La traduzione come lavoro di squadra

Michele Hutchison sul lavoro di traduzione di Grand Hotel Europa

Il 19 giugno 2019, a mezzogiorno in punto, in attesa sul molo fuori dal Rijksmuseum di Amsterdam, vedo spuntare sotto il porticato lo scrittore Ilja Leonard Pfeijffer, ben vestito, la sua figura imponente e familiare. Attraversa la strada seguito da un gruppo di editori muniti di ombrelli. La casa editrice olandese De Arbeiderspers, che pubblica le opere di Pfeijffer, aveva deciso di festeggiare la vendita dei diritti del romanzo Grand Hotel Europa con un incontro. Avevano invitato non solo gli editori stranieri, ma anche i traduttori, per un dibattito sul futuro dell’Europa, firmare i contratti e fare un giro in barca lungo i canali.
 

Tradurre in inglese le mie stesse parole è stata un’esperienza bizzarra e divertente


Quando tradussi il romanzo d’esordio di Pfeijffer, Rupert, nel 2007, avevo appena iniziato la mia carriera di traduttrice e non sapevo in cosa mi stessi cacciando. Grazie al cielo il libro era breve: mi ci volle un anno per comprendere l’olandese, interpretare lo stile letterario spiritoso e renderlo in un inglese che risultasse in qualche modo appropriato. Atterrita dall’idea di sbagliare, mi ero recata a Genova, la città adottiva di Pfeijffer, per fargli mille domande puntigliose sul libro. Il viaggio si rivelò di grande aiuto quando iniziai a tradurre il suo romanzo successivo, La Superba, che è ambientato proprio lì. Fui in grado di fare riferimento alle foto che avevo scattato e ricordare la passeggiata in cui Ilja mi aveva fatto da guida per la città, momento che è stato rielaborato e inserito nel romanzo sotto forma di un personaggio che ripete alcuni commenti fatti da me al tempo. Tradurre in inglese le mie stesse parole è stata un’esperienza bizzarra e divertente.
 


Stacco. Dieci anni dopo stavo per affrontare la traduzione in diciotto mesi del best seller Grand Hotel Europa, un avvincente romanzo filosofico in parte ambientato in un vecchio Grand Hotel centroeuropeo, ormai decadente. Davanti a me avevo centotrentamila parole e una vastità di registri. Vista la popolarità del romanzo nei Paesi Bassi, appena dicevo a qualcuno che lo stavo traducendo, venivo accolta da commenti stupiti, del tipo: «Caspita, devi essere proprio brava se ti hanno commissionato un’opera come quella». Nessuna pressione, eh. Nella mia testa, mi vedevo sgobbare su quel libro per conto mio, una pellegrina solitaria, vagabonda per le strade di Venezia su Street View di Google Maps. Avrei riletto La montagna incantata e riguardato Grand Budapest Hotel, sarei sprofondata nel buco nero delle ricerche spasmodiche in cui noi traduttori finiamo sempre per infilarci. E invece, quel giorno fatidico di giugno, incontrai altri tre traduttori: Leonor, Gonzalo e Lutz, che lavoravano rispettivamente in portoghese, spagnolo e croato. Mentre bevevamo lo champagne che ci era stato offerto e guardavamo i nostri editori firmare contratti e posare per le fotografie, decidemmo di incontrarci regolarmente per discutere le sfide traduttive trovate lungo il percorso. Tuttavia, poco dopo il nostro primo incontro, a cui si erano uniti altri traduttori che ero riuscita a rintracciare, la francese Françoise, il tedesco Ira e il macedone Zoran, iniziò la pandemia. Ci ritrovammo confinati nelle nostre case. Ormai, però, avevamo una corrispondenza regolare via e-mail. Hedda, la traduttrice norvegese, si era aggiunta al gruppo che andava crescendo e aveva creato una pagina e un indirizzo e-mail per facilitare ulteriormente le comunicazioni. Sapere di non essere l’unica traduttrice alle prese con il testo, percepire l’operosità nel lavoro all’unisono e poter chiedere aiuto mi confortava profondamente.
 

Sarei sprofondata nel buco nero delle ricerche spasmodiche in cui noi traduttori finiamo sempre per infilarci


Condividevamo anche aiuti visivi. Per esempio, Françoise aveva recuperato l’immagine di uno stemma citato nel libro, che fu estremamente utile perché nessuno di noi sapeva molto di terminologia araldica. Leonor aveva trovato una fotografia della cappella di famiglia nella chiesa di Santa Maria di Nazareth, Lutz si era accorto di diversi refusi, discutevamo la corretta ortografia della parola greca eútektos/eútuktos, ci scambiavamo informazioni riguardanti i cavalieri di Malta. Françoise ci aveva fatto notare una citazione del Macbeth nascosta a pagina 19, Zoran ci spiegava la storia macedone. Parlavamo dei passaggi in cui l’intreccio di Caravaggio si allontana dalla realtà storica scivolando nella finzione, e degli altri sorprendenti fatti che pensavamo fittizi e invece si erano rivelati reali. Una cosa che molti di noi fecero fatica ad affrontare furono le scene di sesso, imbevute di umorismo olandese: dovevamo adattarle alle nostre norme culturali oppure no? Erano sessiste o forse no? Irina, la traduttrice romena, mi ha scritto: «Per quanto mi riguarda, la sfida più grossa è stata tradurre le scene di sesso. Forse sbaglio, ma le ho trovate un misto di poesia e di pornografia e ho dovuto scegliere le parole con cura per ottenere lo stesso effetto».

Col passare delle settimane accogliemmo nuovi membri: Tibor, Ryszard, Sanna, Maria e altri. Stendevano liste di domande da porre all’autore cosicché lui potesse risolvere tutti i dubbi in un colpo solo. Attualmente il gruppo conta diciotto traduttori e, sebbene alcuni si siano uniti in un secondo momento, la maggior parte di noi ha già terminato la traduzione. A questo riguardo Irina ha aggiunto: «Sfortunatamente, per me non è stata una vera collaborazione perché ho potuto iniziare solo quando molti di voi avevano già finito, ma leggere i vostri commenti è stato molto utile. Un esempio è la frase a pagina 84 che paragona per dimensioni un luogo al comune olandese di Barneveld. Grazie al fatto che voi vi eravate già messi in contatto con Ilja, sapevo quale fosse la sua preferenza (trovare un posto delle stesse dimensioni nei nostri Paesi così da rendere l’idea per il lettore). Le sue risposte e le vostre discussioni mi hanno aiutato a risolvere anche altre difficoltà traduttive». Il gruppo di traduttori continua a condividere buone notizie. L’edizione tedesca, la prima a essere pubblicata, è stata largamente recensita: è rimasta nella lista dei best seller dello Spiegel per tre settimane ed è alla quinta ristampa. L’edizione portoghese ha ricevuto una calda accoglienza ed è stata ristampata, l’edizione norvegese ha avuto recensioni entusiastiche e sta vendendo bene, e l’edizione americana è stata recensita dal New York Times. Radka mi ha scritto: «Una collaborazione di questo tipo crea un legame. Quanto mi piacerebbe avere un gruppo così per ogni libro che traduco :-)».
 

Leggere per tradurre è un atto completamente diverso dalla semplice lettura, e spesso è un’esperienza solitaria


Nel frattempo, è nato un sottogruppo: quelli tra noi che hanno iniziato a tradurre il secondo romanzo di Marieke Lucas Rijneveld. Hedda ha scritto: «Ho apprezzato particolarmente di entrare in contatto con colleghi che, come me, sono immersi nel testo e hanno domande e commenti a cui la maggior parte dei lettori non penserebbe. Leggere per tradurre è un atto completamente diverso dalla semplice lettura, e spesso è un’esperienza solitaria. In questo modo ho potuto partecipare a una discussione sui problemi traduttivi in lingue diverse, assistere a svariate interpretazioni di passaggi del romanzo e scambiare opinioni riguardo a ogni genere di cose. Mi sono divertita! Ed è stato anche utilissimo, specialmente perché talvolta qualcuno ha fatto notare cose che a me erano sfuggite. Sono sicura che la mia traduzione sia migliorata di conseguenza».
È nata una tradizione.

Grand Hotel Europa è stato tradotto dai seguenti traduttori (e altri): Ira Wilhelm (tedesco), Radovan ‘Lutz’ Lučić (croato), Maria Leonor Raven (portoghese), Sanna van Leeuwen (finlandese), Radka Smejkalova (ceco), Gonzalo Fernández Gómez (spagnolo), Irina Anton (romeno), Jolita Urnikytė (lituano), Maria Encheva (bulgaro), Françoise Antoine (francese), Hedda Vormeland (norvegese), Michele Hutchison (inglese), Ekaterina Assoian, Irina Michajlova, Irina Leichenko (russo), Inbal Silberstein (ebraico), Tibor Bérczes, Miklós Fenyves (ungherese), Claudia Cozzi (italiano), Zoran Radicheski (macedone), Mila Vojinović (serbo) e Erhan Gürer (turco).
 


 

Michele Hutchison è una scrittrice e traduttrice britannica. Nel 2020 ha vinto l'International Booker Prize per la sua traduzione de Il disagio della sera di Marieke Lucas Rijneveld. Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 08/09/2022 ► Do We Need a Support Group? How Translation Can—and Should—Be a Collective Effort | Traduzione di Giulia Patanè

 


Commenta