Hitchcock di Sacha Gervasi

con Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Danny Huston, Jessica Biel

Tratto da Alfred Hitchcock and the Making of Psycho di Stephen Rebello, l’esordio al lungometraggio di finzione di Sacha Gervasi – autore del documentario  Anvil! The Story of Anvil e sceneggiatore di The Terminal di Spielberg – è un fittizio dietro le quinte con un titolo da biopic che strizza l’occhio agli amanti di Sir Alfred con toni ad un tempo drammatici, ironici e spesso sopra le righe.
Alfred Hitchcock (A. Hopkins) è sulla cresta dell’onda dopo il trionfo di Intrigo Internazionale e, considerato da tutti prossimo alla vecchiaia artistica, si mette alla ricerca di un’idea per il suo prossimo film. La trova in Psycho, scandaloso romanzo di Robert Bloch che racconta le vicende dell’assassino seriale Ed Gein. Il maestro della suspense si mette al lavoro per produrre la rischiosa pellicola assieme alla moglie Alma Reville (H. Mirren), compagna amorosa e artistica di una vita, che allo stesso tempo lavora ad un testo dello sceneggiatore Withfield Cook (D. Huston), il quale da tempo le fa la corte.

La strenua lotta per la buona riuscita di Hitchcock si combatte tra settore artistico e settore tecnico.
Spicca da un lato il mimetismo fisico – eccezionale il trucco di Howard Berger, Peter Montagna e Gregory Nicotero – e vocale di Hopkins – da apprezzare nella versione originale – alla testa di un cast invidiabile: una Helen Mirren della consueta classe e bravura, la bella coppia Scarlett Johansson/Janet Leigh e Jessica Biel/Vera Miles, un disinibito Danny Huston, un James D’Arcy dall’incredibile somiglianza con Perkins. Suntuoso allo stesso tempo il lavoro del reparto scenografico e fotografico: le scene di Judy Becker (Shame; The Fighter; Io non sono qui) e Robert Gould (The Artist; Poseidon; 58 minuti per morire) da una parte, dall’altra la luce di Jeff Cronenweth (Fight Club; The Social Network), figlio del Jordan di Blade Runner.
La sceneggiatura invece, in bilico perenne tra il thriller e la storia d’amore, ha il demerito di portare l’attenzione dall’interessante genesi di Psycho – seppur corredata da fastidiosi e irrisolti inserti da psicanalisi domestica tra il regista ed Ed Gein – ad un flirt artefatto e sterile tra la Reville e Cook, co-sceneggiatore di Paura in palcoscenico. Distratto da una sottotrama amorosa con manie di protagonismo, il plot si perde nei labirintici meandri del sentimento accantonando presto il ben più interessante aspetto cinematografico. Tutto ciò che c’è di buono nella prima mezz’ora di testo poi, viene massacrato al montaggio da Pamela Martin, che nonostante le firme su Little Miss Sunshine e The Fighter assembla sconsideratamente il buon lavoro di Sacha Gervasi.

Il vero traino di Hitchcock è lo straordinario Anthony Hopkins, che gioca con la figura smaliziata del regista londinese e si diverte a connotarlo di piccoli gesti ed espressioni, riuscendo a tratteggiare un personaggio con il solo maneggiare un bicchiere di vino o con il rigirarsi una foglia secca tra le dita. E pur non bastando la sua dimensione a dare una dimensione al film, a donargli coerenza e completezza, restano la sua grande prova, la particolare cura estetica, la gustosa serie di citazioni e ammiccamenti che culminano nello squisito monologo finale: Hitchcock, che dopo il successo di Psycho è di nuovo in totale mancanza di ispirazione, si augura che presto arrivi qualche nuovo spunto. E un corvo gli si posa sulla spalla.
 

«Ho aspettato trent’anni per sentirti dire questa cosa»
«È per questo, mia cara, che mi chiamano il ‘maestro della suspense’»


USA 2012 - Dramm. 98' **½


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