Fantasie di avvicinamento

Kepler 452b o il Nuovo Mondo del terzo millennio

Il 5 settembre del 1977 la sonda Voyager 1 della NASA salpava dal porto sicuro di Cape Canaveral per intraprendere lo scandaglio delle profondità del sistema solare, ultimo oceano inesplorato rimasto ad appagare lo spirito d’avventura dei corsari del ventesimo secolo. Nascosto tra i circuiti elettronici e gli strumenti di rilevazione, un piccolo frammento di Terra accompagnava il vascello spaziale nella sua rotta imprecisata di miliardi di chilometri: il Voyager Golden Record, un disco placcato in oro contenente immagini e suoni del nostro pianeta, testimone singolare del desiderio irrefrenabile dell’essere umano di trovare un interlocutore, di  scovare in qualche buio anfratto dello spazio-tempo un’intelligenza altra, a prescindere dalla quantità di antenne o tentacoli che questa potrebbe avere.

La scoperta del telescopio spaziale Kepler, un altro della miriade di occhi che l’agenzia spaziale statunitense ha puntato in direzione del cosmo, di un pianeta apparentemente molto simile al nostro ha ravvivato in questi ultimi giorni la fiamma mai sopita di questa speranza. Kepler 452b – o, meglio, #Kepler452b, per attenersi alla grafia corrente – è stato il fulcro indiscusso dell’attenzione mediatica. Non poche sono state le testate, anche e soprattutto nazionali, ad aver dedicato al novello corpo celeste prime pagine e ampi reportage, affidati ai personaggi più disparati, da esponenti autorevoli nel campo dell’astrofisica a politici, antropologi, intellettuali. Ognuno ha voluto dire la sua sul nostro presunto cugino dalle dimensioni planetarie. In generale, gli interventi gravitano tutti attorno ad una domanda che, con presupposizioni più o meno sarcastiche, ha attratto chiunque abbia voluto onorare la scoperta con qualche riga di giornale: quanto dovrebbe entusiasmarci un mondo distante da noi un intervallo di vuoto così elevato, al punto che siamo a conoscenza della sua esistenza solo dalle impercettibili variazioni di luminosità che esso causa alla sua stella col moto di rivoluzione? Dovrebbe incidere in qualche modo sulla nostra condizione di comuni mortali il fatto di aver trovato un ammasso di roccia (ad onor del vero, che si tratti di un pianeta roccioso ancora non è stato confermato) possibilmente imparentato con quello su cui abbiamo avuto in sorte di porci questa e un’infinita serie di altre sciocche domande? Da qui si sono moltiplicati i pareri dei personaggi ricordati sopra, i sostenitori della posizione entusiastica così come i detrattori della stessa, le fantasie di avvicinamento e le più improbabili speculazioni edilizie. Insomma, era dal novembre dello scorso anno, mese in cui nelle sale di tutto il mondo veniva proiettato Interstellar, l’ultimo capolavoro del regista statunitense Christopher Nolan, che lo spazio non accendeva negli animi terrestri un interesse così sincero.

Noi della redazione de L’Eco del Nulla non abbiamo idea di cosa succederà quando l’uomo avrà realmente raggiunto la tecnologia per spedire Matthew McConaughey e le altre star hollywoodiane attraverso i buchi neri supermassicci, ma vorremmo comunque ritagliarci un piccolo fazzoletto di terra all’interno della discussione. Il secondo numero dell’incarnazione cartacea della nostra rivista, uscito a primavera di quest’anno, è intitolato Distanze. Proprio nell’ottica di questo vastissimo tema vorremmo che venisse considerata la scoperta di Kepler 452b, perché può anche darsi che un salto di così tanti anni luce rimanga impossibile da affrontare all’intelletto empirico, ma lo stesso non vale certamente per un’altra delle più squisite facoltà umane: l’immaginazione. Pur offrendo allo sguardo lussurioso delle macchine della NASA niente di più che un tenue sfarfallio di luce, quasi fosse una sfuggevole ninfa delle profondità spaziali, il nuovo pianeta si dimostra ben più disponibile nei confronti di coloro i quali si volgano ad ammirarlo con occhi estranei alle lenti telescopiche e agli spettrometri. E allora, piuttosto che di asettici geyser e brodi primordiali, ecco le sue terre lontane puntellarsi di una flora e di una fauna oscillanti sul limitare del concetto stesso di esotismo, oppure di nebulosi porti stellari alla Mos Eisley, oppure ancora di una schiera di nostri cloni, in tutto e per tutto identici a noi, ma che magari comunicano attraverso il tatto e camminano all’indietro come i gamberi. Non esiste uno scenario aprioristicamente precluso alla poderosa corsa della locomotiva sbuffante del pensiero.

Con questo, nessun merito si vuol negare alle conquiste del metodo di Galileo. Il contributo apportato dalla ricerca della nuova scienza all’esperienza umana è indubbio, in questa ed in altre occasioni. Soltanto, prima che un moderno Buzz Aldrin arrivi a piantare la sua bandiera sull’epidermide frastagliata del nostro lontano cugino, rivendicandone il possesso per questa o quella corona, ci piacerebbe godere delle possibilità immaginifiche spalancate da questo Nuovo Mondo del terzo millennio. Si sa – lo diceva già Leopardi – la nostra è un’epoca in cui, purtroppo, ben poco è rimasto di inesperito. Poche o nessuna sono le terre ancora da esplorare. Avendo navigato oltre l’orizzonte dell’oceano, non ci è toccato, sfortunatamente, di cadere dal bordo del piano terrestre, e ben presto ci siamo accorti che, veleggiando da qualsiasi punto, si finiva per approdare di nuovo alle rive già note. E così ad infinitum. È questo il motivo per cui non siamo scoraggiati da una distanza siderale che, per noi, piuttosto che costituire un ostacolo dell’esperienza, rappresenta la capsula criogenica capace di conservarne intatta la purezza. Allo stesso modo in cui, ancora non svestita dal cannocchiale del grande scienziato pisano, la superficie perfetta della luna affascinava generazioni e generazioni di poeti-astronomi. Verrà, già dai prossimi anni, il tempo della misurazione delle orbite ellittiche e della composizione delle atmosfere. Per adesso, permetteteci di immaginare Kepler 452b in una qualsiasi delle migliaia di rappresentazioni possibili. Concedeteci questa lettera di corsa intergalattica, a noi corsari del ventunesimo secolo, naviganti dai vascelli fallati. Infine, per prendere in prestito una celebre espressione di un altro grande della letteratura italiana, il fiorentino Aldo Palazzeschi, e lasciateci divertire. Più tardi, cederemo volentieri la poltrona agli Einstein e ai Von Braun.


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