Evgenij Zamyatin

Lebedyan, 1 febbraio 1884 – Parigi, 10 marzo 1937

La professione d’ingegnere navale non impedirà a Evgenij Ivanovič Zamyatin di farsi scrittore: dissenziente cronico, per l’attacco sferrato alla vita militare A casa del diavolo (1914) s’attira l’attenzione dei tribunali zaristi, poi ripudia l’identità bolscevica e nega valore al potere sanguinario allorché la rivoluzione si fa carneficina (La chiesa di Dio, 1922), infine sferza l’autorità quand’essa decide di controllare le lettere, ovvero di condannarle a morte (Io ho paura, 1921); all’eresia intellettuale informerà l’ufficio di mentore dei «fratelli di Serapione», prima virorum della letteratura sovietica degli anni Venti. Allora, con la preveggenza d’una mente disincantata, capace di cogliere il rischio della continuità nascosta nel cambiamento, Zamyatin ha già composto il suo capolavoro: Noi, ascendente del Mondo Nuovo di Huxley e dell’Orwell di 1984 come archetipo del romanzo distopico, descrive il regime di spensieratezza che, protetta dall’enorme cupola di vetro dello Stato Unico, e liberata da un onnipotente Benefattore del fastidio di decidere del proprio tempo libero come del bene e del male, vive un’umanità fatta di numeri anziché nomi, e convinta d’essere felice. Circolato samisdat (manoscritto e clandestino) fin dal 1920, My sarà pubblicato a New York, in traduzione, nel 1924; così compromesso, soltanto per l’intercessione di Gor’kij presso Stalin Zamyatin potrà emigrare e morire in esilio.

 

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