Umano troppo umano

Storia d'amicizia tra un ariano di Germania e un nero dell'Alabama - Sport & Storia

Sebbene l'uomo sia attratto da secoli dallo sport, guerra senza morti, per la passione intrinseca che ha per la sfida, lo scontro, la sofferenza sublimata da un risultato conseguito, niente gli è più irresistibile dei momenti in cui quest'umanità ribollente di ardimento agonistico diventa troppo umana. Da qui scaturisce tutto l'impianto ideologico delle Olimpiadi decoubertiniane, la religione del fair play, alcune grandi istantanee, su tutte Coppi e Bartali che si passano una borraccia come due bambini al giardino sotto casa, e storie così troppo umane da apparire incredibili, come quella dell'amicizia tra Luz Long e Jesse Owens.

Il legame affettivo, nato tra l'altro sullo sfondo delle olimpiadi naziste del '36, tra un arianissimo di Germania e un nero dell'Alabama sembra essere la base per la sceneggiatura di un blockbuster, ma è semplicemente Storia.
Storia che entra un pomeriggio agostano sul campo dell'Olympiastadion di Berlino, fiore all'occhiello di un olimpiade organizzata, in pieno stile nazista, fin nei più minimi dettagli, così da essere per il Führer biglietto da visita nei confronti del mondo intero, una dichiarazione universale di capacità gestionale, disponibilità di mezzi e forza, gemella non insanguinata della dichiarazione di guerra che verrà recapitata in Polonia tre estati più tardi.
Storia che sceglie di manifestarsi attraverso due tipi di uomini e di atleti completamente diversi, con Long che arriva alla finale del salto in lungo con l'onere di essere l'ultima speranza per Hitler di ottenere un buon risultato nell'atletica leggera, che, contrariamente alle altre discipline, non era stata dominata dai tedeschi, e con Owens che al contrario si appresta a saltare con la consapevolezza dell' oro già conquistato i giorni precedenti, nella disciplina dei 100m (vincerà poi anche quella dei 200m e dei 4x100m, record assoluto nell'atletica leggera di ori vinti in un'olimpiade, solo eguagliato dal connazionale Lewis nell'84) e sopratutto del record del mondo, che resisterà per altri ventiquattro anni, ottenuto l'anno precedente ad Ann Arbor.

Durante le semifinali però la consapevolezza e lo stress dato dalla contemporaneità con le batterie dei 200m sembrano giocare un brutto scherzo all'atleta americano, che si dimostra poco lucido e vede quindi vicina la fine del sogno olimpico nella disciplina del lungo, essendogli rimasto un unico salto per agguantare la finale. Ed ecco che accade l'impossibile, il troppo umano, il realizzarsi del più dolce dei sogni di quel profeta mancato di Pierre de Fredy, Barone di Coubertin: Luz Long, accreditato come sfidante più attendibile di Owens, e quindi primo beneficiario di una sua esclusione dalla finale, gli si avvicina, lo conforta e lo rassicura sulle sue capacità e sopratutto segnala con uno straccio posato accanto alla pedana il punto di stacco ideale per un salto valido per la qualificazione. L'americano, dopo un probabile e comprensibile sbigottimento per un gesto che sarebbe sembrato incredibile se fatto da un Wasp dell'Alabama, figurarsi da un nazista di Lipsia, riacquista fiducia nei propri mezzi, stacca nel punto segnato dal nuovo amico e vola verso la finale.
Nello scontro per l'oro la carica data dalla risurrezione sportiva delle semifinali permette a Owens di saltare più di tutti gli avversari, compreso il biondo tedesco, fino a quei 8,06 m lontani dagli 8,13m del record mondiale ma comunque sufficienti per mettersi al collo la quarta medaglia iridata dell'Olimpiade.

Purtroppo per noi tutti qualche professionista della menzogna, qualche teoretico della dietrologia, qualche ideologo del giornalismo sensazionale a tutti i costi, non contento del già edificante materiale da costruzione per la scrittura offerto da questa vicenda, volle rincarare la dose nella maniera più facile, ponendo il troppo umano contro l'inumano.
Un impegno improvviso per un uomo che aspirava a diventare il più potente del mondo, sicuramente non entusiasta per la sconfitta del suo pupillo, ma probabilmente ammaliato come l'intero popolo dell'Olympiastadion per un atleta dimostratosi meritatamente il migliore della kermesse, diventa nella retorica giornalistica un'uscita frettolosa dallo stadio del Re dei razzisti di tutto il mondo, rifiutatosi di omaggiare un nero. Sarà proprio il presunto offeso a smentire anni dopo nella sua autobiografia, ricordando anzi che prima di lasciare lo stadio il F
ührer si era speso in un saluto dalle tribune.
Ed ecco quindi Jesse Owens, il quattro volte campione olimpico nell'atletica leggera scavalcato nella nomina ad “atleta dell'anno statunitense” da un decathleta qualunque, l'atleta dei record nato dell'etnia sbagliata, e per questo non ricevuto alla Casa Bianca da un Roosevelt troppo bisognoso dei voti del Sud per permettersi di complimentarsi con un nero, nel paese che ama e amava proclamarsi più di ogni altro giusto, diventare simbolo della lotta al razzismo. Questo status non gli impedì comunque di essere di fatto ostracizzato in patria e quindi di essere costretto negli anni a venire a sfidare come un fenomeno da baraccone in gare di corsa dei cavalli per racimolare qualche soldo.


Long, tutelato dalla politica di sostegno agli sportivi, un classico delle dittature di ogni tempo, tenuta dal nazismo, sembrò aver davanti un futuro molto più roseo di quello dell'amico, col quale si continuò a tenere in contatto periodicamente, con una carriera di saltatore condita di successi, una laurea in giurisprudenza pronta per mantenere la famiglia dopo il ritiro dalle piste e sopratutto uno status di atleta di caratura internazionale ritenuto sufficiente per evitare la chiamata alle armi nel conflitto scoppiato nel '39.
Tutto sembrò andare secondo i piani fino a quando, a fine '42, con le sorti della guerra in repentino capovolgimento fu necessario per l'esercito del Reich chiamare alle armi anche il più importante esponente dell'atletica leggera tedesca.
Spedito l'anno successivo in terra di Sicilia col grado di sergente maggiore, trent'anni appena compiuti e le lettere dell'amico, americano come l'esercito da combattere, strette al petto, Carl Ludwig Long morì in sordina in un luglio segnato da colpi di scena troppo Grandi e dall'incedere in tutta Europa del figlio primogenito della Guerra, l'inumano, perchè la scomparsa dell'umano troppo umano potesse far notizia.


Parte della serie Sport & Storia

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