Per futili motivi

Con la non discussione del ddl Zan il Parlamento ha perso l’ennesima occasione di allinearsi alla società

Mercoledì 27 ottobre il Senato ha approvato a scrutinio segreto la ‘non discussione’ del ddl Zan. Il provvedimento non potrà tornare in commissione prima di sei mesi, ma di fatto sembra destinato a morte certa. Dai banchi dei sovranisti sono partiti applausi scroscianti e schiamazzi di giubilo; dalle poltrone di Forza Italia, da tempo divisa sulla questione, si è vista un’esultanza più composta; fra gli scranni della sinistra, ancora ebbra per l’effimera vittoria alle amministrative, si è consumato l’ennesimo fratricidio.

Ripartiamo dai numeri, che non mentono mai. A Palazzo Madama erano presenti 287 senatori su 320: per approvare il «non passaggio all’esame» erano necessari 145 voti. Tolto l’enigma del Gruppo Misto, che aveva in aula 20 onorevoli di provenienze opposte, avevano annunciato il loro sì Forza Italia (47), Lega (62), Fratelli d’Italia (21) e Idea-Cambiamo di Giovanni Toti (7), mentre Liberi e Uguali (6 senatori), Pd (36), M5S (70), Italia Viva (12) e Autonomie (8) avevano dichiarato la propria opposizione alla ‘tagliola’. Sulla carta, dunque, erano previsti come sicuri 137 favorevoli e 132 contrari: come sottolineato dall’ormai saudita Matteo Renzi, a cui tocca dare ragione, la partita era già persa in partenza e il Pd non doveva calendarizzare il ddl senza assicurarsi di avere i numeri. Enrico Letta, appena rientrato in Parlamento dopo l’elezione nel collegio di Siena, ha quindi portato il ddl allo schianto; il risultato finale, attestatosi su 154 favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti, dimostra che i ‘franchi tiratori’ devono essere cercati in tutti gli schieramenti, come spiega Il Post in un pezzo di giovedì 28 ottobre:
 

Probabilmente non si capirà mai come sia andata esattamente. Il PD ha ipotizzato ci siano stati circa 16 “franchi tiratori”, individuandoli principalmente tra i senatori renziani che però avevano solo 12 senatori presenti. Secondo le ricostruzioni giornalistiche sono stati probabilmente di più, fino a 23-25, sparsi anche tra le correnti più cattoliche del PD e nel M5S. Ma si sa anche che nel Misto e nella stessa Forza Italia c’erano diversi senatori favorevoli al ddl Zan, e quindi c’è la possibilità che a sabotare segretamente la legge siano stati ancora più senatori nel centrosinistra.


Guglielmo di Occam ha insegnato una regola aurea: frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, «è vano fare con più mezzi ciò che si può fare con meno». Così, forti del suo ‘rasoio’, mettiamo da parte la diatriba iniziata un anno fa e torniamo alla questione. Il ddl Zan:
 

✽ dopo aver definito i termini e le categorie del suo raggio d’azione (art. 1), interviene su alcuni punti dell’art. 604-bis e 604-ter del codice penale, affiancando ai reati di «Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa» quelli «per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità» (artt. 2 e 3);

✽ garantisce «la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti» (art. 4);

✽ interviene sul decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122 (convertito, con modifiche, nella legge ‘Mancino’ n. 205 del 25 giugno 1993) estendendo alla violenza dettata da omotransfobia e odio contro le disabilità le pene già previste per  gli atti di discriminazione su base razziale, etnica, nazionale e religiosa (art. 5);

✽ amplia l’art. 90-quater del codice di procedura penale sulla base delle nuove disposizioni (art. 6);

✽ istituisce una «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», nella quale «sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile» per sensibilizzare le persone sul tema, anche da parte di scuole e amministrazioni pubbliche, «comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 7);

✽ allarga il raggio d’azione dell’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni, già istituito con il decreto 9 luglio 2003, n. 215 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 8);

✽ aggiorna il quadro normativo già previsto dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 «in materia di centri contro le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere» (art. 9);

✽ prevede che l’ISTAT svolga «una rilevazione statistica con cadenza almeno triennale» sui temi della discriminazione e della violenza omobitransfobica, in modo da verificare l’applicazione della legge e progettare politiche di contrasto e prevenzione (art. 10).


Su Valigia Blu Vitalba Azzollini ha riassunto efficacemente le due finalità del provvedimento:
 

da un lato […] dare riconoscimento giuridico, mediante una tutela rafforzata, a realtà che al momento sono ignorate dal diritto; dall’altro […] sanzionare con particolare severità atti di discriminazione o violenza commessi a danno di determinate persone per ciò che esse “sono”, da parte di chi reputa sbagliato essere in un certo modo. In altre parole, attraverso la particolare tutela fornita, si dà cittadinanza nell’ordinamento a dimensioni personali ulteriori rispetto a quelle già presenti a diversi fini nelle norme nazionali. E non solo: si riconosce che le condizioni contemplate dalla proposta di legge rappresentano il movente di atti odiosi, e per tale motivo li si sanziona in maniera specifica.


Per combattere una giusta battaglia, tuttavia, bisogna essere inattaccabili. Come rilevato da Christian Rocca su Linkiesta, l’art. 4 del ddl Zan è una brutta copia degli artt. 11 e 21 della Costituzione e andrebbe riscritto al contrario: non «è fatta salva la libera espressione di convincimenti od opinioni», formula maldestra che ha il sapore di una gentile concessione calata dall’alto, bensì «la libertà di espressione è assoluta e insindacabile, fatte salve le condotte idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Su questo punto il Pd ha commesso il grave errore di non intervenire, ma tutte le altre nefandezze di cui sarebbe colpevole Alessandro Zan, riassumibili nelle penose dichiarazioni del leghista Simone Pillon, semplicemente non esistono. Da nessuna parte si afferma il mitologico gender: l’educazione alla diversità non implica alcun attacco al modello padre-madre-figli/e, ma soltanto il riconoscimento dell’esistenza di altre realtà. Né c’è alcun attacco alla ‘libertà di opinione’: nell’ampio spettro che inizia dalle idee conservatrici (“per me esiste soltanto la famiglia tradizionale”), continua con l’insulto omofobo (“rottinculo”), prosegue con l’istigazione a delinquere (“picchiate tutti i gay!”) e termina con la violenza (“Non vi vergognate?”, rivolto a due ragazzi che si baciano in una stazione della metro di Roma, seguito da svariati pugni), va da sé che soltanto le ultime due tappe sono oggetto di condanna.



Avendo sempre combattuto le tentazioni pedagogiche e le derive etiche della cosa pubblica, trovo ridicolo affermare che il ddl Zan intenda trasformare la società; il Parlamento, semmai, ha perso l’occasione di allinearsi alla società stessa, che ha già riconosciuto de facto lo statuto ontologico di categorie un tempo ritenute ‘contro natura’. Al contrario, Palazzo Madama ha scelto di obbedire al Vaticano (una teocrazia straniera), che nel giugno scorso aveva inviato una surreale nota all’ambasciata italiana presso la Santa Sede:
 

Alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa […] avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina.


Non è bastata la secca replica di Mario Draghi («Il nostro è uno stato laico, non confessionale»); 154 senatori, evidentemente, hanno preferito seguire i dettami della rivelazione divina. Da qui all’Iran degli ayatollah il passo è breve. Eppure, come insegna la filosofia neoplatonica, nessun modello ‘forte’ può temere la diversità: se il cattolicesimo medio è fermo a queste posizioni, se la Chiesa che conta esclude potenziali fedeli nel nome di princìpi dottrinali risibili, se i difensori delle radici cristiane dell’Europa si sentono minacciati da lesbiche, omosessuali, bisessuali, transessuali e queer, significa che i sistemi culturali della cosiddetta ‘tradizione’ sono ridotti a spettri senza corpo, forme prive di sostanza, rami secchi da cui non può scaturire alcun fuoco. Anche per questo c’è da chiedersi quando mai la sinistra smetterà di ascoltare papa Francesco: non c’è alcun progressismo nel dire «chi sono io per poter giudicare un gay?», ma solo un’abile operazione di marketing. A maggior ragione mi domando quando mai la destra veramente moderata ritroverà la dignità di ribellarsi: ancora una volta, al di là delle scelte coraggiose di Elio Vito e Barbara Masini, il mondo che si autoproclama come ‘liberale’ ha dimostrato di non esserlo.
 

Se i difensori delle radici cristiane dell’Europa si sentono minacciati da lesbiche, omosessuali, bisessuali, transessuali e queer, significa che i sistemi culturali della cosiddetta ‘tradizione’ sono ridotti a spettri senza corpo


Un ultimo appunto. Mentre per mesi abbiamo assistito a furiosi dibattiti incentrati sull’universo LGBTQ+, quasi nessuno ha pensato di chiamare in causa i diversamente abili, oggetto di specifica attenzione nel ddl Zan. Il motivo è ovvio: si tratta di una categoria non divisiva e dunque non adatta a puntellare il grande baraccone della partitocrazia. Peccato che questi giochi di potere si consumino sulla pelle delle persone: dopo il mancato esame del provvedimento, infatti, i reati di odio nei confronti dei diversamente abili continueranno a essere derubricati a ‘futili motivi’. Ma di futile, in questa vicenda, non c’è alcunché, dato che stiamo parlando di carne e sangue, dato che stiamo parlando di vita. Cosa che a 154 senatori della Repubblica, a quanto pare, non interessa minimamente.


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