Istantanee di un declino

Il primo dopoguerra tedesco nei dipinti di Otto Dix e George Grosz

132 miliardi di marchi è la cifra a cui ammonta, nel 1921, la spesa per le riparazioni di guerra imposta alla Germania dopo la fine del primo conflitto mondiale, in base al Trattato di Versailles del 1919, la conferenza che secondo il presidente statunitense Woodrow Wilson deve servire a scongiurare per sempre il pericolo di una nuova guerra mondiale. Così non sarà, come insegna la storia, ma nell’immediato le conseguenze della scelta di penalizzare fortemente la Germania, in quanto principale responsabile dello scoppio delle ostilità in quel 1914 che ormai già a Versailles sembra lontano, nascosto dietro gli oltre otto milioni di cadaveri sparsi sui campi di battaglia, si rivelano disastrose soprattutto per la popolazione tedesca, la quale si vede piombare in un vortice di decadenza e squallore destinato a durare per diversi anni. L’arte, da sempre acuta osservatrice della realtà sociale, immortala questa penosa situazione e lo fa con toni amari e disillusi.

È il 1927 e il pittore tedesco Otto Dix, che dopo l’arruolamento entusiasta durante la guerra è approdato al gruppo dadaista, e dunque quanto di più contrario ci fosse agli ideali di guerra, sta lavorando in modo molto accurato, fra disegni preparatori e cartoni, a un’imponente opera. Si tratta del Trittico della Metropoli, un dipinto su legno in tecnica mista suddiviso in tre pannelli – l’idea è quella di riprendere i grandi trittici del periodo gotico e soprattutto del gotico tedesco –, ognuno dei quali illustra uno spaccato della vita quotidiana di quegli anni in una non meglio specificata città tedesca.
Nel pannello di sinistra ci troviamo nel bel mezzo di uno squallido viottolo: un reduce di guerra, mutilato delle gambe e ancora in divisa, si appoggia goffamente alle stampelle e protende lo sguardo verso un gruppetto di prostitute, grottesche e caricaturali nella loro sensualità da quattro soldi venduta agli angoli di una strada, mentre disteso sul selciato, un uomo giace ubriaco, e davanti a lui un cane abbaia.
Nella scena raffigurata nel pannello di destra, la situazione è diversa. Vi è raffigurata la sala da ballo di un locale esclusivo. Tipi “per bene” vestiti di abiti pregiati affollano l’ambiente, danzano sul lucido pavimento di parquet, si divertono al ritmo della musica jazz, ostentano sigarette e gioielli preziosi.
Ma nel terzo pannello, quello di destra, la brutale realtà di ciò che accade fuori dal locale chic torna a farsi sentire, in un’atmosfera ancora più tetra della scena da viottolo del pannello di sinistra. In quella che sembra una scalinata fiancheggiata da edifici pacchiani che sanno di barocco, una parata di prostitute, grottesche come le colleghe appena incontrate fra le quali spicca anche un travestito, sfila accanto a un altro reduce di guerra, anch’egli mutilato delle gambe, costretto a fare l’elemosina ai margini della strada: nessuno si cura di lui, e il soldato, il capo chino, si limita a fare il saluto militare al corteo che passa.



 

 

 

 

 

 
 


L’istantanea di una società in pieno disfacimento, quella che Otto Dix realizza col suo Trittico: attraverso il contrasto fra le due scene di assoluta miseria – i vicoli con i reduci e le prostitute – e la grande scena centrale dello sfarzo e del lusso apparente, la società tedesca del dopoguerra appare in tutta la sua tragica decadenza, in linea con il suo indirizzo politico, antimilitarista e filospartakista come il collega George Grosz. Entrambi di formazione dadaista, entrambi legati al realismo socialista della Novembergruppe, l’associazione nata nel 1918 che critica i valori del capitalismo, partecipano al movimento culturale-artistico della Neue Sachlichkeit, nuova oggettività, sorto nel 1925 grazie all’opera di una trentina di artisti.
Proprio Grosz, sei anni di prima del Trittico, aveva realizzato un dipinto assai simile per tematiche e stile di composizione: si tratta di Giornata grigia, dipinto dal titolo assai emblematico che accosta vari personaggi della società tedesca del dopoguerra.
C’è in primo piano il borghese, ben vestito e paffuto, lo sguardo strabico e la cartella sotto il braccio, che si dirige a lavoro; c’è, subito dietro, il reduce di guerra che cammina appoggiandosi al bastone – e di cui sicuramente si sarà ricordato Dix per la sua opera –; c’è l’operaio, più simile a una marionetta che a un uomo, che arranca con la vanga sulle spalle; c’è un losco individuo ben vestito che se ne sta ai margini, uno che ha sicuramente lucrato e sta ancora lucrando sulle difficili condizioni di vita della gente; e lo sfondo non può che essere un desolante paesaggio industriale dominato dalle ciminiere fumose e dalle rigide forme geometriche dei palazzi. Anche in Grosz dominano i tratti caricaturali: sono maschere, niente di più, che riflettono il vuoto interiore di una società diretta verso un baratro che si prepara a vomitare altre brutture.

E infatti, nel 1933, Adolf Hitler inizia la sua tragica scalata al potere, sulle rovine di una repubblica, quella di Weimar, che non è riuscita a contenere malumori e tensioni sociali. Per gli artisti comincia il periodo più difficile. Nel 1933, Otto Dix è allontanato dall’Accademia di Dresda, dove insegnava dal 1925, e nel ’37 alcune sue opere, confiscate, sono esposte assieme ai dipinti dell’amico Grosz alla mostra nazista di Monaco di Baviera sulla cosiddetta Entartete Kunst, arte degenerata, quell’arte che non si ispira agli ideali del Führer e che quindi viene violentemente disprezzata. Nel 1939 Dix viene arrestato dalla Gestapo e sarà liberato solo con la caduta di Hitler e la fine della guerra; non andrà meglio a Grosz che, dopo essere fuggito in America nel 1933 ed essere rientrato in Germania solo nel 1958, muore a Berlino, ubriaco, per una caduta dalle scale.
L’arte realistica e grottesca dei due artisti, quell’arte che in modo tanto efficace è riuscita a fotografare la crisi tedesca, a mettere in luce in modo critico e a denunciare le ambiguità e i disagi, diventa il bersaglio del nuovo potere autoritario che in quegli anni va affermandosi. Coloro che hanno messo alla berlina le falle della società, si ritrovano a dover fare i conti con un’ideologia nata proprio da quelle falle, e che aveva costruito il suo mito dalla rabbia latente nei vari strati sociali, nelle espressioni agghiaccianti delle prostitute dipinte da Dix e nello sguardo strabico del bravo funzionario borghese di Grosz.


Commenta