Un fantasma è un ricordo

Il racconto di notte in una casa infestata

La proprietaria, Amy (ovviamente un nome di fantasia), è una donna gentile e minuta di circa quarant’anni. Gestisce una libreria dedicata ai fantasmi in una piccola città del sud, di cui non svelerò nulla per il vostro bene. In fondo, questa è una storia di fantasmi e, soprattutto, una storia vera. A quanto pare, la libreria non si focalizza sul genere dell’orrore, ma sulla narrativa rosa. Amy stessa passa le serate libere scrivendo romanzi erotici d’ambientazione storica.
«Alcuni clienti a volte si lamentano perché l’atmosfera non è abbastanza spettrale», mi confida quando le chiedo del tema del negozio. «Ma io rispondo che è infestato dai fantasmi della grande letteratura». Agita le mani in aria come se ne stesse evocando la presenza.
«Mi sembrano solo scuse, ma vabbè», penso tra me e me.
 

In fondo, questa è una storia di fantasmi e, soprattutto, una storia vera


Da qualche mese sono in tour per promuovere il mio primo libro, The Lumberjack’s Dove, un lungo poema in prosa ispirato al folclore. Questa pubblicazione rappresenta per me un’opportunità straordinaria e ho voluto “fare le cose per bene”, perciò ho deciso di trascorrere otto mesi in viaggio presentando il mio libro a un centinaio di eventi dal vivo, ogni volta in una città diversa. Ah, quasi dimenticavo, durante queste letture c’erano anche delle marionette, ma quella è un’altra storia. Questa storia è già abbastanza maledetta di per sé, non c’è bisogno di aggiungerci dei burattini.
La presentazione di questa sera è andata bene. Il pubblico era ridotto, ma affettuoso, e ho venduto un paio di copie. Mentre mi preparo per andare via, Amy mi chiede dove passerò la notte e io le rispondo che, come molte altre notti di questo tour, cercherò una strada residenziale tranquilla e mi rannicchierò nel sedile posteriore della mia macchina. «Ah!», esclama lei. «Vieni a stare da me, ho un posto libero».
Fuori, il crepuscolo è agitato dal vento e dalla pioggia battente che non sembra voler smettere. Ho un bel sacco a pelo… ma un letto vero sarebbe un lusso, quindi la ringrazio e accetto l’offerta. Ci avviamo e Amy si sofferma sulla porta. «Un avvertimento», dice. «La casa è… diciamo… un esempio di decadenza sudista. Vedrai».

Qualche giorno prima, durante uno degli incontri, un giovane aveva alzato la mano: «Lei crede nei fantasmi?». «Be’, dipende», avevo risposto io. «Cosa si intende per fantasma?».
Quello che trovo più affascinante nelle storie di fantasmi è la loro malleabilità. Un fantasma potrebbe essere un cuore che palpita sotto le assi di legno; un padre che appare al figlio chiedendo vendetta; un abito da sera sfoggiato dalla prima moglie di tuo marito, ora indossato da te, la nuova moglie. Un fantasma potrebbe essere una casa, uno specchio o un’ombra. Sarebbe riduttivo definire il concetto di fantasma solamente come lo spirito di una persona deceduta che appare nel regno mortale. Quindi, come possiamo definire un fantasma? Personalmente, preferisco darne una spiegazione semplice: un fantasma è la manifestazione di un desiderio.

Nel racconto Il cuore rivelatore, il desiderio del protagonista nasce dal rimpianto e dal senso di colpa. Il desiderio di azzerare un tremendo atto di violenza si manifesta rimbombando come un battito cardiaco proveniente da sotto il pavimento. In Amleto, lo spettro del defunto re appare al figlio in lutto: un giovane che desidera ardentemente rivedere il padre. In Rebecca, la prima moglie, una giovane sposa insicura desidera essere amata con la stessa intensità con cui crede sia stata amata la sua predecessora, tanto da manifestare la presenza della donna attorno a sé. La lista continua. All’origine di ogni fantasma c’è un desiderio intenso. La brama di ciò che è assente è sentita con tanto fervore che l’assenza stessa prende vita. Chi ha sperimentato la perdita comprende bene che la mancanza non è affatto un’assenza, ma piuttosto una presenza. Quando una persona cara muore, ci lascia o cambia, si crea un vuoto che ne assume la forma, ne imita i movimenti, fa riecheggiare la sua voce come un tordo beffeggiatore. Avvertiamo questo vuoto occupare lo spazio dove prima si trovava la persona perduta, che ora non c’è più. Si riflette negli specchi, nello sfarfallio delle candele; è uno spirito.
«Lei crede nei fantasmi?».
Certo. Ho visto desideri inseguirmi come se stessero correndo.

Seguo i fari della Honda arancione di Amy che fendono la pioggia come lanterne. Svoltiamo a destra su una strada fangosa, disseminata di buche, e ci inoltriamo tra un filare di querce grondanti di muschio spagnolo. Finalmente arriviamo a destinazione; il buio si dirada e lì, illuminata dai fari delle auto e avvolta nell’oscurità, compare la casa. È un palazzo alto e bianco, con arcate minacciose; i diversi piani si sovrappongono l’uno sull’altro come strati di una torta afflosciata. Su ognuno di essi, undici pilastri bianchi sorreggono balconi pericolanti. Le balaustre sbiancate percorrono la facciata come una fila di costole scheletriche, mentre riccioli di vernice si scrostano dalle pareti.
Scendiamo dalle nostre auto e Amy appare accanto a me. «Ti presento la Casa. Appartiene alla mia famiglia da novantanove anni», dice. «Per prima è appartenuta a una prozia. Poi a un’altra prozia, dopodiché a mia zia e infine a me. Mi piace pensare a questo posto come una versione della magione nel documentario Grey Gardens».
«Quante persone vivono qui?», chiedo, sbalordita.
«Solo io!».

Aaaaaah. Ora ho capito. Sono quel personaggio che nei film horror si ritrova in un temporale, ha solo bisogno di usare il telefono, fare benzina o asciugarsi e finisce in pasto ai vampiri. Bene! Molto bene.

Amy mi conduce verso l’imponente ingresso e infila una chiave nella serratura delle doppie porte, che si spalancano con un clic. All’interno, gli arredi sfarzosi sembrano essere rimasti immutati per un secolo. Il pavimento è coperto da tappeti a medaglione bordeaux; nella sala da pranzo adiacente, candelabri a più braccia stanno in bilico su un lungo tavolo da banchetto. Mi racconta che negli anni ’20 questo tavolo aveva ospitato incontri notturni di cerchie letterarie. Ora, le sedie sono solitarie e vuote. Lenzuola bianche ricoprono divani antichi e a ogni nostro passo la polvere si solleva formando nuvole grigie.

Nella Casa, spiccano due particolari scelte di arredamento:

  1. Grandi dipinti antichi raffiguranti bambine dell’epoca vittoriana in alteri abiti di seta sono appesi lungo tutte le pareti. I dipinti non sono stati conservati bene e i visi hanno cominciato a deteriorarsi («Ah, quelle sono le mie zie», precisa Amy in modo vago).

  2. Ogni superficie libera è ricoperta da centinaia (sì, centinaia) di schiaccianoci di Natale («Mia zia… aveva questa… fissazione», dice Amy).

La mia ospite mi accompagna su tre rampe di scale fino alla mia stanza, che fa parte di una suite più grande, una delle sette che compongono la casa. «Che strano», osserva Amy davanti all’uscio spalancato. «Non ricordo di aver lasciato la porta aperta… e nessuno dorme in questa stanza da anni…».
A un certo punto, non importa se i fantasmi letterali (intesi come gli spiriti dei defunti) siano veri o no. Quello che conta è che le persone credono che lo siano.

Il concetto del “tulpa”, derivato dall’incrocio di filosofia teosofica e buddismo tibetano, si riferisce a una creatura nata dal pensiero. L’idea alla base della tulpamanzia, o creazione di tulpa, è che se abbastanza persone concettualizzano e concentrano la propria attenzione sullo stesso essere immaginario, quella stessa attenzione alla fine renderà la figura reale. In altre parole, se abbastanza persone credono in qualcosa, quel qualcosa si manifesterà.
Personalmente, non ho mai creduto nell’esistenza di un vero e proprio dio senziente. Tuttavia, si sono combattute guerre in suo nome. Imperi sono sorti e caduti per un solo dio, o per molti dei, e allora la “concretezza” della divinità non ha più importanza. Ciò che conta è l’impatto; è un campo di battaglia intriso di sangue. Quel sangue è rosso a prescindere dall’esistenza del dio per il quale è stato versato e, a quel punto, dio potrebbe pure essere reale, perché sta influenzando l’azione umana e questa, a sua volta, altera il mondo. Avete mai corso su per le scale del seminterrato, due gradini alla volta, immaginando di avere un inseguitore spettrale alle calcagna? Avete mai preso la strada più lunga per tornare a casa di notte, evitando di passare per il cimitero al chiaro di luna? I fantasmi sono reali? Ora che li avete contemplati, lo sono. Nati dalla fede, dalla paura, dal desiderio che forse, chissà, al mondo c’è molto più di quanto riusciamo a vedere.

Aiuto Amy a fare il letto, che ha un’enorme testiera in legno intagliato con motivi floreali rampicanti, più alta persino di me se salgo in piedi sul materasso. Cerco di non prestare molta attenzione al minuscolo letto vittoriano – una culla, per la precisione – accanto al mio. «C’è un libro degli ospiti qui da qualche parte», dice Amy, frugando tra i cassetti. Uno è pieno di cimeli di JFK. «Ah!». Mi lancia un piccolo quaderno verde. «Dovresti firmarlo».
Prima di andarsene, si volta di nuovo verso di me. «Senti, quando ti alzi domattina, non… be’, non esplorare la casa».
Ricevuto, Barbablù.
Se ne va e io resto sola. Mi guardo nell’armadio specchiato dall’altra parte del letto e il mio riflesso vacilla nel vetro deformato, facendomi assomigliare un po’ alle zie che si dissolvono nei loro ritratti infantili a olio. Quindi, mi ricordo del libro degli ospiti.

Agosto 2014
Questo luogo ha un’aura magica, ma anche spaventosa.

Settembre 2011
Una notte abbiamo preso la macchina fotografica digitale e siamo usciti sul retro per scattare foto nel buio. Sono uscite tutte nere, tranne per un solo punto sovraesposto quando la macchina era puntata verso [nome della strada]. Abbiamo provato e riprovato
, e ogni volta la stessa cosa: tutto nero e poi una luce bianca dove non c’era nulla. Nessuna spiegazione!!!!!!

Giugno 2008
Abbiamo riso tanto al pensiero di vedere un fantasma di notte… finché non ho intravisto il profilo di un bambino nella culla accanto al letto.


Nel saggio Il perturbante, scritto da Sigmund Freud nel 1919, lo psicologo sostiene che la differenza fondamentale tra fantasia e orrore sia questa: la fantasia è un evento fantastico che si verifica in un mondo fantastico; l’orrore è un evento fantastico che si verifica nel nostro mondo. I draghi, ad esempio, non ci spaventano perché sono relegati al contesto appropriato, quindi non vengono considerati “mostri”. Tuttavia, Godzilla è un mostro; non tanto perché sia molto diverso da un drago, ma perché si trova qui e non . Non è la cosa in sé che ci spaventa, afferma Freud, ma il disagio subdolo che qualcosa stia penetrando in un luogo a cui non appartiene. È una violazione. Approfondendo il concetto di Freud, Theodora Goss scrive: «Il superamento dei confini categorici, o ibridismo, ha contrassegnato i mostri fin dall’inizio». Nel suo saggio Listening to Krao: what the freak and monster tell us, ci suggerisce che ciò che ci spaventa non è soltanto una figura che si insinua nel nostro mondo, ma anche la violazione rappresentata dal corpo inquietante di tale figura. I lupi mannari sono umani e allo stesso tempo animali. I vampiri sono viventi e allo stesso tempo morti. Le streghe sono femminili e allo stesso tempo pericolose. Tutti elementi considerati contraddittori dalla nostra comprensione del mondo, ora fusi insieme in un’unica forma. Di nuovo, un disagio. E i fantasmi? Non solo violano il confine letterale tra il nostro mondo e l’ultraterreno, ma attraversano anche il confine del tempo. I loro corpi, o meglio la mancanza di essi, risiedono contemporaneamente nel presente e nel passato. Un fantasma è un ricordo.

Anche se non credo realmente agli spiriti, sono sicura che se esistessero, la Casa è il posto in cui mi troverebbero.
In modo frenetico, fotografo tutto ciò che mi circonda – comprese le annotazioni nel libro degli ospiti – e le invio per messaggio alla mia amica Cassandra. Meglio avere una testimonianza nel caso in cui qualcuno svanisca nel nulla, vero? Poi, cerco su Google “sigilli protettivi” e scarabocchio una piccola runa a forma di forcone sul mio polso. Ciò nonostante, cerco di non guardare la culla, a pochi metri da me. Per fortuna le coperte sono pesanti e infine, avvolta nel buio mentre fuori la pioggia continua a scrosciare, mi addormento.
Durante la notte, vengo svegliata da un rumore di graffi. Skrrr. Skrrr. Skrrr. In uno stato semi-cosciente, mi concentro su di esso. Un neonato morto non può avere unghie così lunghe da produrre un suono del genere, probabilmente è solo un procione. Skrrr. Skrrr. La culla è una sagoma oscura nella mia visione periferica. Skrrr. Skrrr. Skrrr. Il rumore di qualcosa che viene trascinato è pesante e sembra provenire da sotto il letto. Stringo gli occhi e infilo la testa sotto le coperte, aspettando, aspettando finché non mi addormento, ed è proprio in quel momento che i sogni mi raggiungono. Per tutta la notte, sogno donne che trascinano lunghi abiti vittoriani per i corridoi della Casa. Una di loro si ferma in cima alle scale, fissandomi con occhi vuoti, come se non mi vedesse. Nessuna storia di fantasmi è completa senza includere anche i vivi; un contrappunto corporeo, pulsante, su cui strusciarsi. Un termine di paragone. Uno skrr, skrr, skrr, tra la vita e la morte e, naturalmente, questa non è un’eccezione. Ecco perché sono qui.
 

Nessuna storia di fantasmi è completa senza includere anche i vivi


Al mattino, i raggi del sole penetrano dalla finestra; ha smesso di piovere e io sono ancora viva. Raccolgo le mie cose, infilo le scarpe e corro via. Fuori dalla stanza da letto, giù per le tre sinuose rampe di scale e attraverso i salotti labirintici. Mentre corro, fotografo tutto quello che incontro: gli schiaccianoci di Natale, le giovani che mi fissano dalle pareti, i lampadari da cui gocciolano cristalli. L’unica cosa che non faccio è rallentare. Cosa desideravo io quando ho varcato per la prima volta la soglia della Casa? Una notte lontano dalla strada? Un bagno con acqua corrente? Un letto caldo? Una storia? Un fantasma? Quale assenza si era manifestata per me quella notte di novembre, dopo mesi di viaggio con nulla più che una bombola di gas quasi esaurita e una pila di libri al seguito? Quali vuoti si erano aperti stando lontano da casa? Avevo lasciato così tante città alle mie spalle, senza lasciare traccia, come se stessi passando attraverso un muro. Irrompo nella luce del giorno, la mia macchina è lì ad aspettare. Salto dentro e avvio il motore. Mentre sfreccio lungo il viale, percepisco la Casa alle mie spalle, un pianeta con una forza di gravità propria. Mi chiama, implorandomi di tornare indietro, di alzare lo sguardo verso lo specchietto retrovisore; ma io non mi volto.
In fin dei conti, lo sanno tutti, è così che iniziano i sequel.

 

Nell’articolo, fotogrammi dal film A Ghost Story (2017) di David Lowery

GennaRose Nethercott è una scrittrice e poetessa statunitense. Il suo poema in prosa The Lumberjack’s Dove è stato scelto da Louise Glück come vincitore del National Poetry Series nel 2017. Il suo primo romanzo, Thistlefoot, è uscito nel 2022. Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 31/10/2022 ► “A Ghost Is a Memory.” On Bodies, Belief, and the Places Ghost Stories Live  | Traduzione di Giulia Patanè


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