di sangue e non dalla lingua, com’è per il contemporaneo Renan, induce Gobineau a trovare nella mescolanza delle genti la sua degenerazione (da cui l’orrore per gli Stati Uniti) e dunque a pensare la storia dei popoli ariani, germogliati in Asia, come un lungo declino, a causa del continuo contatto con sangue estraneo, specie quello della razza semitica: in Les religions et les Philosophies dans l’Asie centrale (1865), infatti, l’eccentrico conte sostiene che gli arii di Persia hanno sviluppato lo sciismo in risposta all’Islam che, come rielaborazione araba di precedenti dottrine giudeo-cristiane, è un’espressione bastarda dello spirito semitico. È però l’alto valore riconosciuto nell’Essai all’elemento germanico, come massimo testimone vivente della razza ariana e dunque unico mezzo possibile della rigenerazione dei popoli europei, a diffondere in Germania il pensiero di Gobineau: sua tributaria sarà anche la tradizione del razzismo nazionalsocialista, da Chamberlain a Rosenberg

 

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