A spasso tra i capolavori del Novecento

Il pantarèi di Ezio Sinigaglia e il suo viaggio letterario tra Proust e Joyce, Musil e Kafka, Svevo e Faulkner

Copertina color senape scuro, al suo interno un cerchio a sfondo bianco con dentro una macchina da scrivere, che dallo scaffale in libreria ti osserva con sguardo acchiappesco: va dritta al punto; din!, infine a capo. Prendi il libro, lo rigiri fra le mani, lo sfogli, ti casca l’occhio sulla bandella sinistra. Leggi: «Lettore ideale: chi ama la letteratura del Novecento e i suoi capolavori; chi predilige la varietà dei registri, l’invenzione stilistica e narrativa, l’umorismo; chi preferisce una lettura avventurosa e prodiga di sorprese a una facile e avara». Una volta finito il romanzo, nella tua recensione esordirai scrivendo così: Il pantarèi di Ezio Sinigaglia (Terrarossa Edizioni, 2019) è una lezione teorico-pratica di letteratura europea contemporanea, da leggere e rileggere.

Daniele Stern ha ventotto anni ed è un «poligrafo senza occupazione»; nonostante la sua giovane età ha già svolto qualsiasi tipo di lavoro nel campo editoriale. Una grande casa editrice con cui lavora spesso come consulente esterno lo contatta per redigere una breve storia del romanzo del Novecento, che fungerà da capitolo conclusivo di una Enciclopedia della donna già in fase di ultimazione. Infatti il lavoro deve essere consegnato entro breve, ma è pagato bene e Stern non se lo lascia scappare, da buon manovale culturale che può solo accettare quello che gli viene offerto. La posizione di Stern ricorda quella del Bianciardi della Vita agra, il cui occhio però era più critico, astioso; invece il giovane collaboratore si approccia ai colossi editoriali con timoroso rispetto, seppur falso poiché sottende all’ironia: «Eccoci. Tempio della Sapienza. Fabbrica instancabile di Cultura. Un istante di doveroso raccoglimento. Sarò degno?».
 

Proust, Joyce, Musil, Svevo, Kafka, Céline, Faulkner, Robbe-Grillet. Saranno questi gli autori a cui si dedicherà il protagonista Daniel Stern tra una digressione e l’altra


L’intero lavoro enciclopedico ancora non è nato e già sembra vecchio («Effettivamente, è un’opera d’impianto tradizionale. Ma il mercato, purtroppo. Le cose nuove non si vendono, lei me lo insegna, caro Stern»), ma poco importa: stabilito il da farsi con la redattrice, Stern si mette subito a lavorare, prima di tutto ridefinendo la scaletta di partenza: Proust, Joyce, Musil, Svevo, Kafka, a cui si aggiungono Céline, Faulkner e Robbe-Grillet. Saranno questi gli autori a cui si dedicherà tra una digressione e l’altra – una cena con gli amici, il tentativo di riconquistare la moglie che lo ha lasciato, l’incontro con una ragazza, l’incontro con un ragazzo – mentre a lungo andare diverrà sempre più urgente il bisogno di scrivere qualcosa di proprio: un romanzo, il romanzo, magari sulla scia dei grandi di inizio secolo.

Per dirla con Walter Siti, Il pantarèi traguarda la letteratura come un fine. La struttura del romanzo si poggia su due pilastri portanti, la dimensione saggistica e quella narrativa, quest’ultima connotata da un alto tasso di sperimentalismo stilistico: ogni volta che il protagonista redige la parte saggistica dedicata a un autore, quella narrativa che segue viene scritta riproducendo lo stile (comprensivo di atmosfere, musicalità, sintassi, inventiva lessicale) di quello stesso autore – un lavoro letterario immane, che dà vita a un romanzo metamorfico, unico nel suo genere. Per fare un esempio, è sufficiente riportare la chiusa di Stern su Proust, seguita dall’inizio della sua passeggiata post-lavoro; se ne dedurrà, senza troppa fatica, che il piano metaletterario del romanzo è rappresentativo del romanzo stesso.
 

Non si può certo ridurre nei panni angusti di una formula la complessità dell’opera proustiana. Ma è forse soprattutto in questo che sta il suo fascino: la magica prosa di Proust, nastro scorrevole che tiene in continua comunicazione il presente con gli altri tempi della vita, restituisce l’uomo alla propria storia individuale, restituisce la propria individuale storia ad ogni cosa, accende tutto ciò che tocca del medesimo incanto, in una fantastica, inarrestabile epidemia di luce.
Basta. Almeno un’ora di ricreazione. Una passeggiata mi farà bene.
 

***

Un sole vivido ora e nell’aria ferma come un trepido (o tiepido) un trepido tepore, un soffio ricordo d’estate, mentre io, Daniele Stern è il mio nome, mentre Stern calpesta, ma dunque ma dunque chi sono?, calpesto ecco, cric, con suola di gomma di scarpa nuova, cric, una foglia secca d’autunno e a parte questo con suole di gomma silenzioso è il suo passo, ma dunque, silenzioso di chi?, di Stern silenzioso, silenzioso è il mio passo, a passo silenzioso passeggio in questo assolato dopoproust. Dopoproust di passo nuovo foglie secche trepido calpesto.


Da Proust, Stern impara a scardinare i meccanismi della memoria, da Joyce a giocare con suono e lessico per riprodurre le sensazioni e i pensieri che accalcandosi fuoriescono dalla coscienza («Sonneglio o vegliecchio? Sesto o son doglio?»), da Musil a calarsi nei panni di un Amleto auto-ironico («E così sarebbe stato per sempre: definitivamente provvisorio. Questa etichetta gli piacque e lo confortò: è molto bello, si disse, sentirsi qualcuno»). Nel raccontare lo smantellamento della tradizione letteraria ottocentesca da parte dei modernisti, Stern si appropria dei loro insegnamenti per destrutturare il romanzo contemporaneo al fine di dimostrare, come spiega Sinigaglia in prefazione, «che il romanzo non era affatto morto», nonostante negli anni Settanta – periodo di stesura del Pantarèi – la critica continuasse a sostenere il contrario.

Eppure, all’autore non basta riadattare il modello stilistico-formale modernista alla contemporaneità per tracciare la differenza tra romanzo modernista e contemporaneo. Sempre nella prefazione, l’autore afferma che il vero scarto tra i due tipi di romanzo è dato da due elementi: sessualità e ambiguità. Nel Pantarèi questi elementi si incarnano proprio in Stern, che ama sia uomini che donne, sebbene abbia timore che la moglie per tornare con lui gli imponga di non vedere più i ragazzi. Al solo pensiero Stern si sente incerto, diviso, scisso:
 

No, se quella era la condizione, avrebbe dovuto considerarsi sconfitto. Anche se, sul momento, avrebbe avuto certamente la tentazione di dire: «Sì, rinuncio a tutto. Ti rivoglio con me». Impossibile. Era vero, questo sì, che neppure cento ragazzi avrebbero potuto sostituire Anna. Ma era anche vero che Anna non poteva, di tanto in tanto, trasformarsi in ragazzo. Si sentì profondamente e irrimediabilmente infelice. Mai più sarebbe riuscito a conciliare i due Stern che si agitavano in lui. Era solo davanti alle proprie contraddizioni: incapace non soltanto di scegliere, ma persino di compromessi.


Saggio e narrativa; amare l’uomo o la donna: il dualismo di elementi posti in accordo o opposizione è centrale nel romanzo, e prende forma anche in alcuni divertissement letterari scritti da Stern, come il racconto in due puntate La scissione del ragionier Sperindio che narra del giorno in cui Pierangelo Sperindio, durante la pausa pranzo, si ritrovò diviso in Piero Speri e Angelo Ìndio; o i primi capitoli del romanzo L’altro Sax, con protagonista tale Dario Sax, evidente avatar di Daniele Stern. In entrambi, l’intento è di documentare lo spezzarsi dell’Io da entità unitaria a duplice e il trauma che ne deriva, ora in modo giocoso e grottesco, ora in termini più esistenzialisti.
 

Il pantarèi è saturo di spunti, alcuni più intellegibili, altri più fuorvianti come il titolo, che rimanda alla legge eraclitea del tutto scorre, fluisce, muta ma vuole elogiare ciò che si trova fuor del pantarèi


Il pantarèi è un fenomeno composito di difficile definizione, saturo di spunti, di cui alcuni più intellegibili, altri più fuorvianti come il titolo, che seppur rimandando alla famosa legge eraclitea del tutto scorre, fluisce, muta vuole invece elogiare ciò che si trova «fuor del pantarèi», come «i buchi neri. Ammesso che esistano davvero. La letteratura. Ammesso che esista ancora. Il romanzo come forma d’arte. Ammesso che non sia morto negli anni Settanta del Ventesimo secolo o negli anni Dieci del Ventunesimo».
Di contro, è mutato il contesto letterario entro cui il romanzo si inserisce: nell’85 – anno di prima pubblicazione del Pantarèi – il testo di Sinigaglia fu costretto tra i fuori catalogo molto in fretta, mentre adesso, da quando ha ritrovato il suo posto in libreria, sta continuando a ottenere riscontri positivi, tra cui anche il terzo posto nella prima Classifica di qualità indetta dall’Indiscreto qualche mese fa. Una giusta rivalutazione per un romanzo pregevole che è una dichiarazione d’amore verso la letteratura tout-court, un dialogo con i grandi prosatori del passato che mescola audacia e deferenza, nel costante tentativo di andare oltre – e per questo merita di essere letto.

 

In copertina: Princess portable typewriter via typewriters.ch


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