Tulpa - Perdizioni mortali di Federico Zampaglione

con Claudia Gerini, Michela Cescon, Michele Placido, Ivan Franek, Nuot Arquint

Lisa Boeri (C. Gerini), avvenente donna in carriera, frequenta il club privato ‘Tulpa’ in cui di notte, nei locali nascosti di un garage sotterraneo, si consumano i desideri sessuali più reconditi di (e tra) sconosciuti, liberi di agire nella promiscuità e a cui il regolamento vieta di conoscere l’identità l’uno dell’altro. Dopo una serie di delitti avvenuti a seguito di atroci torture per mano di un serial killer, Lisa scopre che le vittime sono tutte suoi ex partner, motivo per il quale, quanto mai sconvolta e profondamente impaurita, prova a indagare per conto proprio nel tentativo di salvare l’ultimo, Stefan (I. Franek). Oramai disperata e mal vista anche nella dimensione lavorativa, decide di confidare tutto all’amica Giovanna (M. Cescon).
Al suo terzo lavoro cinematografico, a seguito della commedia Nero bifamiliare e dell’horror Shadow, Zampaglione rispolvera ancora una volta un cinema nostrano d’altri tempi, spesso snobbato in quegli stessi anni in cui i vari Argento, Fulci, Bava e via dicendo ne furono, sia pur con risultati alterni, dignitosi esponenti, e già da tempo non più battuto in Italia. Scritto in collaborazione con Giacomo Gensini, coadiuvato dalla supervisione e dai benefici del tocco, a dire dello stesso regista, «macabro e velato di sadismo» di Dardano Sacchetti, specialista del settore, già collaboratore di Argento ne Il gatto a nove code, e girato con una semplice reflex (5D), il film ha ottenuto una calorosa accoglienza allo scorso Frightfest, noto festival londinese dedicato al genere.

Il regista romano mette in scena una storia in cui gli uomini, per sua stessa ammissione, sono pedine di una scacchiera femminile; sullo sfondo, le fascinazioni del quartiere Eur, luogo sospeso nel tempo, perfettamente congeniale alla paradossalità  della separazione e dell’incontro tra dimensione materiale e dimensione metafisica cui il titolo, nelle esplicite allusioni al buddismo, rinvia.
«Di giorno ispira professionalità, con i suoi spazi grandissimi, gli uffici e i palazzoni pieni di stanzette colme di gente che lavora. Di notte diventa torbido, c'è poca gente in giro, è desolato e ti dà l'idea che coltivi una vita sotterranea. Sembra anch'esso rimasto agli anni '60» – confessa Zampaglione.
Fedele, fin troppo, alla dimensione di genere cui fa riferimento, riesce con equilibrio nel ricalcarla quanto a struttura ed espedienti narrativi, mantenendone però intrinseci lacune e scadimenti. In ciò sta dunque anche il limite di un film le cui suggestioni rinviano inevitabilmente a un ‘già visto’ che, pur riportato in luce, più non sconvolge e che poco ha da dire, nonostante l’innegabile efficacia di alcune sequenze in parte godibili anche dal punto di vista estetico.
Ampiamente sottotono e ben al di sotto delle potenzialità espresse altrove i vari Gerini, Cescon e Placido, di certo non agevolati da dialoghi spesso imbarazzanti e dal risultato nefasto di un auto-doppiaggio a larghi tratti al limite del ridicolo. In tal senso, al di là della credibilità dei loro personaggi, migliori le interpretazioni secondarie di Ivan Franek – perché doppiarlo rinunciando alla sua voce graffiante? – e dell’inquietante, efficace Nuot Arquint, già utilizzato da Zampaglione in Shadow.

Entro questi margini di percorribilità il coraggio registico di Tulpa, indubbio sia pur oltre i risultati non esaltanti, non disturba, riuscendo probabilmente persino ad aggradare gli amanti del genere. Problemi di ben altra levatura sorgerebbero qualora fosse avanzata la folle pretesa di scorporarlo dalla cornice del semplice intrattenimento filmico, cui solamente può essere circoscritto, che ne facesse inutile aspirazione che si eleva a velato sguardo critico sulle ombre della società in cui oggi viviamo. 

 

 

«La tua vita è arrivata a un nodo.
Per scioglierlo devi arrenderti al tuo Tulpa
»

ITA 2012 – Horr. 82' **


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