Maksim Gor’kij

Nižnij Novgorod, 28 marzo 1868 – Mosca, 18 giugno 1936

Rimasto orfano e scappato di casa ancora ragazzino, Aleksej Maksimovič Peškov girovaga per la Russia zarista, cambiando spesso lavoro ed entrando in contatto con gli strati più umili della popolazione. Lo pseudonimo Gor’kij con cui si consacra giornalista, nel 1892, testimonia il suo voler raccontare quell’amara verità. Il successo letterario che incontra sul finire del secolo gli permette di elevarsi e introdursi in primo piano nel Partito Socialdemocratico, dove si schiererà coi bolscevichi di Lenin dopo la rivoluzione del 1905: è l’inizio di un rapporto tormentato che lo vedrà anche abbastanza critico da guadagnarsi le attenzioni delle polizie segrete, e un’agiata sistemazione da parte di Stalin che appare come una dorata prigionia. Diviso tra fede e scetticismo, Gor’kij trova nella letteratura un agire politico e morale inteso a disseppellire le forze più feconde dell’individuo dal peso delle difficoltà quotidiane, e lascia un’eredità complessa purtroppo semplificata dall’immagine di padre del Realismo socialista che il regime volle consegnare al pubblico dopo la sua morte.

 

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