L'amore che osa

L'omosessualità nella letteratura e nella vita tra Oscar Wilde e Pasolini, Boy Erased e Chiamami col tuo nome


Non si è forse osservato abbastanza che il problema della libertà sensuale in tutte le sue forme è in gran parte un problema di libertà di espressione. Appare evidente come, di generazione in generazione, le tendenze e gli atti differiscono ben poco; ciò che invece cambia è l'estensione della zona di silenzio che li circonda o lo spessore degli strati di menzogna che li comprimono.
Marguerite Yourcenar
 

Il 25 maggio 1895, al termine del processo per sodomia contro Oscar Wilde, il giudice Alfred Wills sentenziò disgustato che quello era stato il caso più infame che avesse dovuto esaminare. Poco prima lo stesso Wills aveva anche giudicato un orrendo caso d’infanticidio. L’autore di Dorian Gray e L’importanza di chiamarsi Ernesto, il conversatore delizioso conteso dai migliori salotti di Londra e Parigi, fu definitivamente trasferito in carcere, tra gli insulti e gli sputi, mentre solo il suo “Giovanni Evangelista”, l’amico ed ex-amante Robbie Ross, ebbe il coraggio anche stavolta di mostrargli stima, rispetto e vicinanza. Gli anni di carcere duro aggraveranno tanto le condizioni dello scrittore irlandese che questi non si riprese mai del tutto, trascinandosi in esilio e spesso sotto pseudonimo tra l’Italia e la Francia fino a spengersi con i denti marci fissando una sudicia carta da parati con la quale – è uno degli ultimi aforismi che gli si attribuiscono – stava lottando per la vita o la morte. I suoi ultimi anni sono stati magnificamente raccontati da Rupert Everett nel film The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde. La prigionia generò anche le sue ultime opere di genio, La Ballata del Carcere di Reading, alcune missive sulle immonde condizioni dei bambini carcerati e soprattutto lo straordinario De Profundis rivolto all’amato “Bosie”/Lord Alfred Douglas e che, mutuando un complimento di Leif Enger alla propria madre, costituisce forse la lettera più bella dai tempi dell’apostolo Paolo. È proprio in queste pagine che Wilde non si fa illusioni su ciò che lo attende fuori della cella, ma ha anche la forza e il coraggio di ribaltare la prospettiva ed affermare che «se la vita sarà per me un problema – e lo è senza dubbio – ebbene anche io sono un problema  per la vita. La gente dovrà prendere posizione su di me, e in ciò giudicare se stessa».

A distanza di oltre un secolo quel processo non è ancora finito. Oltre alle esplicite persecuzioni penali cui sono sottoposti gli omosessuali in molto paesi del mondo (con sanzioni che spesso comprendono la tortura e la morte) è ulteriormente doloroso constatare che, persino laddove si sono stabiliti diritti e garanzie, i primi carcerieri di se stessi, i primi a erigere prigioni invisibili ma non meno soffocanti, restano gli stessi omosessuali stessi, dalle infinite autolimitazioni quotidiane a veri e propri lager spirituali quali le strutture di conversion therapy per rieducarsi all’eterosessualità, strutture raccontate da memoir come Boy Erased. Vite cancellate di Garrard Conley. Restrizioni che si documentano ed esprimono nella rappresentazione stessa dell’amore e dell’identità omosessuale maschile quale possiamo incontrarle nella grande letteratura occidentale (su cui si concentra questo saggio dichiaratamente breve e fin troppo generico), codici che costituivano al tempo stesso feritoie struggenti, effettive valvole di sfogo, testimonianze significative e confessioni audaci ma anche nuove, possibili gabbie concettuali. È un tema complesso, che rischia semplificazioni in qualunque declinazione lo si sviluppi, perché ciò che è vero in un esistenza particolare o valorizza un tratto effettivo può facilmente diventare un ennesimo stereotipo, ed è difficile e forse impossibile distinguere la verità di un'esperienza dal contesto culturale e sociale in cui si esprime.
 

L'innominabile vizio dei greci spesso veniva espresso trasferendo i propri turbamenti nella sfera eterosessuale, mutando il lui in una lei, come il Mann dei Buddenbrook, il Proust delle Fanciulle in fiore, il Palazzeschi dell’Interrogazione della contessa Maria


Quanto nell’Oxford vittoriana veniva letteralmente saltato nelle traduzioni classiche per evitare di nominare “l’innominabile vizio dei greci” poteva essere espresso semplicemente trasferendo i propri turbamenti nella sfera eterosessuale, mutando il lui in una lei, come fecero il Mann dei Buddenbrook, il Proust delle Fanciulle in fiore, il Palazzeschi dell’Interrogazione della contessa Maria. La riprovazione della società e la persecuzione potevano venire assunti con tragico fatalismo, come una tara lombrosiana, oppure con prometeico orgoglio: è la lunga galleria di criminali e fuorilegge, che va dal grandioso, titanico Vautrin di Balzac allo Charlus di Proust (che si paragona spesso a un agente segreto, a un sultano, un iniziato delle tenebre), alle sortite notturne di Dorian Gray o al mito di Jean Genet. Parallelo e sovrapposto è tutto il mondo della sensibilità raffinata e morbosa, dell’inclinazione artistica (nello stesso Dorian Gray ciò viene distribuito in una sorta di trinità omosessuale, composta dal giovane Dorian, il pittore Basil e il cinico aforista Lord Henry), che si documenta anche nell’importante e lungo dibattito su quale termine usare per indicare e riconoscersi (Uranista? Invertito?) o sulla fascia d’età su cui è perfino nobile e educativo profondere la propria attrazione (l’amore pederastico o socratico, come già lo chiamava Voltaire, ripreso dal Gide di Coridone). Le presunte anormalità e stranezza possono ammantarsi di tutti i colori sinistri e affascinanti del “weird”, del soprannaturale, dell’orrido (anche la prima lesbica della letteratura ottocentesca, Carmilla, è una vampira) e del fiabesco, come nella Sirenetta di Andersen, composta proprio per fronteggiare un lutto emotivo paragonabile a quelli vissuti da Chaikovskij per i matrimoni dei suoi giovani amici.

Un altro elemento fisso era la conclusione inevitabilmente tragica. Un amore omosessuale, per quanto intenso e struggente, non può comunque avere esito felice, non può finire bene. I romanzi che contemplavano un’atmosfera gioiosa e persino il lieto fine, come I Neoplatonici del risorgimentale Settembrini, restavano manoscritti. Forster dedicherà il suo Maurice del 1919, che si chiudeva con l’amore corrisposto del protagonista e del giovane Alec, “a un tempo più felice”, e in effetti il romanzo verrà pubblicato postumo solo nel 1971, dopo la depenalizzazione dell’omosessualità nel Regno Unito. Da tutti questi esempi, e molti altri che si potrebbero richiamare, si può facilmente intuire: l’omosessuale continua a essere interpretato e rappresentato come una figura ai margini della società borghese e dell’identità maschile eteronormativa, un imbarazzo (l’ombra del marito in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams) o uno scandalo da limitare, esorcizzare o reprimere.
 

L’omosessuale continua a essere interpretato e rappresentato come una figura ai margini della società borghese, un imbarazzo o uno scandalo da limitare, esorcizzare o reprimere


Di tutta questa riprovazione che necessita un capro espiatorio Pasolini costituì come l’epitome nell’Italia degli anni ’70, fino al dionisiaco e in certa misura consapevole sparagmòs della morte “esemplare”: l’omosessuale in occhiali scuri e giacca di pelle che si aggira come un lupo tra i bagni delle stazioni ferroviarie, la polemica con i movimenti di liberazione gay sostenendo che un omosessuale cerca sempre e fondamentalmente un eterosessuale al quale strappare un rapporto clandestino, la lettura freudiana del padre castrante (nel suo caso addirittura strangolatore) che si estende a comprendere una società intera. Un’altra faccia del medesimo prisma può essere ricercata nell’uomo che vede cozzare i propri desideri più intimi con le convinzioni d’una dimensione religiosa subita o personalmente abbracciata, la paolina spina nella carne nel primo Coccioli, nel Gesuita perfetto di Monicelli, nelle poesie di Testori.

C’è sempre stato spazio per tanto, verrebbe da dire gloriosamente altro, dentro e oltre queste narrazioni sempre intense e spesso superbe: il cameratismo tonante e irsuto di Whitman, gli incontri fuggevoli ma eterni di Kavafis, la garrula erudita allegria e l’audacia di Arbasino, la gioia mediterranea di Penna e l’affaire spartiacque rappresentato da La statua di sale di Vidal (che con la sua rappresentazione ultimamente vittoriosa d’un omosessuale colpì uno scrittore dall’emotività tanto straziata e introversa come Thomas Mann). Nella seconda metà del ’900 poi si perdono letteralmente le tracce, data la vastità e la ricchezza delle voci, dall’umorismo di Sedaris e Busi al fantasy grimqueer di Morgan, dalla programmatica ordinarietà dei personaggi di Toibin agli anni tragici dell’Aids rievocati da White, dalla lotta contro la violenza della provincia francese in Louis ai pettegoli ricevimenti neworkesi di Capote. L’Italia dolente di Pasolini e Testori ha anche conosciuto la gaia scienza di Arbasino e il mediterraneo gioioso di Penna.
 

«L’amore che non osa dire il suo nome» nella misura in cui conquista l’orgoglio di esprimersi non si banalizza affatto, e resta intenso e complesso, e magari ancora ironico, bizzarro, autodistruttivo o sublime, libero persino di farsi superficiale


A chi stupidamente paventava (e magari tuttora paventa) una possibile banalizzazione dovuta all’imborghesimento e normalizzazione dell’omosessualità in taluni paesi occidentali la realtà dei fatti ha dimostrato come «l’amore che non osa dire il suo nome» (verso sul quale Wilde fu costretto a fornire spiegazioni durante il processo) nella misura in cui conquista l’orgoglio di esprimersi con le parole e i gesti non si banalizza affatto, e resta intenso e complesso, e magari ancora ironico, bizzarro, foscamente tragico, autodistruttivo o sublime, libero persino di farsi superficiale, proprio come l’esperienza eterosessuale anche laddove l’infedeltà coniugale e la libertà di autodeterminazione delle donne non sono più perseguibili. Chiamami col tuo nome di Aciman (e il successivo adattamento cinematografico di Guadagnino-Ivory) è in questo senso esemplare: sprovvisto di tutti i principali e soliti elementi che contrastano un innamoramento tra due ragazzi, può concentrarsi sulla dinamica pura del desiderio, dei suoi balbettii, delle sue gioie e sconfitte e costituire così una parabola esemplare, la storia di tutti i primi innamoramenti, un nostos emotivo («è come tornare a casa, pensai…»), con il suggestivo ribaltamento della prospettiva tradizionale, per cui è il più giovane dei due l’oggetto immobile del desiderio che suscita l’iniziativa dell’altro.

I fattori che hanno contribuito a questo ampliarsi di approcci, stili, prospettive sono troppi per essere anche solo sommariamente elencati, ma vale la pena indicare una dimensione significativa e che sta nella profonda nella profonda differenza tra solitudine e isolamento. Per molto tempo le persone omosessuali hanno patito una radicale esperienza di isolamento, dentro e fuori di sé. Un isolamento espressivo e conoscitivo che si esplicita anche nella mancanza di una tradizione di riferimento su cui proiettare le proprie esperienze, e sulla necessità di inventarsene faticosamente una del tutto personale, ma che rischia a sua volta di trasformarsi un letto di Procuste su cui mutilare la specificità della propria esistenza. Il venir meno di taluni steccati, la conquista di spazi comunicativi è proprio ciò che sostiene un ascolto e una resa narrativa più vasta e attenta della propria ultima solitudine, quella dimensione ineliminabile, leopardianamente terribile e cara che costituisce il cuore d’ogni esperienza emotiva e affettiva autentica, etero o omosessuale che sia, nella gioia e nel dolore, nell’ordinarietà o nella follia, nella condivisione d’un intera comunità o nel rifiuto e nella disaffezione a sé. Nessuno è mai così solo come davanti a qualcuno che ama.

 


Questo brano è tratto dall'intervento a partire da Boy Erased. Vite cancellate tenuto al Festival di Letteratura Sociale alla Polveriera di Firenze in occasione della Giornata Mondiale contro l'Omofobia


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