Isaac Newton

Woolsthorpe, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1727

Dei corsi di Cambridge, al Newton povero e scontroso, importa poco. Legge liberamente. Tra Descartes, Galileo, Boyle, intuisce che peso e massa dei corpi sono proporzionali: l’intera fisica cartesiana va rifatta. Con la matematica, quando la studia sotto Isaac Barrow – professor lucasianus che poi sostituirà (1669) – connette i numeri alle quantità fisiche: ad allora, quando è già pronto quel metodo delle flussioni (1665) che, malgrado la successiva disputa, ne farà con Leibniz il padre del calcolo differenziale, risale l’abbozzo del metodo su cui Isaac Newton fonderà una nuova visione del mondo: elaborare astrattamente il dato empirico, ridurre la materia fisica a principi matematici – abbinare la philosophia naturalis, la fisica sperimentale, alla matematica. Esso vibra nei lavori su luce e colori che l’introducono alla Royal Society, l’oppongono all’odiato Hooke e si compiranno nell’Opticks (1704); si articola negli studi biblici, eterodossi segnali d’una cerca testarda di Dio; trionfa nell’immenso Philosophiae naturalis principia mathematica (1687). Qui sono le «definizioni» matematiche di materia e forza, le leggi del moto («assiomi»): così fornito della teoria della gravitazione universale, d’un systema mundi rivelato nella sua divinità dalle stesse sue leggi naturali e, nelle Regulae philosophandi, d’un autoritativo manifesto della ricerca sperimentale, il Settecento imporrà un paradigma scientifico al proprio sapere, sicuro di poter procedere dalla conoscenza empirica, per l’applicazione del metodo matematico, alle leggi universali.            

Nature and nature's law lay hid in night; God said: «Let Newton be!», and all was light

Alexander Pope

 

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