The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese

con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Rob Reiner, Matthew McConaughey

Dopo il passo falso di Hugo Cabret Scorsese, con alla fotografia il Rodrigo Prieto assiduo collaboratore di Iñárritu, Ang Lee e Stone di cui ha fotografato anche l’analogo Wall Street: il denaro non dorme mai, torna a dirigere un DiCaprio in una forma strepitosa premiato ai Golden Globe e in odore di Oscar.
1987. Jordan Belfort (L. DiCaprio) approda a Wall Street con moglie al seguito giovane, ingenuo e pieno di speranze con il sogno di diventare broker di successo. Lavora duro alla Rothschild dove lo protegge Mark Hannah (M. McConaughey), vate dell’alcol, del sesso e della cocaina. Caduto in disgrazia al primo giorno da broker nel lunedì nero della borsa, si rimette in piedi con il nuovo socio Donnie (J. Hill) con cui arruola gli amici della strada e istruendoli all’arte della truffa mette su uno studio che presto diventa società: la Stratton Oakmont, da cui in un turbine inarrestabile di eccessi inizia la scalata al successo.

Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Belfort e sceneggiato da Terence Winter, tra gli autori de I Soprano e di Boardwalk Empire di cui Scorsese ha diretto il pilota, The Wolf of Wall Street vanta un cast variegato costellato di registi: Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee) è il proprietario baffuto del piccolo studio da cui Jordan comincia l’ascesa, Jon Favreau (Iron Man) è il legale della Stratton, il grande Rob Reiner (Stand by me – Ricordo di un’estate, Harry ti presento Sally, Misery non deve morire) è Mad-Max Belfort, il suo impagabile padre.
Con una Margot Robbie duchessa dagli occhi di ghiaccio e un DiCaprio mattatore nel ruolo di wolfy, broker infingardo e geniale che testa i suoi collaboratori chiedendo loro di vendergli una penna, il 24esimo film del regista italoamericano trasuda nella messinscena e nella durata della sovrabbondanza dello stile di vita del suo protagonista. Scorsese racconta la storia dei fondatori della Stratton Oakmont come un’ascesa dei goodfellas che tanto gli stanno a cuore, ancor più spietati nel polverizzare le vite di investitori ignari di avere una pistola puntata alla testa in forma di cornetta. Se l’avidità è il primo motore delle gesta emulate di un Gordon Gekko che non ci si è dimenticati di omaggiare, il sesso e la droga consacrano nell’eccesso la comunione di vite vissute in nome del dio denaro.

A differenza di Stone, la finanza di Scorsese non è inseguita dal fantasma cupo del male, velata di oscuri trabocchetti e pronta a stenderti al primo errore, ma è la terra delle opportunità, l’emblema di un’America animata dalla spensieratezza di chi sa di poter andare oltre le regole e giocare sporco senza rischi. E in questo vivere sopra le righe dove droga e sesso sono regola il regista newyorkese si diverte con i suoi protagonisti – dagli spassosi siparietti del padre Mad-Max ai dieci formidabili minuti di Jordan e Donnie sotto l’effetto del Lemmon 714 – perché «le esperienze di Jordan fanno ridere e questo ti avvicina al personaggio, perché mentre guardi pensi: “Questo sembra essere divertente!”. Ed è vero, quei ragazzi si sono divertiti molto». Aiutato in questo da un grande lavoro di squadra dove tutti fanno la loro parte, dalla combriccola capitanata da Jonah Hill al banchiere svizzero di Jean Dujardin, e DiCaprio rimane in testa – un Jordan che cerca di fuggire con la figlia e fallendo piange lacrime di sangue, lasciato cadere in una disfatta che per chi può pagare abbastanza non è mai tale – , è il mentore di uno straordinario McConaughey a lasciare il segno su tutti in un solo folgorante quarto d’ora.

Alla quinta opera insieme a un DiCaprio che «non ha paura di abbracciare alcune delle cose più negative della natura umana, ed è una grande cosa perché necessita di fiducia», Scorsese gli si affida e il giovanotto cresciuto con lui lo ripaga, a detta del regista stesso: «Penso che la fiducia sia lì», sullo schermo, «è questo quello che conta». Ubriaco, sobrio, fatto, contenuto, arrabbiato, sballato, eccessivo regge tre ore di ritmo instancabile e di indiscutibile eleganza formale insegnando ai suoi bravi ragazzi a vendere penne a cinque volte il loro valore, si guadagna il sentimento malato di altrettanti squali in cerca di successo, affetto corrosivo e contagioso, che culmina in una sequenza assordante in cui il branco si batte il petto al canto dell’avidità. E anche se c’è ancora qualcuno che critica la messinscena di una vita spericolata come se il cinema avesse necessità morali, una cosa rimane certa, come vende le penne Scorsese, non le vende nessuno.
 

«Regola Numero Uno: prendere i soldi dalle tasche
del tuo cliente e metterli nelle tue»


USA 2013 – Bio. Dramm. 179' ***


Commenta