Nostalgia di genere

Alta fedeltà al femminile nella trasposizione televisiva del romanzo di Nick Hornby

Sono passati più di vent’anni dall’uscita di Alta fedeltà, splendido film di Stephen Frears tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby. Oggi non siamo più a Londra ma a Brooklyn e il disincantato e maldestro Robert è diventato Robyn, protagonista femminile di High Fidelity, serie tv prodotta da Hulu e disponibile su Disney+. Nella serie, scritta da Veronica West e Sarah Kucserka – è proprio Zoe Kravitz a vestire i panni di Robyn, figlia di Lisa Bonet, che nel film di Frears ricopriva il ruolo della cantante Marie DeSalle. Nella riscrittura della storia del film e del romanzo, West e Kucserka decidono di adottare una prospettiva riconducibile a una pratica non nuova: è dal 2016 che si parla, infatti, di gender swap, il cambio di genere del personaggio di una storia, sia al cinema che nelle serie tv, in seguito all’uscita del reboot femminile di Ghostbusters. Quella del gender swap era un’operazione già in uso negli anni ’40, ad esempio con La signora del venerdì (1940) in cui Rosalind Russel è la reporter Hildy, un uomo nell’originale Prima pagina (1931), o con La donna invisibile, riproposizione non particolarmente amata del cult di James Whale del 1933 tratto dal romanzo L’uomo invisibile di H.G. Wells.
Gli esempi sono tanti e continuano fino agli anni Novanta, anche se, rispetto al secolo scorso, c’è una sostanziale differenza di carattere storico e culturale. Negli ultimi anni la pratica del gender swap è stato il presupposto fondamentale su cui si sono costruite le scritture di reboot come appunto Ghostbusters o Ocean’s 8 (2018), in seguito all’esplosione del #metoo e all’impatto che il movimento ha avuto sul panorama cinematografico e seriale internazionale. Nel campo dell’audiovisivo, ridefinendone – non sempre al meglio – paradigmi visivi e narrativi, il #metoo ha il merito di aver conferito nuovamente centralità all’esperienza delle donne sulla scena. È lecito però domandarsi se effettivamente sia sufficiente cambiare genere a un personaggio, inserendolo in una serie di dinamiche pressoché identiche a quelle di partenza, per dire di aver cambiato le carte in tavola.

Se da un lato ci saremmo aspettati una più radicata presa di coscienza in merito all’eterogeneità dei vissuti cui si decide di dare voce, dall’altro, poiché applicato soltanto nella forma, il gender swap perde di significato e rilevanza culturale. In questo senso, in nome di una rappresentatività a priori, la politica identitaria applicata al cinema e alle serie tv – la identity politics, come dicono gli anglofonidiventa controproducente e pericolosa (non c’è più dialettica e a contare è solo il “gruppo” a cui appartieni, il genere, nel nostro caso) eludendo ogni forma di problematizzazione. Se si vuole leggere e interrogare la realtà o un testo – letterario o cinematografico che sia – con quel modo “poliziesco” che lo considera alla stregua di una deposizione, andando a setacciarlo minuziosamente, si rischia di perderne di vista il disegno, la complessità. Il risultato sarebbe una società, come sostiene Emma Gainsforth su Dinamopress, «molto letterale, in cui ci sarebbe bisogno di esplicitare tutto, dal momento che non esisterebbe la possibilità di formulare meta-messaggi» e in cui diverrebbe difficile se non impossibile immaginarsi alternative, ambiguità, conflitto.
 

In nome di una rappresentatività a priori, la politica identitaria applicata al cinema e alle serie tv diventa controproducente e pericolosa, e rischia di far perdere di vista il disegno, la complessità


Al contrario, High Fidelity è un concentrato di desiderio, frustrazione, ironia e contraddizioni, in cui il gender swap acquisisce senso perché universalizzato e raccontato al di là di una prospettiva di genere stringente e univoca.  Il processo di riscrittura della storia da parte delle due autrici non si limita, quindi, a trasformare Robert in Robyn; la serie tv va invece a toccare una serie di questioni, tra cui la specificità del periodo in cui Robyn vive, i nostri giorni, con i cui caratteri le autrici ricostruiscono in modo inedito il racconto delle delusioni d’amore di Rob e in che modo il suo è un cinismo diverso da quello di cui si fa portavoce Robert nei primi anni Duemila, tra il suo negozio di vinili, i locali di Chicago e il suo appartamento decadente. Rimangono la rottura della quarta parete e certe scene cult – Rob che s’immagina i tanti modi con cui farla pagare alla nuova fidanzata del suo ex – nonché la natura dei personaggi da cui è circondata Rob; ma più di tutto High Fidelity legittima l’esistenza un’altra narrazione del sentimento amoroso. Il racconto della nostalgia di Nick Hornby rivive nel cinismo della poco più che trentenne Rob e nei personaggi sfaccettati – millennials altrettanto sprezzanti e chiusi – che l’accompagnano nel corso dell’elaborazione della sua delusione amorosa.

Inoltre, High Fidelity rivela quanto la tecnologia sia entrata a far parte delle relazioni interpersonali. Nel momento in cui Rob decide di ricontattare una sua ex, quella più irraggiungibile e al vertice della piramide sociale, non usa l’elenco telefonico come Robert: in maniera molto naif, lo fa scrivendole un messaggio privato sul suo seguitissimo profilo Instagram, un profilo “verificato”, con la spuntina blu, tanto da suscitare le risate dei suoi amici; figurarsi se le avrebbe risposto. C’è poi l’aspetto del controllo della vita sociale degli altri: Robyn è ossessionata dal profilo Instagram del suo ex, a causa del quale scopre l’esistenza della sua nuova fiamma Lily, mentre nel film di Frears la colpa era di una parola pronunciata accidentalmente. Non scadendo in toni sentenziosi né prendendosi eccessivamente sul serio, la serie ci dice quanto Rob e i suoi amici si sentano sopraffatti da questa iperconnettività. Sono millennials, in un limbo tra passato e presente. In questo modo, riadattando la storia non solo da una prospettiva di genere, ma riscrivendola a partire da tutto il caleidoscopio di aspetti che riguardano la contemporaneità, le due autrici sono riuscite a rievocare la nostalgia di chi è rimasto emotivamente bloccato nel passatoHigh Fidelity mantiene e rivitalizza l’aspetto della nostalgia presente nelle due opere di partenza, e lo fa (anche) attraverso la musica, sfruttando il ritorno in auge del vinile dopo anni in cui era stato considerato obsoleto. Robyn gestisce un negozio di vinili – di soli vinili, dal momento che lei i suoi amici consideravano i cd troppo “pop”, incapaci di instaurare un dialogo reale con la cultura del passato – nella New York del 2019, gentrificata, dove pure c’è tanta cultura e fermento. E la sua è dunque una nostalgia che passa per una variegatissima e sapiente cultura musicale. Nel processo di scrittura di High Fidelity la musica occupa un ruolo chiave. Al di là della mole di riferimenti musicali – Otis Brown, i Fleetwood Mac, Frank Zappa –, fin dall’inizio della stesura alcune canzoni sono state componenti fondamentali: Heart of Glass dei Blondie, ad esempio, o Day Dreaming di Aretha Franklin, che richiamano anche il periodo a cui i protagonisti del film di Stephen Frears erano maggiormente legati. L’importanza di altre invece si è imposta in fase di sviluppo, come accaduto con Pains di Silk Rhode. Questo brano accompagna l’incontro sul tetto tra Rob e il suo ex, il giorno del compleanno di Rob, ed è arrivata più tardi. Non era in programma né faceva parte dello script ed è stato proposto proprio durante le riprese dall’editor musicale Kate Hickey, e la canzone ha poi guidato il modo in cui la scena è stata girata e modificata, costruendone gradualmente i picchi emotivi.

La serie tv e le opere di partenza condividono poi la caratterizzazione del personaggio principale. Il romanzo originario e il film di Frears erano incentrati sul dolore e sull’ineludibile egotismo di Robert. Quando viene lasciato da Laura la sua preoccupazione impellente è di sapere chi fosse migliore a letto tra lui e il nuovo amante della donna; proprio come Robyn, non ascolta le preoccupazioni degli altri e non riesce ad empatizzare con una sofferenza che non sia la sua. Robyn è la proprietaria di un negozio di vinili non esattamente di successo, è confusa, sola e alquanto infelice: non incarna un modello di donna positivo o straordinario né tantomeno l’ambizione smodata che la società capitalistica ci dice di coltivare per realizzare i nostri sogni. Posto che da una storia non si cerchi necessariamente la verosimiglianza, spesso è spontaneo identificarsi con alcuni suoi personaggi. Sono proprio le inconciliabilità di Rob, il suo continuo andirivieni emotivo, e il suo “fallimento” a rendercela più vicina possibile in quanto essere umano problematico e irrisolto: un’anti-eroina che è noi tutte.
 

Robyn è confusa, sola e alquanto infelice: non incarna un modello di donna positivo o straordinario né tantomeno l’ambizione smodata che la società capitalistica ci dice di coltivare per realizzare i nostri sogni


A proposito di angoscia da prestazione, parlando di un personaggio che ricorda molto Rob, Sofia Torre su L’indiscreto scrive che Fleabag «travolge per la sua capacità di capovolgere il fallimento: nella società della prestazione, con l’ansia come patologia psicologica sempre più diffusa non è difficile identificarsi in quella che si descrive alla sua impassibile psicoanalista come “A girl with no friends and an empty heart”». Non è un caso che nel nostro immaginario infarcito di retorica e moniti siano ancora una volta le donne a fare i conti con la competizione e la necessità del benessere psicofisico, assillate dal dover fare la cosa giusta in qualsiasi momento, dal dover essere abbastanza femministe o emancipate. E per questo motivo i personaggi di Rob e Fleabag acquisiscono uno spessore ancora maggiore: rivolgendosi allo spettatore, alcune volte guardando in macchina senza dire nulla per tentare di giustificarsi o chiamarci in causa,  Fleabag e Rob abitano la contraddizione, esplorano le proprie inquietudini e i rispettivi stati d’animo sospesi e controversi.
In High Fidelity la pratica del gender swap ha significato perché inserita in tutta questa serie di dinamiche. Non viene preso in considerazione solo il genere ma tutto il complesso di fattori storici e culturali decisivi nella caratterizzazione di un personaggio: il 2019, l’era dei social, delle app di dating e della gentrificazione, dove Brooklyn riesce ancora a preservare una propria autonomia, hanno plasmato la fisionomia di Rob, rendendolo uno dei personaggi più complessi e riusciti dell’anno. Spingendo verso una più sentita e profonda immedesimazione, High Fidelity ha creato, quasi ex novo, un (altro) personaggio che attraversa, spezzato e senza alcuna sicurezza, il cambiamento dei tempi e del sé.


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